Trattato filosofico-morale: significato, caratteristiche, autori
Indice
1La filosofia morale in età moderna: Hobbes e Spinoza
La filosofia dell'età moderna è caratterizzata da una nuova attenzione all'essere umano, che acquista una centralità inedita nelle riflessioni dei filosofi. Quest'inclinazione si verifica anche nella filosofia morale e nell'indagine etica, dove il fulcro di ciò che va considerato eticamente giusto o sbagliato si sposta dal piano religioso e divino ad un altro che pone in oggetto l'Uomo e le sue necessità ed il suo relazionarsi con altri esseri umani all'interno di società complesse.
La ricerca e le riflessioni sugli ordinamenti giuridici danno nuova linfa al pensiero giusnaturalista, che viene però rinnovato nella nuova ottica umanistica. Fondamento del giusnaturalismo è la convinzione che esistano leggi universali che regolano da sempre la vita degli uomini e sono antecedenti all'idea stessa di diritto;
nel medioevo queste leggi venivano lette in chiave teologica e collocate all'interno di un ordine divino trascendente lo stesso essere umano.
I filosofi moderni, invece, intendono il giusnaturalismo come un insieme di leggi naturali poste dalla ragione per rendere possibile la convivenza umana e la prosperità e la sopravvivenza delle società: diventa così preminente il concetto di utile per definire e comprendere ciò che viene considerato moralmente lecito.
L'inglese Thomas Hobbes, autore del Leviatano (1651), è uno dei primi ad approfondire questo discorso con un'analisi che parte dall'individuo, che ha come interesse principale quello di garantirsi la sopravvivenza. L'autoconservazione e la ricerca del piacere sono obiettivi comuni a tutti gli individui ma che nello stato di natura, nel quale non esistono i concetti di bene e male, si traducono in un costante stato di guerra di tutti contro tutti che finisce col mette a rischio l'esistenza stessa degli individui.
La soluzione al conflitto si trova con delle norme determinate dalla ragione che Hobbes chiama leggi di natura, e che limitano la libertà naturale dell'uomo ma ne garantiscono la sopravvivenza; tali norme, però, non sono costringenti, ma sono violabili e quindi necessitano di un'organizzazione statale che le imponga anche con l'uso della forza. La morale hobbesiana si basa su dei concetti di lecito ed illecito che non sono immutabilmente fissati a priori, ma su norme stabilite da un accordo sociale mirante alla tutela e alla prosperità collettiva, la cui osservanza è garantita dalla capacità coercitiva di un ente statale.
1.1Spinoza
Baruch Spinoza dedica tutta la terza parte della sua monumentale Etica (1677) all'indagine morale. Secondo il grande filosofo olandese l'uomo è spinto, per inerzia, all'autoconservazione attraverso la cupidigia, che produce letizia o tristezza se viene soddisfatta o meno: egli chiama cupidigia, letizia e tristezza affetti primari, e li pone alla base della sua analisi umana.
In Spinoza i concetti di bene e male non sono assoluti, ma sono relativi e personali: è positivo tutto ciò che produce piacere al singolo garantendogli l'autoconservazione, viceversa è negativo quanto lo rende infelice e ne mette in pericolo la vita.
Dati questi presupposti, Spinoza enuncia l'unità di mente e corpo, elementi che la filosofia tradizionale voleva fossero separati, e quindi che la virtù non debba essere considerata come la capacità della mente di controllare gli impulsi del corpo, ma come la capacità di conoscerli e gestirli distinguendoli in base al concetto di necessità.
La virtù, quindi, coincide con la razionalità, cioè con la capacità di conoscere cosa è necessario per la propria letizia. Il grado più alto di conoscenza si raggiunge quando si capisce che ogni cosa può essere letta e compresa attraverso Dio, essere infinito di cui tutte le cose sensibili sono emanazioni limitate.
2L'utilitarismo: significato e autori
La corrente filosofica dell'utilitarismo trova negli inglesi David Hume e Jeremy Bentham i rappresentanti più notevoli. Questi proseguono la riflessione sul carattere e la qualità delle azioni umane procedendo dalle riflessioni di Hobbes e Spinoza, e approfondendo l'idea di un giudizio morale sulle azioni umane del tutto slegato da concetti assoluti o fissati aprioristicamente, ma determinato dalle conseguenze che queste producono.
David Hume, nel suo Trattato sulla natura umana (1739), critica l'idea per cui l'azione umana procede dalla ragione, individuandone la causa piuttosto in quello che lui chiama gusto morale, in base al quale la bontà di un'azione risulta determinata dal piacere che provoca in chi la fa.
In quest'ottica la passione risulta assai più importante della ragione nel definire il motivo e gli obiettivi della volontà umana, anche perché in nessun modo la ragione riesce a reprimere o a cambiare il desiderio pur dimostrandone l'irragionevolezza.
Tuttavia questa concezione provoca una contraddizione poiché un discorso morale, che vuole avere un valore universale, non può procedere dalle passioni che sono invece personali; una contraddizione che l’inglese risolve arrivando ad una nozione di morale vista come un sentimento comune condiviso da tutta l’umanità, in cui il bene morale di un’azione viene giudicato in base alla sua utilità per la collettività.
I concetti di bene e male si smarcano così dall’ambito delle sensazioni individuali, identificandosi con il concetto di simpatia, che riguarda azioni che producono giovamento per il singolo e la collettività.
Jeremy Bentham, considerato il padre dell’utilitarismo, porta alle estreme conseguenze alcuni dei discorsi di Hume. Bentham identifica al morale con l’utile, inteso come comportamenti miranti alla massimizzazione della felicità e alla minimizzazione del dolore, e la validità morale di un’azione può essere misurata in base alla soddisfazione di questi obiettivi misurabile attraverso una sorta di «calcolo felicifico» che si può operare empiricamente.
Il bene finisce per coincidere con l’utile pubblico, cioè per essere misurato in base alla sua capacità di produrre il più alto livello di felicità per il maggior numero di persone.
3L'imperativo morale in Kant
Immanuel Kant, il maggior rappresentante dell’illuminismo tedesco, affronta il problema della morale nella Critica della ragion pratica (1788), in cui formula un’etica deontologica che si oppone a quella utilitarista.
Per Kant l’uomo si compone di un piano razionale, che gli impone il dovere, e di un piano sensibile che tende al piacere; tuttavia solo la ragione può costituire la base da cui far partire un discorso morale, per ben due motivi: anzitutto perché la soddisfazione di un desiderio non rende quello stesso desiderio degno, ed in seconda luogo perché i desideri personali e mutevoli non possono essere alla base di un discorso etico che deve avere invece un respiro universale.
Per Kant la legge morale è costituita da una serie di obblighi che si costituiscono tramite la ragione, e l’indagine sulla morale non deve riguardare l’essere ma il dover essere, cioè non come gli uomini sono e si comportano, ma come dovrebbero essere e comportarsi e se gli uomini violassero queste prescrizioni queste sarebbero comunque valide.
La legge morale kantiana si esprime quindi attraverso gli imperativi categorici, che definiscono il dovere come obbligo che va rispettato a prescindere dalle condizioni particolari o dagli scopi; in questo modo le azioni vanno valutate soltanto in funzione delle intenzioni di colui che le compie, e non dei loro effetti, cosa che contraddice in pieno il pensiero utilitarista, e vanno considerate pienamente morali solo le azioni pure, cioè compiute con la sola intenzione di rispettare la legge morale.
Su questi presupposti Kant può tracciare una linea tra legalità e moralità, identificando la prima con l’azione visibile e la seconda con quella invisibile.
Altro elemento fondamentale per la validità della legge morale è la libertà: se la morale impone di reprimere il piano sensibile, l’uomo dev’essere libero di ignorare quest’imposizione.
Oltre alla libertà Kant enuncia altri due postulati, l’immortalità dell’anima e l’esistenza di Dio, che sono indispensabili per raggiungere il sommo bene, cioè l’unità di virtù e felicità.
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Domande & Risposte
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Cos’è il trattato filosofico morale?
Un trattato che rimette al centro l’uomo e l’analisi di ciò che è giusto e sbagliato.
- Chi sono gli autori dei trattati filosofico-morali?
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Cos’è l’imperativo morale in Kant?
Per Kant la legge morale è costituita da una serie di obblighi che si costituiscono tramite la ragione.