Traduzione De oratore, Cicerone, Versione di Latino, Libro 01; 11-20

Traduzione in italiano del testo originale in latino del Libro 01; paragrafi 11-20 dell'opera De oratore di Marco Tullio Cicerone

Traduzione De oratore, Cicerone, Versione di Latino, Libro 01; 11-20
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DE ORATORE: TRADUZIONE DEL LIBRO 01; PARAGRAFI 11-20

[XI] [45] A questo punto Crasso replicò: So bene, o Scevola, che tra i Greci si suole parlare e discutere di queste cose; infatti quando da questore, tornando dalla Macedonia, giunsi ad Atene, ebbi modo di ascoltare le lezioni di alcuni uomini valentissimi, quando l’accademia era nel suo pieno splendore, come si diceva a quei tempi, e in essa dominavano Carmada, Clitomaco ed Eschine; vi era anche Metrodoro, che era stato diligentissimo scolaro, insieme ai tre che ho nominato, proprio di quel famoso Carneade, l’oratore più illustre ed eloquente fra tutti, come essi stessi dicevano: molto ascoltato era pure Mnesarco, scolaro di quel tuo Panezio, e Diodoro, scolaro del Peripatetico Critolao; [46] vi erano inoltre molti altri eccellenti e famosi maestri di filosofia, da cui tutti pressoché unanimi cacciavano l’oratore dal governo dello Stato, lo escludevano da ogni serio studio e dalla conoscenza delle discipline più importanti, spingendolo e relegandolo nei tribunali e nelle adunanze di poco conto, come in un mulino; [47] ma io non davo ragione a costoro, né al primo inventore di queste discussioni, il più profondo ed eloquente fra tutti gli oratori, cioè Platone, di cui proprio allora io lessi attentamente, insieme a Carmada, il suo Gorgia: e la cosa che più mi colpì in questo libro fu questa, che Platone nel deridere gli oratori mi sembrava lui stesso un grandissimo oratore. Infatti è solo una questione di parole quella che affatica ormai da tempo codesti Greci, uomini più desiderosi di discutere che di ricercare la verità. [48] Infatti se uno ritiene che sia oratore colui che è capace di parlare copiosamente davanti ai pretore o ai giudici o nelle assemblee popolano in Senato, noi siamo obbligati ad ammettere perfino in un oratore di questo genere molte conoscenze; se egli non avrà una lunga pratica di tutti gli affari pubblici e una sicura nozione delle leggi, delle tradizioni, del diritto, del l’indole dei costumi degli uomini, non potrà trattare quegli stessi argomenti con la dovuta perspicacia e perizia; d’altra parte se possiederà queste nozioni, senza le quali non potrà difendere decorosamente, nei processi, neppure le questioni più semplici, come potrà ignorare le nozioni più importanti? Se poi tu ammetti che è caratteristica essenziale dell’oratore parlare con ordine, eleganza e abbondanza, io vi chiedo: come potrà egli ottenere ciò senza quelle nozioni che voi gli negate? Infatti l’arte del dire non ha modo di rifulgere se l’oratore non ha studiato profondamente i problemi che dovrà trattare. [49] Perciò, se, come dicono ed io credo, quel famoso filosofo naturalista Democrito parlava con eleganza, dobbiamo ammettere che la materia dei suoi discorsi apparteneva al naturalista, ma l’eleganza formale apparteneva all’oratore; e se Platone ha parlato divinamente su problemi che non hanno alcuna attinenza coi dibattimenti riguardanti il diritto civile, e se Aristotele, Teofrasto e Carneade hanno trattato i loro argomenti con abbondanza di eloquio con eleganza e raffinatezza di linguaggio, i problemi da essi trattati appartengano pure ad altre discipline specifiche, la forma del discorso appartiene a questa unica disciplina, che costituisce l’oggetto del nostro discorso ed indagine.

[50] Sappiamo bene che su questi medesimi argomenti alcuni filosofi hanno discusso con uno stile arido e povero, come quel Crisippo che tutti ritengono spirito acutissimo e che non venne meno al suo compito di filosofo, per il fatto che non avesse quell’abilità oratoria che proviene da un’arte estranea alla filosofia. [XII] Che differenza c’è dunque, o in qual modo potremmo distinguere l’eloquenza ricca e doviziosa di coloro che ho ricordato dall’aridità di coloro che non posseggono una tale varietà ed eleganza di linguaggio? Una caratteristica di coloro che parlano bene è certamente questa: uno stile armonioso e forbito, che si distingue per la sua elegante fattura; ma un tale stile, se non poggia sopra un argomento perfettamente conosciuto dall’oratore, inevitabilmente o non ha alcuna consistenza o è deriso da tutti. [51] Quale stoltezza può eguagliare un vuoto fragore di parole, perfino le più scelte ed eleganti, che non siano sostenute da un pensiero e dalla perfetta conoscenza dell’argomento? Pertanto, qualunque sia l’argomento, a qualunque arte o disciplina appartenga, come se avesse imparato la causa del cliente, l’oratore lo esporrà con maggiore competenza ed eleganza dello stesso inventore e provetto intenditore. [52] E se qualcun sostiene che vi sono determinati argomenti e problemi propri degli oratori e una speciale scienza limitata ai tribunali, io ammetterò che il nostro genere di eloquenza s’interessa con maggiore frequenza di questi problemi; tuttavia in questo ristretto spazio ci sono moltissime nozioni, che non vengono insegnate e non sono neanche conosciute dai cosiddetti retori. [53] Chi non sa che la più grande forza dell’eloquenza si esprime nello spingere gli animi umani sia all’ira che allodio e al dolore, o nel riportarli da questi medesimi sentimenti alla dolcezza e alla misericordia? Ma tali effetti, che sono lo scopo dell’oratore, non potranno essere ottenuti con la parola, se non da colui che avrà conosciuto perfettamente le indoli degli uomini, l’intera essenza della natura umana e i motivi che possono eccitare o calmare gli animi. [54] Orbene, sembra che tutto questo è compito particolare dei filosofi e l’oratore, a mio giudizio, non lo ammetterà mai; però quando avrà lasciato a quelli la conoscenza della materia poiché solo di tale conoscenza essi vogliono interessarsi , prenderà per sé l’elaborazione artistica del discorso, che è impensabile senza la perfetta conoscenza dell’argomento; infatti, come spesso ho detto, ciò che si addice particolarmente all’oratore è un discorso efficace, elegante, adatto ai sentimenti e all’intelligenza degli uomini. [XIII] [55] Ammetto che su tali argomenti abbiano scritto anche Aristotele e Teofrasto; ma bada, o Scevola, che tale fatto potrebbe deporre interamente in mio favore: infatti io non prendo in prestito dai filosofi le nozioni che l’oratore possiede in comune con loro; i filosofi invece ammettono che sono proprie degli oratori le discussioni che essi fanno su tali argomenti, perciò mentre a tutti gli altri libri dànno un titolo derivato dalla disciplina che essi professano, intitolano e chiamano questi libri retorici.

[56] Se in un discorso dovessero essere illustrati cosa che capita spesso temi come gli dèi immortali, la pietà, la concordia, l’amicizia, il diritto comune dei cittadini, degli uomini, delle genti, la giustizia, la temperanza, la generosità, e ogni altro genere di virtù, tutti i ginnasi lo credo bene e tutte le scuole filosofiche griderebbero che tali argomenti sono di stretta loro spettanza e che non interessano per nulla l’oratore; [57] ma quando io avrò concesso che i filosofi possono discutere su questi argomenti, nel chiuso delle loro scuole, a titolo di svago, dovrò riconoscere all’oratore la facoltà di illustrare con un discorso veramente piacevole ed efficace quei temi che quelli trattano con un discorso, per dir così, debole e senza forza. Questa tesi io l’ho sostenuta davanti agli stessi filosofi in Atene spinto da questo nostro M Marcello, che certamente sarebbe presente a questa conversa zione, se in questi giorni non fosse impegnato nell’organizzazione dei ludi: allora egli era molto giovane e mostrava una straordinaria attitudine a questi studi. [58] In materia di elaborazione di leggi, di guerra, di pace, di popoli alleati o tributari, di diritto dei cittadini distinti in varie categorie a seconda della classe e dell’età, dicano pure i Greci, se vogliono, che Licurgo e Solone per quanto io stesso ammetto che costoro debbano essere annoverati tra gli uomini più eloquenti fossero più valenti di Iperide e Demostene, uomini che ebbero indubbiamente un’eloquenza perfetta e forbitissima, oppure concediamo ai nostri di anteporre in questo campo i decemviri, che scrissero le leggi delle XII Tavole, e che dovettero essere uomini ricchi di saggezza, a Servio Galba e al suocero tuo C Lelio che, come tutti sappiamo, furono sommi nell’arte del dire. [59] Io non voglio negare che certe determinate conoscenze siano proprie di coloro che hanno dedicato tutte le loro cure a studiarle e a praticarle: sono però convinto che perfetto oratore è solo colui che sia in grado di parlare con un linguaggio ricco e vario su qualsiasi argomento. [XIV] Spesso infatti nelle stesse cause, che per unanime consenso sono di stretta pertinenza dell’oratore, vi è qualcosa che non si può trarre o derivare dalla pratica del foro, che sola voi concedete all’oratore, ma da qualche altra scienza più recondita. [60] Io domando come si possa parlare contro o a favore di un generale, quando non si conosce l’arte militare e non si conoscono i luoghi terrestri o marittimi; come si possa parlar nelle assemblee popolari in difesa o contro l’approvazione di una legge e, in Senato, su ogni affare dello Stato senza una profonda conoscenza ed esperienza degli affari pubblici; come si possa fare un discorso inteso ad eccitare o a placare i sentimenti e le passioni dell’animo umano che è il primo requisito del perfetto oratore senza uno studio accuratissimo di tutte quelle teorie psicologiche ed etiche che vengono esposte dai filosofi.

[61] E forse in quello che sto per dire io incontrerò ancor meno la vostra approvazione; tuttavia vi dirò senza esitazione il mio pensiero: la fisica, la matematica e quelle discipline che, stando a ciò che dianzi tu hai detto, costituiscono l’oggetto di tutte le altre scienze, formano il bagaglio culturale di quelle persone che le coltivano: però se qualcuno vorrà illustrare col discorso queste stesse scienze, dovrà necessaria- mente ricorrere alle risorse dell’eloquenza. [62] noto che il celebre architetto Filone, che costruì l’arsenale di Atene, rese conto della sua opera al popolo con uno splendido discorso: orbene, non possiamo certo pensare che egli sia stato eloquente più per la sua perizia di architetto che per la sua abilità di oratore; e se questo M Antonio qui presente avesse dovuto parlare in favore di Ermodoro e del suo arsenale, una volta studiata la causa con l’aiuto del suo cliente, avrebbe certamente parlato con eleganza e ricchezza su un’arte a lui estranea; ed Asclepiade , che fu nostro medico ed amico, quando superava tutti gli altri medici nell’eloquenza, in quanto parlava con eleganza, non si serviva certo delle risorse della medicina, ma dell’eloquenza. [63] Più ragionevole, per quanto non vera, è quell’affermazione che soleva spesso fare Socrate, che tutti sono abbastanza eloquenti in ciò che sanno; più vera è quest’altra, che come nessuno può essere eloquente in un argomento che ignora, nessuno può parlare perfettamente sull’argomento che conosce, se, pur conoscendolo, ignora l’arte di fare e abbellire un discorso. [XV][64] Se volessimo dunque dare un’esatta e completa definizione del concetto di oratore, nel suo complesso e nella sua essenza, dovremmo dire che oratore perfetto e degno di un nome così illustre è solo colui che, qualunque sia l’argomento che dovrà essere illustrato con la parola, saprà parlare con cognizione di causa, con ordine, con eleganza, con buona memoria e nello stesso tempo con una certa dignità di gesti. [65] Se poi a qualcuno sembrerà eccessiva la mia affermazione qualunque sia l’argomento , io permetto che essa sia circoscritta e ridotta, come a ciascuno piacerà, tuttavia, su questo punto terrò duro, se l’oratore ignora ciò che appartiene alle altre discipline e agli altri studi e conosce solo ciò che è connesso con le discussioni e la pratica forense, dovendo discutere su questi stessi problemi a lui ignoti, purché abbia appreso dagli intenditori ciò che si riferisce a ciascun problema, parlerà molto meglio di quegli stessi che coltivano quelle discipline. [66] Così se questo Sulpicio qui presente dovesse discutere dell’arte militare, assumerebbe informazioni dal nostro parente C Mario, e, avendole avute, ne discuterebbe in maniera tale da apparire agli occhi dello stesso Mario quasi un miglior conoscitore della materia di lui stesso; o se dovesse discutere di diritto civile, consulterebbe te, e negli stessi argomenti da te appresi supererebbe con la sua facondia te stesso, che pure sei un uomo dottissimo ed espertissimo.

[67] Se poi si presentasse un’occasione in cui fosse necessario parlare della natura, dei vizi e delle passioni degli uomini, della moderazione, del dominio di sé stessi, del dolore e della morte, forse, se ciò gli sembrasse opportuno benché veramente l’oratore debba conoscere anche ciò consulterebbe Sesto Pompeo, uomo versatissimo negli studi filosofici ;insomma su qualsiasi argomento, da chicchessia appreso, egli certamente sarebbe in grado di parlare molto più elegantemente di colui dal quale fosse stato istruito. [68] Ma se volete dare retta a me, poiché la filosofia si compone di tre parti, e cioè della fisica, della dialettica e dell’etica, trascuriamo pure e sacrifichiamo alla nostra pigrizia le prime due parti; alla terza però, che è stata sempre il sicuro dominio dell’oratore, noi abbiamo l’obbligo di restare fedeli: altrimenti l’oratore non avrà nessun campo, ove possa mostrare il suo ingegno. [69] Perciò questa parte della filosofia che tratta della vita e dei costumi degli uomini, l’oratore deve studiarla profondamente tutta quanta; le altre parti, se pure non le avrà apprese, le potrà esporre con eleganza, se si presenterà l’occasione, purché gli siano state comunicate ed insegnate [XVI] Infatti se, come i dotti ben sanno, un uomo ignaro di astronomia, Arato, poté cantare il cielo e le stelle in versi elegantissimi e di squisita fattura e un altro, Nicandro di Colofone, che non aveva alcuna dimestichezza con la campagna, poté parlare egregiamente di agricoltura, avvalendosi delle sue capacità di poeta e non di agricoltore, per quale motivo un oratore non dovrebbe parlare speditamente intorno a quegli argomenti su cui si sarà preparato in vista di una determinata causa o avvenimento? [70] Il poeta è assai vicino all’oratore, eccettuato il fatto che è un po’ più legato al metro, è più libero nell’uso di ardite espressioni, e può fare uso quasi nello stesso modo dei numerosi abbellimenti stilistici; c’è un punto poi in cui gli è somigliantissimo, e cioè nel non permettere che i propri diritti siano limitati o circoscritti entro precisi confini, tanto da essere impedito di andare dove voglia, con la stessa piena libertà. [71] Quanto poi a ciò che tu, o Scevola, hai affermato, che cioè, se non ti fossi trovato in un campo di mio assoluto dominio non avresti tollerato la mia affermazione, che l’oratore deve essere perfetto in ogni genere di discorso e in ogni ramo dello scibile, sappi che io giammai avrei detto ciò, se avessi pensato di essere io stesso il tipo ideale che vagheggio. [72] Ma io accetto in pieno il giudizio che soleva ripetere C Lucilio , quell’uomo dotto e di fine sentire, che aveva una certa ruggine con te e che appunto per questo aveva con me minore dimestichezza di quanta ne avrebbe voluto: che cioè nessuno possa essere compreso nel numero degli oratori, se non possegga una profonda cultura in quelle discipline che si addicono a un uomo libero; e se noi possiamo non fare uso nei nostri discorsi, però è chiaro a tutti se ne siamo forniti o privi; [73] come coloro che giocano a palla non applicano nell’atto di giocare le regole proprie della palestra, però i loro stessi movimenti e ci dicono chiaramente se si siano seriamente addestrati nella palestra o no, così pure coloro che scolpiscono qualcosa, benché nell’atto dello scolpire non facciano uso del disegno, tuttavia è chiaro se conoscono il disegno o no; così in questi discorsi che si tengono nei tribunali, nelle assemblee politiche o davanti al Senato, anche se l’oratore non tocca direttamente le nozioni pertinenti alle altre discipline, tuttavia appare chiaramente se egli si sia addestrato soltanto in questo materiale esercizio del declamare, oppure si sia dato all’eloquenza dopo avere studiato profondamente tutte le discipline degne di un uomo libero.

[XVII] [74] Allora Scevola sorridendo: Non lotterò più- disse- con te, o Crasso; con la tua abilità, tu hai fatto trionfare nella tua replica il tuo punto di vista: da una parte mi hai dato ragione, quando io volevo negare certe doti all’oratore, dall’altra ti sei di nuovo riprese, non so in che modo, queste stesse doti, per assegnarle in maniera stabile all’oratore. [75] Quando io, eletto pretore, venni a Rodi e mi misi a discutere intorno a certi concetti, che avevo appena preso da Panezio, con Apollonio, sommo maestro di tale disciplina, questi ebbe parole di derisione e di disprezzo, come faceva sempre, per la filosofia e tenne un lungo discorso intessuto più di frasi scherzose che di serie argomentazioni; il tuo discorso è stato tale che, pur non disprezzando nessun arte o disciplina, le hai rese tutte compagne e ancelle dell’oratore. [76] Certo, se vi fosse un uomo che possedesse tutte le discipline e vi aggiungesse l’arte di parlare splendidamente, io non esiterei a proclamarlo straordinario e veramente ammirevole; e se un tale uomo ci fosse o ci fosse mai stato o ci potesse essere, certo tu solo potresti essere costui, tu che a mio giudizio e a giudizio di tutti lo dirò con buona pace dei presenti a stento hai lasciato un po’ di gloria a tutti gli altri. [77] E veramente se tu, che pure conosci profondamente tutto ciò che ha attinenza alla vita forense e agli affari politici, non sei riuscito ad abbracciare quella vasta cultura che pretendi in un oratore, stiamo attenti a non pretendere dall’oratore più di quanto permetta la realtà stessa delle cose. [78] A questo punto Crasso: Ricordati disse che io ho parlato non delle mie capacità, ma delle capacità del perfetto oratore; infatti che cosa ha imparato o che cosa poteva imparare un uomo come me, che ha affrontato la pratica prima di apprendere la teoria, che è stato oppresso dal peso della fatica per l’attività svolta nel foro, nella conquista delle candidature, nell’esercizio delle cariche politiche e nella difesa degli amici, prima che potesse sospettare l’esistenza di tante nobili cognizioni? [79] E veramente, se tu ritieni che ci siano tante capacità in me, a cui se non è mancata del tutto, secondo il tuo giudizio, la disposizione naturale, sono certo mancati la dottrina, il tempo libero e, per Ercole, anche il desiderio ardentissimo d’imparare, pensa quale grande oratore potrebbe diventare quell’uomo che ad un ingegno anche più acuto del mio unisse la conoscenza di quelle nozioni che io non ho apprese? [XVIII][80] E Antonio di rimando: Approvo pienamente, o Crasso, quello che dici, e non dubito affatto che sia molto più ricca l’eloquenza di colui che abbia veramente penetrato l’essenza e la natura di ogni cosa e di ogni disciplina; [81] ma innanzi tutto la cosa non è facile, specialmente in questa nostra vita tanto piena d’impegni; in secondo luogo c’è anche il pericolo di essere distolti dal nostro abituale genere dell’eloquenza politica e forense.

Ben diverso infatti mi sembra essere il genere di eloquenza di quegli uomini che tu dianzi hai menzionato sebbene essi discorrono con eleganza ed efficacia sulla natura o sulle umane cose; il loro modo di esprimersi è certo brillante e fiorito, ma è adatto più ad esercitazioni scolastiche che a discorsi da tenere davanti a folle di cittadini adunati nel foro. [82] Benché io abbia conosciuto tardi e superficialmente la letteratura greca, tuttavia arrivai ad Atene, mentre andavo come proconsole in Cilicia, e per le difficoltà della navigazione mi avevano obbligato a fermarmi in quella città alcuni giorni; ma, poiché ogni giorno avevo con me uomini dottissimi, quegli stessi pressa poco che tu prima hai nominato, essendosi sparsa tra loro la voce che io ero solito trattare cause piuttosto come fai tu, ciascuno si sforzava, come poteva, per illustrarmi il compito e il metodo del vero oratore. [83] Alcuni di costoro, tra i quali questo stesso Mnesarco, dicevano che coloro che noi chiamiamo oratori non sono altro che dei mestieranti, forniti di lingua veloce e addestrata: che il vero oratore deve essere un filosofo, che l’eloquenza stessa, poiché non è altro che la scienza del parlar bene, è una specie di virtù, e che chi ha una virtù le ha tutte, e che le virtù sono eguali tra di loro per qualità e per pregio; così da ciò deducevano che chi è eloquente possiede tutte le virtù ed è un filosofo. Ma questo era un ragionamento veramente cavilloso e arido, molto lontano dal nostro modo di sentire. [84] Carmada invece teneva discorsi molto più lunghi sui medesimi argomenti, senza però far capire il suo pensiero, perché era un metodo tradizionale degli Accademici combattere sempre nella discussione tutte le opinioni; tuttavia la sua intima convinzione era questa, che i cosiddetti retori, cioè coloro che insegnano l’arte del dire, non sanno proprio nulla e che nessuno può apprendere l’arte oratoria se non ha appreso le verità escogitate dai filosofi. [XIX] [85] Di parere opposto erano alcuni Ateniesi eloquenti e ricchi d’esperienza politica e forense, tra i quali vi era quel Menedemo, che ha dimorato recentemente a Roma, mio ospite; e costui poiché sosteneva l’esistenza di una scienza particolare, basata sullo studio delle norme che regolano la costituzione e il governo degli Stati, faceva scattare quell’uomo così eccitabile, così ricco di dottrina e di una mole veramente enorme di varie nozioni: egli insegnava che tutto ciò che appartiene a questa scienza deve essere ricercato nella filosofia, e che nei libri degli oratori non c’è alcuna traccia di quelle deliberazioni che in uno Stato vengono prese intorno agli dèi immortali, alla educazione dei giovani, alla giustizia, alla tolleranza, alla misura che deve osservarsi in tutte le cose, insomma nessuna traccia di tutte quelle norme che sono indispensabili al buon ordinamento e all’esistenza stessa degli Stati; [86] e se questi illustri maestri di retorica sanno abbracciare con la loro arte una così grande quantità di argomenti importantissimi, perché egli si domandava i loro libri sono infarciti di proemi, di epiloghi e di sciocchezze di questo genere cosi egli le definiva mentre non si incontra una parola sulla costituzione degli Stati, sulla promulgazione delle leggi, sull’equità, sulla giustizia, sulla lealtà, sulle maniere di vincere le passioni ed educare i costumi degli uomini? [87] In quanto poi agli stessi precetti, egli soleva deriderli a tal punto, da mostrare che quei maestri non solo erano digiuni di quella scienza che si arrogavano, ma non conoscevano neppure le norme che regolano l’arte del dire: egli infatti pensava che la dote principale di un oratore è apparire agli occhi degli ascoltatori tale quale egli desidera: ciò si può ottenere con la dignità della vita, sulla quale codesti maestri di retorica non ci hanno lasciato proprio nulla nei loro libri pieni di precetti; occorre anche che gli uditori provino nei loro animi quei sentimenti che l’oratore ha voluto loro infondere: e ciò non può affatto succedere se l’oratore non sa in quante e in quali maniere e con quale genere di discorsi gli animi degli uomini possano essere piegati verso ciascuna direzione; questi sono concetti chiusi e nascosti nelle intime viscere della filosofia, che codesti retori non hanno sfiorato neppure con la punta delle labbra.

[88] Menedemo si sforzava di confutare tali affermazioni più per mezzo di esempi che di argomenti; e recitando a memoria molti splendidi brani tratti dalle orazioni di Demostene, sosteneva che quell’oratore, col piegare per mezzo della parola verso ogni direzione l’animo dei giudici o del popolo, aveva dimostrato di conoscere bene con quali mezzi potesse raggiungere il suo scopo, mentre Carmada pensava che nessuno potesse conoscerli senza lo studio della filo putare sofia. [XX] [89] Carmada rispondeva dicendo di ammettere che Demostene aveva avuto una enorme saggezza politica e una straordinaria arte oratoria; però, sia che avesse raggiunto ciò con le sue doti naturali, sia perché era stato zelante uditore di Platone, cosa di cui tutti erano a conoscenza, si trattava ora di ricercare non ciò che quello avesse saputo fare, ma ciò che i maestri di retorica son capaci d’insegnare. [90] Spesso nella foga del discorsi arrivava perfino ad affermare che non esiste affatto un arte del dire; e dopo avere dimostrato ciò con argomentazioni, mostrando da una parte che noi siamo fatti dalla natura in modo tale che possiamo insinuarci con dolcezza nell’animo di coloro ai quali dobbiamo chiedere qualcosa, e atterrire minacciosa- mente gli avversari, ed esporre ciò che abbiamo fatto, e sostenere con validi argomenti le nostre tesi, e confutare le ragioni dell’avversario, e alla fine stornare da noi con preghiere e pianti un malanno atti nei quali si esprime tutta labilità dell’oratore , e dall’altra che la consuetudine e l’esercizio acuiscono l’acume dell’intelletto e sviluppano l’agilità della parola; e adduceva un gran numero di esempi a sostegno delle sue affermazioni. [91] Egli diceva dapprima che, quasi a farlo apposta, non cera mai stato tra coloro che avevano scritto trattati di retorica uno che avesse saputo parlare, neppure in maniera decente, a partire da un certo Corace e da Tisia che, come tutti sanno, sono stati gli inventori e gli iniziatori di quest’arte, mentre poteva ricordare un numero incredibile di uomini eloquentissimi, che non avevano appreso codeste norme, né si erano mai curati di apprenderle; tra questi ultimi, sia che volesse scherzare, sia che così realmente credesse e avesse sentito dire, annoverava anche me: a questo proposito egli diceva che io, senza studiare precetti di retorica, sono divenuto abile oratore; sul primo punto, che cioè non mi sono mai applicato allo studio della retorica, io acconsentivo di buon grado con lui; per quanto concerne il secondo punto, io pensavo che volesse prendermi in giro o che si ingannasse. [92] Egli dunque affermava che non può esistere una scienza che non poggi su cognizioni ben approfondite, rivolte ad un unico fine e infallibili: ora, tutte le questioni che vengono trattate dagli oratori sono vaghe e incerte, perché provengono da persone che non hanno piena conoscenza di esse e sono ascoltate da gente a cui non vengono comunicate esatte cognizioni, ma solo opinioni momentanee o false o per lo meno oscure.

[93] Che altro? Egli mi aveva quasi convinto che non esiste alcun’arte che insegni a parlare e che nessuno è in grado di parlare efficacemente o copiosamente, se non conosce le dottrine che ci vengono esposte dai più dotti filosofi; in queste discussioni Carmada era sempre pieno di ammirazione per il tuo ingegno, o Crasso: diceva che aveva trovato in me un discepolo docilissimo e in te un robusto contraddittore

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