Traduzione De oratore, Cicerone, Versione di Latino, Libro 03; 21-30
Traduzione in italiano del testo originale in Latino del Libro 03; paragrafi 21-30 dell'opera De oratore di Marco Tullio Cicerone
DE ORATORE: TRADUZIONE DEL LIBRO 03; PARAGRAFI 21-30
[XXI] [78] Quale prova può addurre il mio amico C Velleio, per dimostrare che il piacere è il sommo bene, che io non possa, se voglia, o sostenere o confutare con un discorso più nutrito, ricorrendo a quelle fonti di argomentazioni che ci ha illustrato Antonio e servendomi di questa esperienza oratoria, di cui Velleio è sfornito e che ciascuno di noi possiede? Credete forse che gli stoici Sesto Pompeo o i due Balbi o il mio amico M Vigellio, che visse con Panezio, riuscirebbero, in una discussione sulla virtù dell’uomo, o qualcuno di voi? [79] La filosofia non è simile alle altre arti: infatti come puoi parlare di geometria, se non l’hai studiata? O di musica? Devi tacere, se non vuoi passare per uno sciocco. I concetti filosofici invece si scoprono per mezzo dell’ingegno, un ingegno acuto e pronto a cogliere ciò che è verosimile in ogni questione e si esprimono con chiarezza per mezzo di un discorso perfezionato dall’esercizio. Questo nostro oratore medio, anche se non sarà molto dotto, purché abbia una buona esperienza in materia di discorsi, sarà capace di vincere, con l’aiuto di questa comune esperienza oratoria, codesti filosofi e non permetterà che essi lo disprezzino o lo tengano in poco conto; [80] o se un giorno si troverà qualcuno che, usando il metodo di Aristotele, saprà discutere su ogni questione in favore e contro e, dopo avere appreso gli insegnamenti di quel filosofo, saprà in ogni causa tenere due discorsi contrari o, seguendo il ben noto metodo di Arcesilao e Carneade, sarà capace di confutare una tesi sostenuta da altri, e a questa sua capacità unirà l’uso continuo della parola e l’esperienza oratoria, un tale uomo sarà il vero, il perfetto, il solo oratore. Un oratore non sarà mai abbastanza robusto ed efficace senza il vigore che si acquista con la pratica del foro, né abbastanza colto e saggio senza ricchezza di dottrina. [81] Lasciamo dunque che quell’antico Corace covi nel nido i suoi pulcini, che poi voleranno via schiamazzando fastidiosi e molesti e che un Panfilo qualsiasi si faccia dipingere su fasce i concetti di questa importante arte, come se fossero semplici giochi di bambini; e in quanto a noi, trattiamo pure, in questa breve discussione, che ha occupato le giornate di ieri e dì oggi, tutto il tema dell’eloquenza, purché si ammetta che esso è così vasto da abbracciare tutte le opere dei filosofi, che nessuno di questi retori ha mai consultato. [XXII] [82] Allora Catulo disse: Non mi stupisco affatto che in te ci sia tanta forza, dolcezza e ricchezza di parola; io finora credevo che fossero le tue doti naturali a farti parlare in modo tale, da apparire ai miei occhi non solo un grandissimo oratore, ma anche un uomo di grande saggezza; ora mi accorgo che tu hai tenuto sempre in grande onore gli studi filosofici, dai quali appunto hai tratto questa tua mirabile eloquenza.
In verità, quando penso alle varie fasi della tua vita e alle tue occupazioni, non riesco a capire quando tu abbia potuto apprendere tali cose; d’altra parte so che tu non ti sei potuto applicare con grande impegno a tali studi, a tali maestri e a tali libri. E tuttavia io non posso sapere quale debba ammirare di più di questi due fatti straordinari: cioè che tu abbia potuto apprendere, nonostante i tuoi gravosi impegni, tutte quelle nozioni che, come tu mi hai spiegato, sono di immenso aiuto all’oratore? o che tu possa, senza averle apprese, parlare in questo modo. [83] E Crasso di rimando: Io vorrei, o Catulo, che tu ti persuadessi innanzi tutto di questo, che io parlo delloratore come se parlassi di un attore. Io potrei affermare che un attore non può essere sufficiente nell’arte del gestire, se ignora la ginnastica e la danza: per dire ciò, non sarebbe necessario che io fossi un attore; basterebbe che sapessi giudicare con intelligenza le altrui professioni. [84] Allo stesso modo io ora parlo, dietro vostro invito, dell’oratore; certo, del perfetto oratore, perché, quando si discute di un’arte o di una qualità, siamo soliti esaminarle nella loro forma perfetta. Perciò, se voi pensate che io sia un oratore, un discreto oratore, anzi, diciamo pure, un valente oratore, io non voglio contraddirvi; perché ora dovrei essere così falsamente modesto? So che voi mi stimate tale: però, se io sono un oratore, non sono certo un perfetto oratore; non c’è cosa al mondo più difficile o più importante o che richieda un maggiore sussidio di dottrina. [85] Orbene, siccome la nostra indagine verte sull’oratore, io sono costretto a parlare del perfetto oratore; è impossibile comprendere quale e quanta sia l’essenza e la natura di una cosa, se non ci poniamo di fronte un modello perfetto di essa. Ti confesso, o Catulo, che io né adesso dedico tutto il mio tempo a tali volumi e a tali maestri, né ho avuto modo in passato, come tu giustamente hai detto, di curare e approfondire la mia cultura: le ho dedicato solo quel tempo che mi lasciavano libero l’adolescenza e le vacanze del foro. [XXIII] [86] Se tu mi chiedi, o Catulo, che cosa io pensi di questi studi, ti rispondo che un uomo di talento e che mira al foro, al Senato, ai tribunali e alla vita politica, non ha bisogno di dedicare ad essi tutto quel tempo che vi dedicarono coloro che passarono l’intera vita sui libri: infatti tutte le arti sono trattati in un modo da coloro che hanno trasferito quelle ad un uso, in un altro modo da quelli non si sarebbero dedicarti ad altro nella vita che nel coltivarla con tale diletto. Questo maestro di gladiatori, benché molto avanzato negli anni, non fa che pensare alla sua professione e non si cura di altro: Q Velocio invece aveva appreso questa arte da ragazzo; e siccome aveva grande disposizione per essa l’aveva appresa bene e secondo la testimonianza di Lucilio divenne un gladiatore valentissimo negli esercizi della palestra; davvero pericoloso per chicchessia nella scherma coi bastoni; però curava con maggior impegno il foro, l’amicizia e l’amministrazione del patrimonio.
Valerio cantava ogni giorno; infatti era un attore: che altro avrebbe potuto fare? [87] Invece il nostro amico Numerio Furio canta quando gli fa piacere; egli è un padre di famiglia e un cavaliere romano: da ragazzo apprese ciò che doveva apprendere. Lo stesso dicasi per queste nostre arti che sono tanto difficili; noi vedevamo Q Tuberone, un uomo di sommo valore e saggezza, seguire per interi giorni e intere notti le lezioni del suo maestro di filosofia: anche l’Africano, suo zio materno, s’interessava di filosofia; ma tu a stento te ne saresti accorto. Questi studi si apprendono facilmente, se uno si contenta delle nozioni strettamente necessarie, se ha chi possa istruirlo bene ed è fornito di buona attitudine allo studio; [88] ma se invece vuole dedicare ad essi l’intera vita, lo studio stesso e l’indagine producono sempre nuovi problemi, alla cui soluzione egli dedicherà con piacere tutto il suo tempo. Per questo avviene che lo studio approfondito delle cose è difficilissimo, mentre un orientamento generale è facile, qualora la scienza sia rafforzata dall’esperienza, lo studioso vi si applichi con discreto impegno e permangano sempre vive la memoria e la passione. Un piacere studiare ininterrottamente: come se io volessi diventare un ottimo giocatore di dadi o avessi la passione del gioco della palla, anche senza, diciamo pure, speranza di riuscire; ma vi sono di quelli che sono abilissimi in questi giochi, eppure li coltivano con un ardore superiore a quello che essi meriterebbero, come Tizio per la palla e Brulla per i dadi. [89] Perciò non vi è motivo perché uno debba temere la difficoltà di un’arte per il fatto che gli uomini la coltivano ancora da vecchi: infatti o ne iniziarono lo studio da vecchi o sono dominati dalla passione per quell’arte fino alla vecchiaia o sono di corta intelligenza; a mio avviso la cosa sta cosi: se uno non impara subito un’arte, non l’imparerà mai perfettamente. [XXIV] [90] Ormai comprendo, o Crasso, disse Catulo, quello che dici e sono proprio d’accordo con te; mi accorgo che a te, appassionato studioso, non è mancato il tempo, per apprendere le cose di cui parli. Continui dunque a credere, disse Crasso, che in questo discorso io ho in mente me e non l’argomento che stiamo trattando? Ma ormai è tempo, se non vi dispiace, di tornare al nostro assunto. E Catulo: proprio quello che desidero. [91] Allora Crasso disse: Dove tende dunque questo mio discorso così ampio e che prende le mosse da tanto lontano? Questi due punti, che mi rimangono ancora nel nobilitare la parola e nell’esaltare l’eloquenza nel suo complesso, di cui uno riguarda l’eleganza, l’altro la convenienza del linguaggio, hanno una tale forza che il nostro discorso riesce oltremodo piacevole, tanto più penetra nei cuori di coloro che ascoltano ed è straordinariamente ricco di concetti; [92] questo linguaggio che usiamo nel foro, litigioso, aspro, fondato sulle idee della moltitudine è povero e misero davvero; ma il linguaggio che è insegnato da costoro che si proclamano maestri di eloquenza non è affatto migliore di quello che viene usato dal volgo e nel foro; dobbiamo servirci di una attrezzatura magnifica, dobbiamo servirci di cose splendide, raccolte e fatte venire da ogni luogo, come ti toccherà fare, o Cesare, l’anno venturo, e come del resto ho fatto io, al tempo della mia edilità, perché sapevo bene che con spettacoli ordinari e nostrani non avrei potuto accontentare un popolo come il nostro.
[93] La teoria e gli esercizi pratici riguardanti la scelta delle parole, la loro collocazione nel periodo e la maniera di chiudere il periodo sono facili; immensa è la materia del discorso; e dopo che i Greci non riuscivano più a dominarla, e per questo la gioventù romana disimparava, imparando, ecco che, per nostra sventura, sono venuti fuori in questi ultimi due anni anche maestri di eloquenza latini; e questi io da censore li avevo dispersi con un mio decreto, non perché non volessi che le menti dei nostri giovani si aguzzassero, come, secondo loro, alcuni affermavano, ma, al contrario, perché non volevo che la loro intelligenza fosse offuscata e fosse incoraggiata l’impudenza. [94] Nei Greci, qualunque fosse il loro livello culturale, io vedevo, accanto a questa abilità puramente retorica, una qualche cultura e un sapere degno dell’uomo ben educato; da questi nuovi maestri, invece, io capivo che null’altro i nostri giovani potevano apprendere, al di fuori dell’arte di osare: la qual cosa in sé e per sé è da fuggire in grado, anche se è congiunta a buone doti; poiché si insegnava solo questo e il loro insegnamento era divenuto scuola d’impudenza, io ritenni che fosse dovere del censore provvedere a che esso non si diffondesse ancora di più. [95] Veramente io non vedo le cose in maniera tale, da disperare che i temi sui quali abbiamo discusso possano essere insegnati, o possano formare materia di eleganti trattati in lingua latina: infatti tanto la struttura della nostra lingua, quanto la natura delle cose permettono che quella antica e nobilissima sapienza greca sia adattata ai nostri bisogni e ai nostri costumi, Però occorrono uomini veramente colti; e uomini tali, almeno in questo campo, il nostro paese non ne ha finora prodotti: se un giorno ne spunteranno, da anteporre perfino ai Greci. [XXV] [96] Gli ornamenti del discorso, dunque, dipendono innanzi tutto dal suo carattere generale e, per dir così, dal suo colore e dal suo succo vitale; infatti la forza, la dolcezza, la dottrina, la nobiltà, l’eccellenza, l’eleganza, la giusta presenza di sensibilità e di pathos non sono doti che dipendano dalle singole membra: esse si possono ammirare in tutto il corpo. Ma quella, diciamo così, fioritura di parole e di pensieri, di cui è cosparso il discorso, non deve essere diffusa uniformemente in tutto il discorso, ma sparsa qua e là, in modo tale da far pensare a certi fregi e ricami che vediamo nelle decorazioni. [97] Bisogna scegliere uno stile che avvinca gli ascoltatori e che non solo li diletti, ma anche i diletti senza provocare sazietà; non vi aspetterete certo che io vi ammonisca ad evitare un discorso povero e rozzo, un discorso che contenga espressioni volgari e disusate; la vostra intelligenza e la vostra età mi esortano a parlarvi di cose più importanti. [98] difficile dire per quale motivo mai le cose che riescono più gradite ai nostri sensi e più fortemente ci colpiscono ai primo apparire, sono proprio quelle che più presto ci dànno fastidio e ci stancano.
Nelle nuove pitture vi sono parecchie figure che per bellezza e varietà di colori superano quelle che si vedono nelle pitture antiche! Di queste tuttavia, pur essendo rimasti colpiti ai primo sguardo, ben presto ci stanchiamo; mentre ci sentiamo attratti da quelle tinte rozze e disusate degli antichi quadri. Come ci riescono più gradevoli e più dolci, nel canto, i trilli e le voci in falsetto che i suoni sicuri e gravi! Però, se si ripetono con frequenza, non solo gli uomini austeri ma la stessa folla protesta. [99] Lo stesso si può notare negli altri sensi, che noi ci stanchiamo prima dei profumi troppo forti e acuti che dei moderati, ed è più apprezzato ciò che sa di terra che ciò che sa di zafferano; lo stesso tatto gode, ma fino a un certo punto, delle superficie molli e levigate. Anche il senso del gusto, che è tra tutti il più sensibile al piacere, e che più di tutti è schiavo della dolcezza, come si stanca presto di ciò che è troppo dolce! Chi può sopportare molto a lungo una bevanda o un cibo dolce? Invece ci stanchiamo molto meno di ciò che ci procura un moderato piacere, tanto nel bere quanto nel mangiare. [100] Cosi in tutte le cose il sommo piacere confina con la noia; e di ciò tanto meno dobbiamo stupirei nell’arte della parola: infatti sia i poeti che gli oratori ci insegnano che un carme o un discorso armonioso, brillante, elegante, piacevole, ma senza una pausa, senza una ripresa o varietà non può piacere a lungo, anche se è pieno di splendide immagini. Le ricercatezze e i falsi ornamenti di un oratore o di un poeta ci disgustano più presto, perché nel piacere materiale eccessivo la sazietà dei sensi deriva dalla natura e non dall’intelletto; nelle opere scritte invece e nei discorsi i difetti, sia pure ammantati, sono riconosciuti non solo attraverso un giudizio delle orecchie, ma ancora di più attraverso un giudizio dell’intelletto [XXVI][101] Perciò Bene e bravo, sebbene è detto spesso da noi; ma Splendido e perfetto, non voglio dirlo con troppa frequenza; nonostante la stessa esclamazione: proprio insuperabile sia pure frequente; però tale giudizio di entusiastica approvazione e di sommo elogio, che noi usiamo nel parlare, abbia una zona d’ombra, affinché possano meglio spiccare e rifulgere le parti di maggiore rilievo. [102] Roscio non recita con quell’impeto declamatorio di cui è capace, il verso: Il saggio chiede come premio della virtù l’onore e non un guadagno materiale: egli abbassa il tono della voce, affinché nel verso seguente ma che vedo? Un uomo armato ha occupato i luoghi sacri, si scaglia, guarda, ammira e stupisce. E che dire di quell’altro famoso attore quale aiuto chiederò? Con quale calma e pacatezza, priva di ogni impeto drammatico, pronunzia il verso.
Infatti incalza il verso: o padre, o patria, o casa di Priamo! Dove non potrebbe comparire tanta forza drammatica, se si fosse tutta esaurita nella declamazione del verso precedente. I poeti e i musicisti hanno compreso ciò prima degli attori: essi infatti cominciano con un tono sommesso, che poi via via cresce, si abbassa, si alza, acquista varietà e diversità di modulazioni. [103] bene dunque che l’oratore usi un linguaggio elegante e ricco di grazia (del resto, non potrebbe essere altrimenti); ma tale grazia sia dignitosa e virile e non sdolcinata e stucchevole. Infatti gli stessi precetti che vengono insegnati sul modo di abbellire il discorso sono tali che perfino il più scadente oratore può metterli in pratica; perciò, come ho già detto, il nostro primo dovere è quello di badare alla materia del discorso: e questo argomento è stato svolto da Antonio; tale materia deve essere plasmata elegantemente con l’orditura e il tono generale del discorso, abbellita con le parole e variata con la ricchezza dei pensieri. [104] Il culmine dell’eloquenza consiste nell’amplificare un argomento con l’efficacia del discorso: ciò si ottiene non solo quando ingrandiamo e innalziamo qualcosa per mezzo della parola, ma anche quando l’abbassiamo e la rimpiccioliamo. [XXVII] Ciò è richiesto in tutti quei luoghi che, come ha detto Antonio, vengono usati per dar credito al nostro discorso, quando vogliamo dimostrare qualcosa, cattivarci la simpatia o muovere gli affetti; [105] ma questa ultima attività l’amplificazione ha la sua maggiore efficacia; e questo è il pregio che meglio di ogni altro distingue i grandi oratori. Più importante ancora è quella norma che Antonio ci ha illustrato alla fine del suo discorso, mentre in principio la negava, che consiste nel lodare e nel biasimare; infatti non vi è nulla di più idoneo ad elevare ed amplificare il discorso della capacità di fare nel modo più compiuto ciascuna di queste cose. [106] Vengono poi quei luoghi i quali, benché appartengano alle cause e siano strettamente connessi con esse, tuttavia, siccome sogliono essere usati in tutte le questioni generali, vengono chiamati dagli antichi comuni; di essi alcuni contengono biasimi davvero violenti e invettive in un tono assai sostenuto, contro i quali non si è soliti né si può replicare, come quando ci si scaglia contro i rei di peculato, di tradimento e di parricidio (di questi è opportuno servirsi nei casi nei quali i delitti siano stati provati, altrimenti rimangono sterili e inutili); [107] altri riguardano l’arte di chiedere perdono o di suscitare pietà; altri contengono ragionamenti bilaterali con i quali è lecito discutere copiosamente pro e contro una tesi generale. Quest’ultimo esercizio, che oggi è ritenuto proprio delle due scuole filosofiche delle quali ho parlato prima, anticamente apparteneva a coloro che insegnavano le norme dell’eloquenza giudiziaria; infatti sulla virtù, sul dovere, sulla giustizia, sulla bontà, sulla dignità, sull’utilità, sull’onore, sulla ignominia, sui premi, sui castighi e su simili argomenti anche noi dobbiamo avere e la forza e labilità di parlare sia pro che contro.
[108] Ma poiché, cacciati dal terreno che ci apparteneva, siamo stati confinati in un campicello ristretto e per giunta contrastato e, difensori degli altri, non abbiamo potuto mantenere e difendere ciò che era nostro, prenderemo in prestito ciò che ci occorre (cosa veramente ignominiosa) da coloro che ci hanno strappato il nostro patrimonio. [XXVIII] [109] Orbene, coloro che prendono il nome da una piccola località del contado ateniese e vengono chiamati filosofi Peripatetici e Accademici, mentre una volta per la loro profonda dottrina politica erano chiamati dai Greci politici (nome derivato dallo Stato, nel suo complesso), affermano ora che ogni discorso politico appartiene a una di queste due specie: o riguarda una questione particolare connessa a un momento determinato e a determinate persone, come quando diciamo: Pensate che dobbiamo pretendere dai Cartaginesi la restituzione dei nostri prigionieri, dopo avere restituito i loro? O è una domanda astratta su un tema generico, come quando diciamo: Che cosa bisogna decidere e pensare sui prigionieri di guerra in generale? I discorsi della prima specie li chiamano cause o controversie e li dividono in tre generi, giudiziario, deliberativo, dimostrativo; i discorsi della seconda specie, generici e simili a tesi astratte da svolgere, li chiamano consultazioni. [110] Di questa divisione si valgono anche nelle loro lezioni, ma non alla maniera di chi dà l’impressione di rientrare nel possesso di un bene perduto, in séguito a sentenza del pretore o del giudice o con un atto di violenza, ma di chi vuole appropriarsi illecitamente di un terreno, spezzando un ramoscello. Infatti i discorsi della prima specie, legati a circostanze, luoghi e persone determinati, li tengono stretti, è vero, ma solo per il lembo della veste (so bene che nella scuola di Filone, che, a quanto sento, è il maestro più autorevole dell’Accademia, lo studio e la pratica di tali cause sono tenuti in particolare onore); per quanto riguarda i discorsi dell’altra specie, li nominano soltanto quando insegnano i primi elementi dell’arte, affermando che appartengono all’oratore, ma senza spiegarne né la forza, né la natura, né le parti, né i generi, tanto che sarebbe stato più conveniente non toccare affatto questo argomento che lasciarlo, dopo averlo appena sfiorato; in questo modo si capisce che essi tacciono per ignoranza; oppure darebbero l’impressione di tacere di proposito. [XXIX] [111] Su ogni questione, oggetto d’inchiesta e di discussione , noi possiamo egualmente dubitare, sia che si tratti di problemi generali, sia che si tratti di dibattiti politici o giudiziari, e ognuna riguarda o un’indagine teoretica o un fatto pratico; [112] infatti o s’indaga sulla conoscenza di una cosa, come quando diciamo: La virtù si cerca per un suo intimo pregio o per ricavarne qualche guadagno; o s’indaga su un tema puramente pratico, come quando diciamo: o il sapiente deve dedicarsi all’amministrazione dello Stato. [113] Tre sono i modi dell’indagine puramente teoretica: la congettura, la definizione e, per dir così, la conseguenza; la congettura si ha quando s’indaga sull’esistenza di una cosa, come quando diciamo: c’è la sapienza nel genere umano; la definizione quando s’indaga sull’essenza di una cosa, come quando diciamo: che cosa è la sapienza; la conseguenza si ha quando s’indaga sulla conseguenza di una cosa, come quando diciamo se è permesso qualche volta all’uomo onesto mentire.
[114] Tornando alla congettura, i filosofi la dividono in quattro generi: o s’indaga sulla essenza della cosa, come quando diciamo: Il diritto umano è fondato sulla natura o sull’opinione degli uomini; o s’indaga sull’origine di ciascuna cosa, come quando diciamo: Qual è l’origine delle leggi o degli Stati; o s’indaga sulla causa razionale di una cosa, come quando diciamo: Perché gli uomini più saggi dissentono sui problemi più importanti; o s’indaga sui mutamenti di una cosa, come quando diciamo: Può la virtù perire nell’uomo o cambiarsi in vizio. [115] La definizione si ha qualora s’indaghi su un concetto che è, per dir così, scolpito nella mente di tutti gli uomini, come quando diciamo: diritto ciò che è utile alla maggior parte degli uomini; o qualora s’indaghi su ciò che è proprio cli ciascuna cosa, come quando diciamo: L’eleganza del discorso è pregio esclusivo dell’oratore o può appartenere ad altri? o qualora si divida una cosa nelle sue parti, come quando diciamo: Di quante specie sono i beni desiderabili, Non sono forse di tre specie e cioè del corpo, dell’animo, e delle circostanze esterne; o qualora si descriva l’aspetto e il carattere distintivo di ciascuno, come quando si discute sul carattere dell’avaro, del sedizioso, del millantatore. [116] Passando alla conseguenza, vi sono innanzi tutto due generi di problemi: o si tratta di una indagine semplice, come quando si discute se debba essere ricercata la gloria, o di un’indagine basata su un confronto, come quando si discute se debba essere ricercata più la lode che la ricchezza: esistono tre semplici aspetti: o riguarda ciò che bisogna ricercare, o fuggire, come quando diciamo: Dobbiamo ricercare gli onori, dobbiamo fuggire la povertà; o riguarda il giusto o l’ingiusto, come quando diciamo: è giusto vendicarsi anche delle offese che ci vengono fatte dai parenti; o riguarda ciò che è onorevole o turpe, come quando diciamo: onorevole morire per la gloria? [117] Le indagini basate sul confronto sono di due specie: una si ha quando si indaga se due cose siano identiche o presentino tra loro qualche differenza, come nel caso dei termini temo e ho riguardo, re e tiranno, adulatore e amico; l’altra si ha quando si chiede in che cosa un fatto sia superiore a un altro, come quando diciamo: I saggi si lasciano guidare dalla lode dei migliori cittadini o dalla lode del popolo? Sono queste a un di presso le discussioni di carattere teoretico fatte dai dotti. [XXX] [118] Le indagini che riguardano la pratica, o contengono una discussione sul dovere, e in questo caso si chiede che cosa sia il bene e che cosa bisogna fare (argomento con cui è connessa tutta la selva delle virtù e dei vizi), o si aggirano sul modo di muovere gli affetti, cioè sul modo di provocarli o di calmarli o di spegnerli.
A questo genere di indagini appartengono le esortazioni, i biasimi, le consolazioni, le commiserazioni, insomma tutti quei discorsi diretti a suscitare un qualsiasi sentimento o a calmano, se è il caso. [119] Vi ho così spiegato i vari generi e modi di tutte le discussioni; in verità non importa nulla al nostro argomento, se la nostra ripartizione si è allontanata, in qualche punto, dalla ripartizione fatta da Antonio: in entrambe le esposizioni gli elementi sono i medesimi, sebbene siano disposti e distribuiti un po’ diversamente da me e da lui. Ora passerò ai punti che ancora mi rimangono e affronterò il compito che mi è stato assegnato. Per ogni genere di indagini tutti gli argomenti debbono essere desunti da quei luoghi di cui ci ha parlato Antonio; ma alcuni luoghi saranno più adatti per alcuni generi, altri per altri: su ciò non c’è bisogno che io m’intrattenga, non perché il discorso sarebbe lungo, ma perché è evidente. [120] I discorsi più eleganti sono quelli che abbracciano il campo più vasto e che da una questione privata passano a spiegare l’essenza di tutto il genere, in modo che gli ascoltatori possano dare un giudizio sui singoli imputati e sulle singole cause criminali e civili, dopo essere stati informati sulla natura, il genere e l’essenza della questione. [121] Antonio vi ha esortato, o cari giovani, a praticare tale genere di esercizi, consigliandovi di abbandonare le discussioni meschine ed anguste per affrontare la forza e la varietà di ogni dibattito; ciò non può essere opera di pochi libri, come credono coloro che hanno scritto i trattati di retorica, né della villa Tusculana, né di una passeggiata antimeridiana o di una seduta pomeridiana come questa nostra; infatti non si tratta solo di aguzzare e affinare la lingua, ma anche di arricchire e riempire la nostra mente con la dolcezza, la ricchezza e la varietà di numerose e importanti cognizioni