Storia della velocità della luce
La guida di fisica sulla storia della velocità della luce, la sua natura ondulatoria, la frequenza e la lunghezza d'onda
VELOCITA' DELLA LUCE
Cenni sulla velocità della luce e sulla sua natura ondulatoria; frequenza e lunghezza d'onda. Negli ultimi paragrafi si è utilizzata l’approssimazione dell’ottica geometrica. Questa è in realtà, come precedentemente visto, solo una approssimazione vera solo in certe condizioni. Questa approssimazione è stata possibile a causa di alcune caratteristiche della luce. In questi ultimi paragrafi si è omesso, in particolare, di parlare di una caratteristica fondamentale della luce: la sua velocità.
Da questa caratteristica derivano alcune delle spiegazioni del suo comportamento.
In base alle teorie fisiche moderne, la luce e tutte le altre radiazioni elettromagnetiche si propagano (termine fisico utilizzato per indicare il movimento) a una velocità costante nel vuoto, la velocità della luce. Tale velocità rappresenta una costante fisica indicata tradizionalmente con la lettera c (l’utilizzo della lettera c deriva dal termine latino celeritas, "velocità").
A prescindere dal sistema di riferimento di un osservatore o dalla velocità dell'oggetto che emette la radiazione, ogni osservatore otterrà lo stesso valore della velocità della luce. Nessuna informazione può viaggiare più velocemente di c.
Il valore è pari a: c = 299 792 458 metri per secondo. Dal 1983, si è scelto questo valore come esatto per tarare altre costanti, tra cui il metro. Questo valore può essere calcolato mediante una formula che sarà affrontate quando si studierà l’elettromagnetismo, attraverso una realzione in cui sono presenti la permittività del vuoto ε0 e dalla permeabilità magnetica del vuoto μ0. Ovvero:
Costante in tutti i sistemi di riferimento. È importante realizzare che la velocità della luce non è un "limite di velocità" in senso convenzionale. Tutti gli osservatori misurano la velocità della luce come uguale. Un osservatore che insegue un raggio di luce vedrà la luce allontanarsi da lui alla stessa velocità di un osservatore stazionario.
Ciò porta ad alcune conseguenze controintuitive per le velocità scoperte e pubblicate da Albert Einstein nel suo famoso articolo del 1905 sulla relatività ristretta.
Siamo abituati alla regola additiva delle velocità: se due automobili si avvicinano una all'altra a 50 km/h, ci si aspetta che ogni auto percepisca l'altra come se si avvicinasse a 100 km/h (ovvero la somma delle rispettive velocità).
A velocità prossime a quella della luce, comunque, diventa evidente dai risultati sperimentali, che la regola additiva non è più valida. Due astronavi, ognuna viaggiante al 90% della velocità della luce relativamente a un osservatore posto tra di esse, non si percepiscono l'un l'altra come in avvicinamento al 180% della velocità della luce. La velocità apparente è leggermente inferiore al 99,5% della velocità della luce. Contrariamente alla normale intuizione, indipendentemente dalla velocità a cui un osservatore si muove relativamente ad un altro, entrambi misureranno la velocità di un raggio di luce con lo stesso valore costante, la velocità della luce.
STORIA DELLA LUCE: LA VELOCITA'
Albert Einstein sviluppò la Teoria della Relatività applicando le conseguenze (considerate bizzarre) precedentemente esposte alla meccanica classica.
Gli esperimenti dettati dalla teoria della relatività confermano direttamente e indirettamente che la velocità della luce ha un valore costante, indipendente dal moto dell'osservatore e della sorgente. Poiché la velocità della luce nel vuoto è costante, è conveniente misurare le distanze in termini di c. Come già detto, nel 1983 il metro venne ridefinito in relazione a c. In particolare, un metro è la 299792458 parte della distanza coperta dalla luce in un secondo. Le distanze negli esperimenti fisici e in astronomia sono comunemente misurate in secondi luce, minuti luce o anni luce.
LA MISURA DELLA VELOCITA' DELLA LUCE
Per quanto è possibile sapere, Galileo Galilei fu la prima persona a sospettare che la luce non si propagasse istantaneamente e a cercare di misurarne la velocità, ma è possibile che altri prima di lui abbiano ipotizzato un valore finito della velocità della luce. Galileo scrisse del suo tentativo infruttuoso di usare lanterne per mandare dei lampi di luce tra due opposte colline fuori Firenze. La prima misura della velocità della luce è stata fatta da Romer, utilizzando una anomalia nella durata delle eclissi dei pianeti Medicei, i satelliti di Giove scoperti da Galileo. Egli ottenne un valore di circa 210 800 000 m/s, dovuto alla scarsa precisione con cui erano noti la distanza Terra-Giove e il diametro di quest’ultimo.
È una bizzarra coincidenza che la velocità della terra lungo la sua orbita sia molto vicina a un decimillesimo di c (il margine è inferiore al punto percentuale). Ciò ci suggerisce come Romer misurò la velocità della luce. Egli registrò le eclissi di Io, un satellite di Giove: ogni giorno o due, Io entrava nell'ombra di Giove per poi riemergerne. Romer poteva vedere Io "spegnersi" e "riaccendersi", se Giove era visibile. L'orbita di Io sembrava essere una specie di distante orologio, ma Romer scopri che ticchettava più velocemente quando la Terra si avvicinava a Giove e più lentamente quando se ne allontanava. Rømer misurò le variazioni in rapporto alla distanza tra Terra e Giove e le spiegò stabilendo una velocità finita per la luce.
IL PROBLEMA DELL'ETERE: L'ESPERIMENTO DI MICHELSON E MORLEY
Quando si è rigettato il modello della luce come un flusso di particelle, proposto da Cartesio e sostenuto da Newton, il modello ondulatorio, suo successore, poneva il problema di un mezzo che sostenesse le oscillazioni. Tale mezzo, detto etere, doveva avere caratteristiche molto peculiari: elastico, privo di massa e resistenza al moto dei corpi, doveva peraltro trascinare la luce come una corrente trascina una barca o il vento le onde sonore. Un vento dell’etere doveva trascinare la luce. Per verificare la presenza dell’etere tramite l’effetto di trascinamento, Michelson e Morley ripeterono più volte un’esperienza con un interferometro.
Se, a causa del vento dell’etere, la velocità di propagazione della luce nei due bracci AB e BC è diversa, i due fasci di luce impiegano un tempo diverso per tornare a incontrarsi in A e quindi le oscillazioni nei due fasci presentano una differenza di fase δ, come nelle funzioni sinusoidali.
Ciò provoca la formazione di frange chiare e scure come si osservano entro una fenditura di circa mezzo millimetro fra due cartoncini posti di fronte a una sorgente di luce (va benissimo lo schermo bianco di un monitor) a circa 20 cm dall’occhio.
Le frange dovrebbero spostarsi variando l’orientamento dello strumento rispetto al vento dell’etere.
La differenza attesa nei tempi impiegati dalla luce per percorrere i bracci dell’interferometro parallelo e perpendicolare al vento dell’etere si calcola facilmente.
Nelle numerose esperienze di Michelson, Morley e altri ancora non si è mai osservata la formazione di tali frange, indipendentemente dal modo in cui veniva orientato l'interferometro e dalla posizione della Terra lungo la sua orbita.
La spiegazione di tale risultato secondo Einstein è che non vi è nessun etere e che l'indipendenza della velocità della luce dalla sua direzione di propagazione è un'ovvia conseguenza dell'isotropia dello spazio. L'etere diventa semplicemente non necessario.
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