Traduzione De oratore, Cicerone, Versione di Latino, Libro 01; 21-30
Traduzione in italiano del testo originale in latino del Libro 01; paragrafi 21-30 dell'opera De oratore di Marco Tullio Cicerone
DE ORATORE: TRADUZIONE DEL LIBRO 01; PARAGRAFI 21-30
[XXI][94] Perciò io indotto da questa opinione scrissi anche in un certo libretto, che mi sfuggì di mano a mia insaputa e senza che lo volessi, quella tale affermazione, che avevo conosciuto alcuni abili parlatori, ma nessun vero oratore, in quanto io definivo abile parlatore colui che è capace di parlare con sufficiente perspicacia e chiarezza davanti a uomini discretamente colti, secondo la comune maniera d’intendere, mentre uomo veramente eloquente era per me colui che è capace di ingrandire ed abbellire con uno splendido discorso gli argomenti che vuole, e sa abbracciare con la mente e la memoria tutte quelle fonti di cognizioni, che si riferiscono all’arte oratoria. Se ciò è difficile per noi, perché, prima di iniziare lo studio, siamo sopraffatti dalle cariche politiche e dagli impegni forensi, sia tuttavia messa nella cosa anche la natura: [95] per quanto posso congetturare, guardando al numero degli ingegni che vedo nel nostro popolo, ho speranza che possa nascere un giorno un uomo che, dedicandosi ad ascoltare, a leggere e a scrivere con una diligenza maggiore di quella che noi abbiamo e abbiamo avuto, e disponendo di una maggiore tranquillità, di una più pronta facoltà di apprendere e di una più intensa operosità, riesca un oratore tale quale noi desideriamo, il quale non solo potrà a buon diritto buon parlatore, ma anche eccellente oratore ;il quale oratore noi già l’abbiamo, a mio giudizio, in questo Crasso qui presente; se poi vi sarà qualcuno di pari ingegno, che avrà udito, letto e scritto più di lui, costui potrà aggiungere qualcosa a ciò che Crasso già possiede, ma certo non molto. [96] A questo punto ecco Sulpicio esclamare: Benché io e Cotta lo desiderassimo ardentemente, non avremmo mai sperato, o Crasso, che voi due affrontaste un discorso del genere; venendo qui ci reputavamo già abbastanza fortunati se, dai discorsi che voi avreste fatto intorno ad altri argo menti noi avessimo potuto cogliere qualche concetto degno di ricordo; che voi entraste nel cuore stesso di una discussione su tutta questa materia, chiamatela pure esercitazione o arte vera e propria o dote naturale, ci sembrava di non poterlo neanche desiderare. [97] Io infatti benché abbia provato fin dall’adolescenza una forte simpatia per ciascuno di voi due e per Crasso anche un profondo affetto, e mi sia tenuto sempre stretto al suo fianco, non sono riuscito a strappargli una sola parola sull’essenza e sul metodo delleloquenza, pur avendo tentato e da me stesso e spesso anche per mezzo di Druso; tu invece, o Antonio voglio essere franco non sei stato mai sordo alle richieste e alle domande che ti ho fatto su questa materia; spesso anzi mi hai illustrato il metodo che tu sei solito seguire nel preparare un discorso. [98] Ora, dal momento che ambedue ci avete aperto la strada verso quell’arte che noi desideriamo conoscere, e poiché Grasso ha dato l’avvio a questo discorso, concedeteci il favore di esporci dettagliatamente ciò che pensate su tutto questo tema dell’eloquenza; in verità, se otterrò da voi questo favore, sarò immensamente grato, o Crasso, a questa palestra e a questa tua villa Tuscolana, e terrò in molto maggior conto questo tuo suburbano ginnasio che la famosa Accademia e il famoso Liceo.
[XXII] [99] E Crasso di rimando: E allora, o Sulpicio, interroghino Antonio, che è in grado di fare quello che tu desideri ed è solito farlo, come tu affermi: infatti tu stesso poco fa hai detto che io ho sempre evitato del tutto un tale genere di discussioni e mi sono molto spesso rifiutato, benché tu lo desiderassi e mi pregassi; che io lo facevo non per superbia, né per scortesia, né perché non volessi favorire il tuo legittimo e nobile zelo, tanto più che in te io vedevo l’uomo più idoneo e adatto tra tutti allo studio dell’eloquenza; ma, per Ercole, io non sono abituato a un tale genere di discussioni e ignoro codeste norme, che vengono insegnate come se appartenessero a una vera e propria arte. [100] Allora Cotta: Dal momento che, o Crasso, siamo riusciti a farti parlare in generale su questo tema il che a noi sembrava impresa difficilissima, quanto al resto, sarà colpa nostra, se ti lasceremo andare, prima che tu abbia risposto esaurientemente alle domande che ti avremo fatte. [101] E Crasso di rimando: Purché si riferiscano a ciò che io so e che rientra nelle mie possibilità, come è usanza scrivere nelle dichiarazioni di eredità E allora Cotta: Ma certo! Infatti chi di noi sarà così impudente, da pretendere di sapere e di poter fare ciò che tu non sei in grado di fare o ignori? Allora interrogatemi a vostro piacere disse Crasso, ma a questa condizione, che io possa dire di non conoscere ciò che non conosco e confessare apertamente la mia ignoranza. [102] Bene, rispose l’altro, ti chiediamo di dirci cosa pensi su ciò che prima ha detto Antonio: credi veramente che esista un’arte del dire? E che? e disse Crasso volete propormi ora una piccola questione, su cui io possa parlare a mio capriccio, come se fossi un qualsiasi greco ozioso e chiacchierone, se pure dotto ed erudito? Quando mai voi pensate che io mi sia interessato o abbia riflettuto su questi problemi, e che io ho sempre deriso l’impudenza di coloro che, sedutisi in cattedra, invitano il vasto uditorio a porre tutte le domande che vuole? [103] Dicono che il primo a fare ciò sia stato Gorgia di Leontini a cui sembrava di fare una cosa straordinaria nel dichiararsi pronto a rispondere a tutte le domande, che ciascuno volesse fargli; dopo di lui quest’uso è divenuto generale e dura tuttora, tanto che non vi è argomento così importante o così inaspettato o così strano, su cui costoro non dichiarino di essere pronti a dire tutto ciò che è possibile dire. [104] Se avessi creduto che voi due, o Cotta e Sulpicio, desideravate sentir parlare di tali cose, avrei condotto qui un greco qualunque, che ci avrebbe rallegrato con discussioni di tal genere: infatti presso M Pisone giovane che s’interessa di questi studi, molto intelligente e a me molto affezionato, vive il peripatetico Stasea, che è un mio intimo amico ed è ritenuto da tutti gli intenditori il più valente maestro in questa materia.
[XXIII][105] Allora Mucio: Ma perché disse racconti di questo peripatetico Stasea? tuo dovere, o Crasso, esaudire il desiderio di questi giovani, che non vogliono sentire le quotidiane e inutili chiacchiere né i monotoni precetti scola t stici di un greco qualsiasi, ma l’opinione dell’uomo più saggio e più eloquente fra tutti, di colui che non si è acquistata fama spiegando dei manualetti scolastici, ma ha superato tutti per saggezza ed abilità oratoria, trattando cause importantissime, in questa città che è la sede dell’impero e della gloria: e un tale uomo è colui di cui essi desiderano ardentemente seguire le orme. [106] A dire il vero, io ti ho sempre stimato un maestro nell’arte del dire; però non ho mai lodato la tua eloquenza più della tua gentilezza; di questa ti conviene dar prova ora più che mai, e non evitare una discussione alla quale ti invitano due giovani così magnificamente dotati. [107] E Crasso: Veramente io sono lieto di accontentarli e non sarà una fatica per me dire brevemente, secondo il mio costume, ciò che penso su ciascun punto. Innanzi tutto debbo dire poiché non ritengo che mi sia lecito disprezzare il tuo autorevole consiglio che, a mio avviso, non esiste un’arte del dire, oppure si tratta di un’arte di scarsissima importanza: l’intero problema che viene dibattuto dai dotti si riduce a una questione di parole. [108] Infatti se un’arte è costituita, come ha affermato poco fa Antonio, solo da nozioni attentamente vagliate, profondamente studiate, sottratte alla diversità delle opinioni e riunite in un sistema razionalmente organizzato, non mi pare che ci possa essere un’arte oratoria: infatti tutti i generi di questa nostra eloquenza forense sono variabili e adattati al modo comune di sentire del popolo. [109] Se poi uomini intelligenti ed esperti hanno notato e segnalato, definito con termini specifici, illustrato con classificazioni e suddiviso in generi le norme che vengono seguite nell’uso pratico dell’eloquenza - e so bene che ciò è stato possibile, non comprendo perché non possa parlarsi di un’arte, se non secondo quella rigorosa definizione, almeno secondo questo modesto e comune concetto. Comunque, sia l’eloquenza un’arte o un’apparenza di arte, certo non è cosa da disprezzarsi: bisogna però riconoscere che ci sono altri mezzi più importanti per conseguirla. [XXIV] [110] Allora Antonio disse che lui era pienamente d’accordo con Crasso, perché non concepiva l’arte, come solevano fare coloro che riponevano tutta la forza dell’eloquenza nei precetti della retorica, né d’altra parte la rifiutava come faceva la maggior parte dei filosofi. E aggiunse: Io penso, o Crasso, che tu farai cosa gradita a costoro, se illustrerai quei mezzi che a tuo parere possono giovare all’eloquenza più della stessa retorica. [111] E Crasso di rimando: Dal momento che ho cominciato, continuerà il mio discorso, ma vi prego di non propalare queste mie sciocchezze; comunque, cercherò di moderarmi da me stesso, affinché io non appaia un maestro di retorica o uno specialista che abbia fatto delle promesse di sua iniziativa, ma un semplice cittadino romano, un oratore di comune levatura, fornito di una certa pratica del foro e di un po’ di cultura, che sia capitato per caso in questa vostra discussione.
[112] Vi confesso che quando ero candidato a una magistratura, nello stringere le mani degli elettori solevo mandar via da me Scevola, dicendogli, che io ero deciso a comportarmi da sciocco, cioè a chiedere la magistratura usando un comportamento troppo carezzevole; e quando si ricorre a un tale comportamento, bisogna fare lo sciocco; altrimenti non si raggiunge lo scopo; e Scevola veramente era il solo uomo tra tutti, davanti a cui io ci tenessi a non apparire sciocco, lui che ora è testimone e spettatore delle mie sciocchezze: infatti che c’è di più sciocco che parlare dell’arte del dire, quando sappiamo che lo stesso parlare è giustificabile solo quando è strettamente necessario? [113] Allora Mucio disse: Continua, o Crasso; mi prenderò io questa colpa, di cui tu hai paura. [XXV] E Crasso riprese: Io penso innanzi tutto che è nell’indole di ciascuno che si deve ricercare l’impulso maggiore verso l’eloquenza; e veramente a questi scrittori di retorica, dei quali poco fa parlava Antonio, non è mancato il metodo razionale dell’arte del dire, ma la disposizione naturale; infatti è necessario avere un animo e un ingegno agile e pronto, acutezza d’invenzione, abilità nel sapere illustrare gli argomenti, eleganza di stile, memoria salda e tenace; [114] e se qualcuno crede che queste qualità si possono acquistare con lo studio il che è falso; infatti si può considerare un grande guadagno se esse possono essere promosse e favorite dallo studio; ma non possiamo credere che sia lo studio a crearle dal nulla, perché sono tutte un dono della natura , che cosa dovrei dire di quelle qualità che indubbiamente nascono con l’uomo stesso, cioè la speditezza di lingua, il timbro della voce, i buoni polmoni, la robusta costituzione, quella certa nobiltà e proporzione del volto e del corpo? [115] Non dico che alcuni uomini non possano essere migliorati dall’arte so bene che le buone abitudini possono divenire migliori con lo studio, mentre quelle che non sono tali possono in qualche modo essere affinate e corrette vi sono però uomini così impacciati nel parlare, di voce così sgradevole, così grossolani e rozzi nel volto e nei gesti, che, se anche si distinguono per ingegno e per studio, non potranno mai giungere nel numero degli oratori; altri invece sono talmente dotati, così ricchi di pregi naturali, da non sembrare nati, ma addirittura plasmati da un qualche dio. [116] davvero una grande responsabilità assumersi apertamente il peso e l’impegno di parlare da solo, mentre tutti ascoltano, su problemi importantissimi, in una grande adunanza di uomini; quasi tutti, infatti, siamo portati a vedere in colui che parla più facilmente i difetti che i pregi; così il più piccolo errore che egli commette toglie valore anche a ciò che meriterebbe lode. [117] Non dico questo per distogliere completamente dallo studio dell’eloquenza quei giovani che si trovino ad essere sforniti di spiccata attitudine: chi infatti ignora che C Celio, mio coetaneo, un uomo che non può vantare un’antica nobiltà, si è procurato grande onore con quel po’ di abilità oratoria che poté raggiungere? E chi non sa che Q Vario, vostro coetaneo, uomo grossolano e volgare, si è acquistata una grande influenza nella nostra città in virtù di questa stessa abilità oratoria, qualunque essa sia [XXVI] [118] Ma poiché noi discutiamo del perfetto oratore, dobbiamo creare col nostro discorso un oratore immune da qualunque difetto e adorno di ogni pregio.
Infatti, se il gran numero dei processi, la diversità delle cause e questa barbara moltitudine che affolla i tribunali hanno aperto la via ai più scadenti oratori, noi non dobbiamo per questo perdere di vista l’oggetto delle nostre ricerche. Guardiamo con quanto scrupolo, e direi quasi con quanta severità, gli uomini esprimono un giudizio in quelle attività, in cui non si cerca un vantaggio immediato, ma un libero godimento dello spirito. Infatti in teatro non vi sono nè liti nè processi, tali da costringere gli spettatori a sopportare i cattivi attori, come nel foro sopportiamo i cattivi oratori. [119] Perciò è compito dell’oratore badare con ogni cura non a riuscire gradito a coloro ai quali non può non riuscire tale, ma a suscitare l’ammirazione cli coloro che sono in grado di giudicare liberamente; e se vorrete ascoltarmi, vi farò una confessione che non avevo ancora fatta a nessuno, perché non mi pareva giusto farla (voi siete i miei più cari amici): secondo me, anche coloro che parlano ottimamente e sono in grado di fare un discorso con estrema facilità e somma eleganza, se non affrontano il discorso con una certa timidezza e non mostrano qualche turbamento al principio di esso, sono quasi degli sfacciati- [120] veramente ciò non può accadere, perché quanto più un oratore è valente, tanto più comprende la difficoltà del parlare e teme gli imprevisti casi di un discorso e gli umori degli ascoltatori; invece colui che non è capace di concepire ed esporre nulla che sia degno dell’argomento, del nome di oratore e delle orecchie stesse del pubblico, anche se nel parlare si agita, mi sembra uno sfrontato: infatti non coll’arrossire, ma evitando di fare ciò che è sconveniente fare, noi sfuggiamo alla taccia di sfrontati; [121] colui che neppure arrossisce cosa che io noto in parecchi non solo, a mio avviso, è degno di rimprovero, ma anche di castigo. In verità ecco cosa soglio notare in voi e provo spessissimo io stesso: all’inizio di un discorso divengo pallido e tremo in tutta la mia anima e in tutte le mie membra: e una volta giovane mi scoraggiai talmente, all’inizio di un discorso di accusa, che Q Massimo al vedermi così avvilito e affranto dalla paura, subito rinviò la causa, del che gli sono immensamente grato. [122] Qui tutti approvarono, facendosi dei segni e parlando tra loro: cera infatti in Crasso una straordinaria modestia, che lungi dal danneggiare il suo discorso, lo favoriva, perché era una testimonianza della sua onestà. [XXVII] E allora Antonio: Ho notato spesso, o Crasso, che tanto tu quanto gli altri sommi oratori quantunque nessuno, a mio giudizio, possa reggere al tuo confronto vi mostrate, come tu dici, alquanto turbati nel principio del discorso; [123] della qual cosa volendo sapere perché mai, quanto più un oratore è valente, tanto più è timoroso, io ho indagato sui fatti che producono tale turbamento, e ho trovato questi due motivi: prima cosa che ad essi, ammaestrati dall’esperienza e dal loro naturale istinto, è chiara che talvolta i discorsi dei più grandi oratori non riescono secondo i desideri: così, non senza ragione, tutte le volte che debbono parlare, essi temono che possa accadere ciò che qualche volta può accadere; [124] l’altra ragione della quale spesso sono solito lamentarmi, è la seguente: in tutte le altre attività, quando uomini di riconosciuto valore, non raggiungono in qualche punto quella perfezione che è loro abituale, la gente crede che non hanno voluto impegnarsi o non hanno potuto raggiungere l’alto livello di cui sono capaci, perché impediti da indisposizione fisica: Roscio , essi dicono, oggi non era in vena di recitare oppure: Non aveva digerito bene ;per l’oratore invece, se notiamo qualche difetto, siamo soliti attribuirlo a incapacità; [125] e l’incapacità non trova nessuna scusa, poiché a nessuno sembra che uno possa essere stato incapace perché ha avuto mal di stomaco o perché ha preferito cosi; per questo noi subiamo un giudizio ancor più severo, quando parliamo in pubblico: infatti ogni volta che ci presentiamo a parlare in pubblico, così tante volte ci esponiamo ad essere giudicati, e ora, quando uno nel recitare ha commesso una volta un errore, noi non ci precipitiamo ad affermare che quell’attore ignora l’arte del gestire, quando invece un oratore ha commesso qualche errore parlando, ecco che si acquista l’opinione di stupidità per tutta la vita o certamente per lungo tempo.
[XXVIII] [126] Sono pienamente d’accordo con te, quando dici che vi sono molte doti, in cui l’oratore può trarre ben scarso giovamento dal maestro, se non le ha ricevute dalla natura e appunto io ho sempre apprezzato e lodato quel famoso valentissimo maestro Apollonio di Alabanda , il quale, benché insegnasse a pagamento, tuttavia non tollerava che coloro che non potevano, a suo giudizio, riuscire nell’eloquenza, perdessero il loro tempo alla sua scuola, ma li licenziava, esortandoli vivamente ad abbracciare quell’arte alla quale ciascuno gli sembrava adatto. [127] Nello studio di tutte le altre arti basta che uno abbia le doti di un uomo normale, voglio dire che sia capace di apprendere e ricordare le nozioni che gli vengono insegnate o, diciamo pure, impresse vivamente nella mente, se si tratta di una persona di modesta intelligenza; non si pretende da lui scioltezza di lingua o prontezza di parola o infine quei requisiti che non ci possiamo dare da noi stessi, come i lineamenti, l’espressione del volto e il timbro della voce: [128] nell’oratore invece si richiede la sottigliezza dei dialettici, i pensieri dei filosofi, il linguaggio, direi quasi, dei poeti, la memoria dei giureconsulti, la voce degli attori tragici e un’abilità nel gestire quasi dei più grandi attori di teatro; per questo nel genere umano niente può essere trovato di più raro del perfetto oratore: infatti quei pregi che noi ammiriamo nei singoli cultori delle singole arti, anche se si presentano in misura normale, qui, nell’oratore, apprezziamo solo se appaiono tutti uniti nella medesima persona e in misura elevatissima. [129] Allora Crasso: Eppure guarda quanto siamo più severi nei confronti di un’arte molto frivola e leggera che in quest’arte che tutti riconosciamo essere importantissima: spesso infatti ho sentito dire a Roscio che lui non ha ancora potuto trovare un discepolo che meritasse veramente la sua approvazione, e questo non perché non ci siano dei buoni attori, ma perché, solo che ci sia in essi un piccolo difetto, egli non riesce a tollerano; nulla infatti colpisce tanto la nostra attenzione, nulla s’imprime talmente nella nostra memoria quanto quella cosa in cui tu abbia riscontrato qualche errore. [130] Quando lodiamo un oratore, sarebbe bene che seguissimo i criteri di questo attore, non vedete che egli non fa nulla che non sia perfetto, nulla che non abbia una incomparabile grazia e il suo giusto decoro, non vedete che riesce a interessare e a dilettare tutti gli spettatori? Pertanto già da tempo egli ha ottenuto quest’onore, che chiunque in un’arte raggiunga la perfezione, venga chiamato nella sua arte un Roscio. Ma io ho un bel coraggio nel pretendere da un oratore quella perfezione assoluta, dalla quale io stesso sono ben lontano; desidero che gli altri siano indulgenti con me, ma io non lo sono con gli altri; tanto è vero che, come diceva Apollonio, penso che debba essere indirizzato al mestiere, per il quale mostra attitudine, chi è privo di capacità, chi commette degli errori, chi insomma non è adatto alla nostra arte.
[XXIX] [131] Vuoi dunque, disse allora Sulpicio, che io e questo Cotta ci diamo allo studio del diritto civile o dell’arte militare? Chi potrebbe, infatti, raggiungere questo sommo grado di perfezione? E Crasso di rimando: In verità, vi ho detto tutte queste cose, perché so che voi avete una straordinaria disposizione per l’eloquenza, e ho indirizzato tutto il mio discorso non tanto a dissuadere coloro che sono privi di attitudine, quanto a spronare voi che siete così ben disposti; e sebbene ho visto in entrambi vi è un eccellente ingegno e un immenso amore per l’eloquenza, debbo tuttavia riconoscere che quelle doti che potremmo chiamare esteriori, sulle quali io mi sono forse dilungato più di quanto sogliano fare i Greci, in te, o Sulpicio, sono davvero eccezionali; [132] non credo infatti di aver mai visto qualcuno meglio dotato per ciò che riguarda l’arte del gestire o lo stesso portamento o l’aspetto, qualcuno che avesse una voce più sonora o più gradevole; e le doti sono date in misura minore ad alcuni, ma questi tuttavia possono essere in grado di impiegare le doti che hanno con discrezione e intelligenza e in un modo che non offende il decoro. Bisogna infatti rispettare sempre il decoro, e questa è la cosa su cui è più difficile dare precetti, non solo per me, che sono qui a parlarvi come un qualunque padre di famiglia, ma anche per lo stesso Roscio; ho spesso sentito ripetere da costui che il fondamento dell’arte è il decoro, che purtroppo è la sola cosa che non può essere insegnata dall’arte. [133] Ma, se non vi dispiace, passiamo ad altro, e parliamo finalmente alla nostra maniera, liberi dalle regole della retorica. Niente affatto, disse Cotta; dal momento che tu non ci cacci via dallo studio dell’eloquenza, né ci esorti a seguire un’altra professione, noi siamo costretti a pregarti cli spiegarci in che cosa consista codesta tua eccellenza nell’arte del dire, qualunque essa sia;-noi non chiediamo troppo, ma ci accontentiamo del modesto livello che tu hai raggiunto- siccome non vogliamo superare nell’arte del dire il grado di perfezione che tu hai raggiunto, ti poniamo questa domanda: tu riconosci che noi siamo sufficientemente forniti di quelle doti, che solo la natura può dare; orbene, che cosa, a tuo parere, dobbiamo aggiungervi? [XXX][134] E Crasso ridendo: Che cosa credi, disse, che ciò possa essere se non la diligenza e la passione? Senza le quali non solo non riuscirai a conseguire alcun notevole successo nella vita, ma puoi star certo che fallirai anche lo scopo che ti sei prefisso. Vedo che voi non avete bisogno di essere stimolati a questi studi: anzi dal fatto che opprimete anche me con le vostre domande, debbo dedurre che siete anche infiammati da un fortissimo desiderio d’imparare. [135] Bisogna però riconoscere che il desiderio di raggiungere uno scopo a nulla serve, se non si conoscono i mezzi per conseguirlo.
Ora, siccome il compito che m’imponete non mi costa molta fatica, e voi non mi chiedete di fare una discussione sul perfetto oratore, ma di parlare della mia capacità oratoria, qualunque essa possa essere, vi esporrò non già dei precetti segretissimi o difficilissimi o grandiosi o solenni, ma ciò che io solevo fare da giovane, quando potevo praticare questi studi. [136] E allora Cotta: Ecco giunto, o Sulpicio, il giorno che abbiamo tanto desiderato! Quante volte ho cercato di conoscere, e con preghiere e con insidie e con lo stare alle vedette, quale fosse il metodo di Crasso nel preparare e nel pronunziare i suoi discorsi: e giammai sono riuscito non dico a conoscerlo, ma nemmeno a intravederlo attraverso le indiscrezioni del suo scrivano e lettore Difilo, quindi spero che raggiungeremo il nostro scopo e sapremo da Crasso in persona tutte quelle cose che da tanto tempo desideravamo conoscere