La mafia | Video

Il termine mafia deriva dall'arabo mahias ed è stato usato per la prima volta nel 1658 col significato di smargiasso e sfacciato

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. Il trasferimento di gran parte della proprietà terriera alla borghesia indusse i nuovi proprietari ad organizzare bande o squadre per il controllo territoriale. Le bande fungevano da mediatori tra ladri e derubati, tra contadini e nuovi proprietari e davano protezione agli affiliati. Dopo l'Unità d'Italia si videro i primi esperimenti di coordinamento fra cosche. La sottovalutazione del fenomeno mafioso da parte del governo centrale, consentì la penetrazione della mafia nelle istituzioni legali, legittimando ulteriormente il potere mafioso agli occhi dei siciliani. La campagna repressiva contro la mafia, voluta da Mussolini dopo un viaggio in Sicilia nel maggio del 1925 e affidata al prefetto Cesare Mori, si articolava su un piano sia repressivo che sociale: da un lato si faceva ricorso a misure di polizia per sradicare i mafiosi dai territori controllati e attaccarne il prestigio presso le comunità; dall'altro l'azione era rivolta a neutralizzare il peso del ceto intermedio, abolendo le elezioni politiche e amministrative e riservando allo Stato le funzioni di protezione e di regolamentazione economica. Con la caduta di Mussolini la mafia riapparve. Gli uomini d'onore, antifascisti convinti, passarono dal carcere alle cariche pubbliche. In realtà, gran parte dei mafiosi era sfuggita alla repressione fascista rifugiandosi negli Stati Uniti d'America, dove dettero vita all'Unione siciliana, chiamata più tardi Cosa nostra.

In seguito la mafia da rurale diventò urbana, attirata da nuove fonti di profitto: edilizia, mercati generali e appalti. Settori in cui si presentò nelle vesti tradizionali di protettrice, imponendo tangenti agli imprenditori e finendo poi per gestire in proprio l'iniziativa imprenditoriale, che poteva contare su efficaci metodi di scoraggiamento della concorrenza e sull'accaparramento dei finanziamenti pubblici. In questi anni divenne particolarmente intenso il rapporto fra cosche mafiose e partiti politici, per i quali la mafia non mostrava alcun interesse ideologico, limitandosi a indirizzare il consenso verso lo schieramento in grado di fornire le maggiori garanzie di conservazione del proprio potere. Dopo aver superato i primi processi alla fine degli anni ’60, la mafia durante gli anni 70 svolse un'opera di rafforzamento del proprio tessuto organizzativo per renderlo adeguato ai mutati scenari criminali, dal contrabbando al traffico di stupefacenti. Il rapporto con le istituzioni iniziò a farsi più conflittuale, prevedendo, come unica alternativa alla corruzione dei rappresentanti dei poteri statali, l’eliminazione degli stessi, con metodologie di tipo terroristico.

Nel 1962 fu istituita la prima Commissione parlamentare d'inchiesta sulla mafia in Sicilia, che però non diede risultati apprezzabili. Furono varate nuove leggi che introdussero il reato di associazione di stampo mafioso e definirono giuridicamente il delitto di mafia. Nel 1982 nacque l'Alto commissariato per la lotta alla mafia e nel 1983 la nuova Commissione parlamentare antimafia, che è tuttora in funzione. Queste misure culminarono nel 1986 nel primo maxiprocesso istruito da Giovanni Falcone. Nel frattempo si scatenò una violenta offensiva mafiosa contro i rappresentanti del governo o contro chi ostacolava le alleanze politiche e mafiose. Nel 1991 fu istituita una Direzione investigativa antimafia, la DIA, e una Direzione nazionale antimafia. Consistenti successi giudiziari si registrarono solo col ricorso sistematico ai cosiddetti pentiti o collaboratori di giustizia, che permisero agli investigatori di penetrare all'interno dell'organizzazione di Cosa Nostra. 
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