Traduzione De oratore, Cicerone, Versione di Latino, Libro 01; 41-50
Traduzione in italiano del testo originale in latino del Libro 01; paragrafi 41-50 dell'opera De oratore di Marco Tullio Cicerone
DE ORATORE: TRADUZIONE DEL LIBRO 01; PARAGRAFI 41-50
[XLI] [185] E poiché ho parlato della impudenza, adesso riprenderemo anche della pigrizia e della fannullaggine umana; infatti, se anche la conoscenza del diritto fosse dura e difficile, il pensiero dei grandi vantaggi che arreca dovrebbe spingere gli uomini ad affrontare il peso dello studio; ma, o dèi immortali, io non direi una cosa del genere alla presenza di Scevola, se non fosse solito dirla lui stesso: nessuna scienza è più facile ad apprendersi del diritto. [186] Ma ciò è considerato dalla gente diversamente , per certe speciali ragioni: innanzi tutto perché quei nostri antenati, che coltivarono tali studi, allo scopo di conservare ed accrescere la loro potenza, non vollero che la loro scienza venisse divulgata; in secondo luogo perché, dopo che furono rese pubbliche le norme di diritto, avendo Cn Flavio esposto per la prima volta le formule giuridiche, non ci fu nessuno che sapesse ordinare quella materia in un sistema, dopo averla distribuita nei suoi generi; nulla infatti può essere ridotto a sistema, se colui che conosce le norme, che vuole ridurre a sistema, non possiede quella scienza, che permette di ridurre in un tutto organico le norme slegate e indipendenti. [187] Però vedo che, siccome ho voluto parlare brevemente, questo è stato spiegato da me alquanto oscuro; ora mi sforzerò di parlare, se ci riuscirò, più chiaramente. [XLII] Quasi tutte le nozioni che adesso costituiscono una determinata scienza, una volta erano sciolte e disperse; così i ritmi, i toni e le melodie per la musica; le linee, le figure, le distanze, le dimensioni per la geometria; il moto del cielo, il sorgere, il tramontare e il movimento delle stelle per l’astronomia; lo studio profondo della poesia, la conoscenza della storia, la spiegazione delle parole, il determinato accento della pronunzia per la grammatica, quindi in questa stessa arte del dire, l’invenzione, l’ornato, la disposizione, la memoria, la recitazione sembravano, per dir così, procedimenti ignoti e senza rapporto tra loro. [188] Pertanto fu applicato dall’esterno uno speciale metodo, tratto da un altro campo, che i filosofi considerano di loro esclusiva pertinenza, col compito di collegare insieme una materia dispersa e separata e stringerla in un determinato sistema. Lo scopo del diritto civile sia dunque il rispetto, in materia d’interessi e di controversie dei cittadini, di quell’equità che è basata sulle leggi e sulle tradizioni. [189] necessario inoltre distinguere i generi e ridurli a un numero stabilito, il più piccolo possibile. Il genere è ciò che comprende due o più specie, simili tra loro per una certa comunanza di caratteri, ma diverse per determinate qualità; sono parti quelle che sono sottoposte ai generi dai quali derivano; ora, bisogna esprimere per mezzo di definizioni, quale significato abbiano tutti i nomi sia dei generi che delle specie; la definizione è una breve, ma precisa spiegazione di quei caratteri, che sono propri di quella cosa che vogliamo definire.
[190] A questi concetti astratti io aggiungerei esempi concreti, se non pensassi a che gente sto parlando; voglio concludere con poche parole ciò che ho detto: se mi sarà concesso di fare quello a cui già da tempo penso, o se qualcun altro prevenendomi, dal momento che sono così affaccendato, o lavorando dopo la mia morte, riuscirà innanzi tutto a distribuire nei suoi pochi generi tutto il diritto civile, poi a dividere le membra, per dir così, di quei generi e a illustrare con la definizione il carattere proprio di ciascuna suddivisione, si avrà una perfetta scienza del diritto civile, più importante e fruttuosa che difficile e oscura. [191] Ma intanto, fino a che questi vari elementi, che attualmente sono dispersi, non verranno raccolti insieme, lecito fornirsi di una sufficiente conoscenza di diritto civile, anche scegliendo e raccogliendo concetti qua e là. [XLIII] Non vedete che C Aculeone, cavaliere romano, che supera tutti per l’acutezza del suo ingegno, un uomo sfornito di ogni altra cultura, che vive ed è sempre vissuto con me, è talmente padrone del diritto civile che nessuno dei più dotti, eccettuato questo nostro amico Scevola, gli può stare a fronte? [192] Ciò avviene perché tutte le norme di tale diritto stanno davanti ai nostri occhi, s’incontrano nella pratica quotidiana della vita, nelle riunioni dei cittadini e nel foro, non abbracciano una vasta letteratura né grossi volumi; si aggiunga che i medesimi concetti sono dapprima esposti da parecchi maestri, poi fissati per iscritto quasi sempre dalle stesse persone e con le stesse parole. [193] Si aggiunga poi, affinché più facilmente possa essere conosciuto e accolto il diritto civile c’è poi cosa questa a cui quasi nessuno vorrà credere quel godimento straordinario che il suo studio ci procura; infatti, coloro che si compiacciono di questi studi Eliani troveranno nel vasto campo del diritto civile, nei libri dei pontefici e nelle XII Tavole il fedele ritratto dei tempi antichi: infatti vi s’incontrano l’antico linguaggio ormai disusato e certe speciali formule giuridiche che illustrano le consuetudini e la vita dei nostri antenati; chi s’interessa di scienza politica, che Scevola non ritiene di pertinenza dell’elòquenza, ma di una certa attività spirituale di diverso genere, la vedrà tutta riflessa nelle XII Tavole: in esse infatti sono descritte tutte le istituzioni e le classi dello Stato; dirò ancora di più, chi si compiace di questa prepotente e spavalda filosofia, avrà nel diritto civile e nelle leggi la fonte di tutte le sue discussioni; [194] non possiamo infatti negare che questi, assegnando onori, premi e gloria alla vera virtù e all’onesto lavoro, e punizioni, ignominie, carcere, frustate, esilio, e morte al vizio e alla frode, onorano altamente la dignità; e oltre a ciò noi impariamo, non per mezzo di infinite e litigiose discussioni, ma coll’autorevole cenno delle leggi, a domare le nostre passioni, a frenare i morbosi desideri, a conservare i nostri beni e a tenere lontani dai beni altrui il pensiero, gli occhi e le mani.
[XLIV] [195] Protesti pure chi vuole, io dirò schiettamente il mio pensiero: mi sembra che, la sola raccolta delle XII Tavole, se teniamo conto dei principi fondamentali delle leggi, supera, per peso di prestigio e ampiezza di utilità, tutti i trattati dei filosofi. [196] Se noi, come del resto è soprattutto nostro dovere, amiamo la nostra patria verso cui istintivamente sentiamo un richiamo così forte, che quell’eroe ricchissimo di saggezza antepose all’immortalità quella famosa Itaca, piantata come un nido su impervie rupi, quale fiamma di amore dobbiamo sentire per una patria come la nostra, che è l’unico vero domicilio, in tutto il mondo, della virtù, della potenza e dell’onore? Di essa noi dobbiamo conoscere innanzi tutto lo spirito, i costumi e la costituzione, sia perché è la nostra madre comune, sia perché ha dimostrato, nella istituzione del diritto, tanta saggezza dobbiamo riconoscerlo quanta ne ha dimostrata nella creazione del suo vasto impero. [197] Dallo studio del diritto riceverete quest’altra fonte di gioìa e di intimo godimento: confrontando le nostre leggi con quelle dei legislatori Licurgo, Dracone e Solone, voi capirete facilmente quanto i nostri antenati abbiano superato per saggezza tutti gli altri popoli; ogni diritto civile, al di fuori del nostro, è incredibilmente disordinato e quasi ridicolo; di ciò io soglio parlare spesso nelle nostre quotidiane conversazioni, in cui antepongo la saggezza del nostro popolo a quella di tutti gli altri popoli e in particolar modo dei Greci. Per questa ragione, o Scevola, io dicevo che la conoscenza del diritto civile è necessaria a tutti coloro che vogliono diventare perfetti oratori. [XLV] [198] E inoltre chi non sa quanto onore, quanto credito e prestigio questo diritto civile, preso in sé e per sé, procura a coloro che lo studiano profondamente. Mentre presso i Greci uomini di bassa condizione sociale, spinti da un piccolo guadagno, si offrono come consiglieri nelle questioni cli diritto (coloro che nella loro lingua sono chiamati pragmatici ), nel nostro paese fanno ciò gli uomini più ragguardevoli e illustri, come quel tale, che per la sua profonda conoscenza del diritto civile fu definito dal nostro sommo poeta: l’uomo di grande cuore, il saggio Elio Sesto, e molti altri, i quali, essendosi procurato grande prestigio coll’ingegno, dando consigli in questioni di diritto, si sono acquistata un’autorità superiore al loro stesso ingegno. [199] Se poi un uomo vuole da vecchio vedere attorno a sé molta gente e ricevere onori, quale mezzo può trovare più idoneo dello studio del diritto? In verità io mi sono procurato questo mezzo fin dalla prima giovinezza, non solo per servirmene nelle cause del foro, ma anche per acquistare onore e lustro nella vecchiaia: così quando le forze mi cominceranno ad abbandonare e questo giorno ormai non è lontano, la mia casa potrà essere immune dall’inconveniente della solitudine. Che cosa c’è di più bello di un vecchio che, dopo avere ricoperto varie cariche pubbliche, può a buon diritto dire quello che presso Ennio dice il Pitico Apollo, che, cioè, egli è l’uomo a cui si rivolgono per consiglio, se non i popoli e i re, almeno i suoi concittadini: incerti della propria salvezza; ed io coi miei consigli li rimando indietro sicuri e ben provvisti di saggezza, affinché non trattino temerariamente gli affari difficili.
[200] Senza dubbio la casa di un giureconsulto è l’oracolo di tutta la città; lo attestano la porta e il vestibolo di questo Q Mucio, che, malgrado la malferma salute e l’età ormai avanzata del proprietario, sono normalmente visitati da un gran numero di cittadini e da personaggi ragguardevolissimi [XLVI] [201] Ormai quei argomenti non desiderano un lungo discorso per cui, l’oratore deve conoscere le norme del diritto pubblico proprie di questa città e dell’impero e inoltre i fatti storici e le consuetudini degli antichi; come nelle cause e nelle decisioni di carattere privato il discorso deve spesso basarsi sulla conoscenza del diritto civile e per questo, come ho già detto, all’oratore è necessaria la conoscenza del diritto , così nelle cause di carattere pubblico, che si svolgono nei tribunali, davanti alle assemblee deliberative e in Senato, gli oratori che si dedicano alla politica debbono conoscere profondamente tutta la storia dell’antichità, le deliberazioni di diritto pubblico e l’arte di governare lo Stato. [202] Noi non tratteggiamo in questo nostro discorso la figura di un qualsiasi avvocato o di un declamatore o di un ciarlatano, ma di colui che innanzi tutto è un sacerdote di quell’arte che, sebbene in gran parte appartenga alla natura stessa dell’uomo, tuttavia sembra opera di un dio, cosicché ciò che è proprio dell’uomo sembra essere concesso all’uomo dal dio, anziché acquistato da lui stesso; di quell’uomo, dico, che adorno non tanto del caduceo quanto del nome di oratore, può aggirarsi incolume perfino tra i dardi dei nemici, esporre con la sua parola allodio dei cittadini e alla meritata punizione i delitti e le frodi dei colpevoli, liberare col sostegno dell’ingegno gli innocenti dalla condanna del tribunale, spingere verso la dignità il popolo infiacchito e traviato o distoglierlo dall’errore o eccitano contro i malvagi o calmano, qualora sia adirato contro i buoni: insomma dì quell’uomo che sa con la parola provocare e sedare nell’animo degli uomini quei sentimenti che le circostanze e la causa richiedono. [203] Se qualcuno crede che una tale facoltà sia stata già esposta da coloro che hanno scritto trattati di retorica, o possa essere esposta da me in poche parole, si sbaglia di grosso, e dimostra chiaramente che non sa rendersi conto non solo della mia insufficienza, ma neppure dell’importanza dell’argomento: in verità, dal momento che voi avete insistito, io ho voluto solo indicarvi le fonti, alle quali voi stessi poteste dissetarvi e le vie che ad esse conducono, però non in modo da essere io stesso la guida còmpito, questo, assai difficile per me e non necessario , ma in modo da mostrarvi solo la via e, come si suol fare, puntare il dito verso le fonti . [XLVII] [204] A me sembra, disse Mucio, che tu abbia fatto molto, per soddisfare il desiderio di questi giovani, ammesso che essi desiderino realmente dedicarsi a tali studi; si racconta che Socrate fosse solito dire che egli riteneva di aver adempiuto i suoi obblighi, se fosse riuscito con le sue esortazioni a suscitare in qualcuno il desiderio di conoscere la virtù; per coloro infatti che sono convinti che nulla sia da preferire all’essere uomini buoni, riesce facile apprendere ogni altra cosa; alla stessa maniera io penso che, se voi vorrete realmente apprendere quelle nozioni che Crasso vi ha indicato col suo discorso, potrete raggiungere il vostro scopo assai agevolmente, ora che egli vi ha aperto la strada.
[205] E Sulpicio: Il discorso di Crasso ci è riuscito molto gradito e piacevole; ma chiedere me poche cose, prima di tutto noi ti preghiamo, o Crasso, di esporci un po’ più diffusamente quei concetti riguardanti l’arte della retorica, che tu hai appena toccato: concetti che tu confessi di non disprezzare e di avere studiato: se farai ciò, esaudirai la lunga attesa di un nostro antico desiderio; siccome adesso sappiamo ciò che dobbiamo studiare il che veramente è assai importante , desidereremmo conoscere il vero metodo da seguire nel nostro studio. [206] E che disse Crasso dal momento che io, per potervi più agevolmente tenere presso di me, ho dato ascolto più alla vostra volontà che alle mie abitudini o al mio temperamento, non potremmo pregare Antonio di esporci quelle nozioni che tiene chiuse in sé e non ha ancora messo fuori, su cui si è lasciato sfuggire tempo fa un trattatello, com’egli stesso ha con dispiacere ricordato, e di rivelarci quei segreti dell’arte del dire? E Sulpicio: Come vuoi; noi sapremo lo stesso il tuo pensiero, anche se parlerà Antonio. [207] E allora Crasso: Ti chiedo, poiché la nostra età, o Antonio, ci impone l’obbligo di esaudire il vivo desiderio di questi giovani, di dire ciò che pensi intorno alle questioni che, come vedi, ti vengono poste. [XLVIII] Mi accorgo bene , disse Antonio, di essere stato preso in trappola, non solo perché mi vengono richieste cose, che io non conosco e con cui non ho dimestichezza, ma anche perché per opera di costoro io adesso non posso evitare ciò che soglio evitare nelle cause, cioè il dover parlare dopo di te, o Crasso; [208] ma io affronterò il còmpito che m’imponete con tanto maggior coraggio, in quanto spero che mi sarà concesso di adoperare in questa discussione quello stesso linguaggio che soglio adoperare nei dibattiti del foro: non aspettatevì quindi un discorso ornato ed elegante; infatti io non ho intenzione di parlarvi di un’arte che non ho mai studiato, ma del metodo che io soglio seguire; e quelle stesse norme che ho esposte nel mio commentario non sono nozioni apprese in un corso teorico, ma frutto della esperienza acquistata negli affari e nelle cause; e se esse non incontreranno l’approvazione di uomini coltissimi come voi, date la colpa alle vostre eccessive pretese voi infatti mi chiedete cose che non conosco , e lodate la mia arrendevolezza, se rispondo di buon grado alle vostre domande poiché io faccio questo non per mia volontà, ma per esaudire un vostro desiderio. [209] E Crasso di rimando: Continua pure, o Antonio siamo sicuri che parlerai con tanta conoscenza della materia, che a nessuno di noi verrà in mente di pentirsi per averti indotto a tale discorso. Io allora -disse- continuerò e farò ciò, poiché è necessario, al principio di ogni discussione, determinare con esattezza l’oggetto della discussione, per evitare che il discorso proceda disordinatamente, come avviene quando gli interlocutori dissentono tra loro e non sono d’accordo sull’oggetto delle loro ricerche.
[210] Infatti, se la nostra indagine fosse rivolta all’arte del generale, bisognerebbe a mio avviso, determinare prima d’ogni cosa l’arte del generale; dopo che noi avremmo definito costui un direttore, per dir così, della condotta della guerra, dovremmo aggiungere: e dell’esercito e degli accampamenti e delle marcie e degli attacchi e degli assedi delle fortezze e degli approvvigionamenti, e del modo di tendere e di evitare gli agguati e di tutti gli altri problemi legati alla condotta della guerra; io dunque chiamerei generali coloro che fossero esperti per ingegno naturale e per studi teorici, di tali problemi e porterei ad esempio gli Africani, i Massimi, Epaminonda, Annibale e uomini di tal genere. [211] Se poi volessimo definire l’uomo che dedica la sua attività pratica, la sua cultura e il suo zelo alla direzione della cosa pubblica, lo definirei in questo modo: vero rettore di uno Stato ed ispiratore delle deliberazioni di una pubblica assemblea può essere ritenuto colui che conosce ed usa i vari mezzi atti a procurare e ad accrescere l’utilità dello Stato e farei i nomi di P Lentulo , quel famoso presidente del Senato e Tib Gracco padre e Q Metello e P Africano e C Lelio e innumerevoli altri personaggi sia del nostro che degli altri paesi. [212] Se poi ricercassimo chi mai possa essere definito a giusto titolo giureconsulto, dirci che può definirsi tale l’uomo esperto dileggi e di quelle consuetudini su cui si appoggiano i cittadini di uno Stato, che sa dare pareri in materia di diritto, trattare cause e indicare i punti da evitarsi nelle cause stesse; e come esempi cli questo genere citerei Sesto Elio, Manio Manilio e Publio Mucio. [XLIX] Ma è tempo ormai di passare alle arti più leggere se uno volesse ricercare che cosa sia il musico o il grammatico o il poeta, io potrei alla stessa maniera dire quale sia la dottrina di ognuno di essi e che cosa noi possiamo pretendere da ciascuno. Perfino del filosofo, cioè dell’uomo che fa dipendere quasi tutto dalla forza della sua saggezza, è possibile dare una definizione: e io lo defluirei l’uomo che si sforza di conoscere l’essenza, la natura e le cause di tutte le cose divine e umane e vuole sapere e praticare tutte le norme del retto vivere. [213] In quanto all’oratore, infatti è dell’oratore che noi adesso ci occupiamo, io non ho il medesimo concetto di Grasso, che, a quanto ho potuto capire, racchiude nella funzione e nel nome di oratore la conoscenza di ogni disciplina e di ogni arte; io chiamerei oratore colui che sappia usare un linguaggio piacevole a sentirsi, ed esprimere pensieri convincenti nelle ordinarie cause del foro: dunque è questo il mio concetto dell’oratore, e vorrei inoltre che fosse fornito di una buona voce, di abilità nel gestire e di un certo brio. [214] Il nostro Crasso invece, a quanto pare, definisce il còmpito dell’oratore non in base ai confini dell’arte oratoria, ma in base ai confini del suo ingegno, che sono presso che illimitati; infatti egli è convinto di assegnare all’oratore il governo dello Stato e mi meraviglio davvero, o Scevola, che tu abbia accettato tale affermazione, pur sapendo che il Senato assai spesso su questioni importantissime, ha aderito alle tue tesi, da te esposte con breve e disadorno discorso.
Se M Scauro, uomo espertissimo nell’arte di governare lo Stato, che, a quanto sento dire, si trova attualmente in campagna, qui vicino, nella sua villa, sentisse dire che tu, o Crasso, rivendichi a te quel prestigio che egli si è acquistato con la sua austerità e il suo ingegno (infatti tu affermi che tale prestigio è proprio dell’oratore), sono sicuro che verrebbe sùbito qui e troncherebbe queste nostre ciarle col solo aspetto del suo volto; quest’uomo, pur non essendo l’ultimo degli oratori, deriva la sua autorità più dalla saggezza che dimostra nel trattare le questioni importanti che dall’abilità oratoria. [215] E veramente, se anche uno è valente in ambedue i campi, non possiamo dire che uno che sia capo di una pubblica assemblea ed eccellente senatore sia, per questa ragione, anche un valente oratore, né che un abile oratore, valente anche nel governo dello Stato, abbia raggiunto la sua abilità politica per mezzo della sua bravura oratoria: questi due campi sono assai diversi tra loro, del tutto separati e distinti, e non fu certo col medesimo metodo che M Catone, P Africano, Q Metello, C Lelio, tutti valenti nell’arte del dire, si segnalarono nell’eloquenza e nella vita politica. [L] Non è vietato né dalla natura né da alcuna legge o consuetudine che un singolo uomo possa conoscere più di una singola arte. [216] Pertanto, se Pericle fu per parecchi anni in Atene uomo eloquentissimo e nel medesimo tempo capo dell’assemblea politica, noi non possiamo per questo pensare che ambedue le facoltà siano prerogative del medesimo uomo e della medesima arte; così se P Crasso fu a un tempo valente oratore e giureconsulto, noi non possiamo per questo affermare che la scienza del diritto civile sia contenuta nell’arte del dire. [217] Se, ogni volta che un uomo eccellente in qualche arte si è reso padrone di un’altra arte, noi dovessimo affermare che l’arte appresa sia in un certo senso una derivazione di quella nella quale quell’uomo già eccelle, allora, in base a questo ragionamento potremmo dire che il giocare bene a palla e alle dodici linee sia una prerogativa del diritto civile: infatti P Mucio è stato un maestro in entrambi questi giochi; per lo stesso motivo coloro che presso i Greci vengono chiamati fisici , dovremmo chiamarli anche poeti, perché il fisico Empedocle scrisse un eccellente poema. Neppure i filosofi, che pure affermano che ogni scienza sia dì loro spettanza, e per questo pretendono di dominare tutto lo scibile, oserebbero dire che la geometria e la musica appartengono al filosofo, per il fatto che Platone, per universale giudizio, fu dottissimo in quelle scienze. [218] Se poi volete che tutte le arti siano sottoposte all’eloquenza, noi potremmo, con minore presunzione, affermare che, siccome l’arte del dire non deve essere considerata arida e spoglia, ma cosparsa e adorna di molte nozioni, varia e a un tempo piacevole, il valente oratore deve essere un uomo che ha ascoltato molto con le proprie orecchie, ha visto molto, ha molto riflettuto e pensato, e molto ha anche appreso attraverso le sue letture, ma non per farle sue ma per conoscerle superficialmente; per mio conto ammetto che un tale oratore debba essere un uomo scaltrito e ben addentro in ogni questione, nient’affatto impacciato e superficiale nel trattare le cause