Traduzione De oratore, Cicerone, Versione di Latino, Libro 01; 01-10

Traduzione in italiano del testo originale in latino del Libro 01; paragrafi 01-10 dell'opera De oratore di Marco Tullio Cicerone

Traduzione De oratore, Cicerone, Versione di Latino, Libro 01; 01-10
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DE ORATORE: TRADUZIONE DEL LIBRO 01; PARAGRAFI 01-10

[I, 1] Quando penso e richiamo alla mia memoria, come faccio spesso, gli antichi avvenimenti, assai felici mi sembrano, o fratello Quinto, quegli uomini che, vivendo in uno Stato ottimamente ordinato, carichi di onori e di quella gloria che proviene dalle imprese compiute, poterono seguire un tale indirizzo di vita, da essere in grado di svolgere senza pericolo la loro attività politica e godersi con dignità la quiete della vita privata; e ci fu un tempo in cui pensavo che anche per me sarebbe arrivata l’ora del meritato riposo che nessuno, credo, mi avrebbe negato, in cui avrei potuto rivolgere la mente ai nostri nobili studi, se, dopo avere percorso la carriera delle pubbliche cariche, trovandomi per di più innanzi con gli anni, avessi posto termine alle interminabili fatiche degli affari forensi e alle brighe delle candidature. [2] Ma le gravi calamità dello Stato e le nostre varie vicende hanno reso vana questa speranza dei miei pensieri e dei miei progetti; infatti proprio in quello che sembrava il tempo più propizio al riposo e alla tranquillità, sorse un enorme cumulo di guai e di tantissimi avvenimenti; e sebbene lo desiderassimo ardentemente, non ci fu mai concesso di godere un po’ di riposo, per coltivare e riprender insieme a te quegli studi, ai quali ci eravamo dedicati fin dalla fanciullezza. [3] Nell’adolescenza ci imbattemmo proprio nella rovina dell’antica costituzione; da console ci trovammo di fronte al pericolo estremo dello Stato; tutto il tempo che segui al consolato lo dedicammo a respingere quegli attacchi che, stornati per opera nostra dall’intera nazione, dovevano riversarsi su noi stessi. Tuttavia né le difficoltà dell’attuale situazione politica, né la ristrettezza del tempo m’impediranno di consacrarmi ai nostri studi, perché sono deciso di dedicare alla mia attività di scrittore tutto il tempo che mi lasceranno libero le insidie dei nemici, le cause degli amici o gli impegni politici; [4] non sarò dunque sordo, o fratello, alle tue esortazioni e alle tue preghiere: nessuno infatti presso di me può più di te per autorità ed affetto. [II] Deve essere richiamato da me il ricordo di un fatto piuttosto lontano nel tempo che, pur non essendo del tutto chiaro nella mia mente, si addice benissimo, a mio avviso, a ciò che mi richiedi, affinché tu sappia quale opinione avessero sui problemi dell’eloquenza gli uomini più eloquenti ed illustri. [5] Poiché quello che da ragazzo, o diciamo pure da adolescente, pubblicai servendomi dei miei appunti scolastici, in forma appena abbozzata e disadorna, non è degno di questa mia età e dell’esperienza che ho acquistata attraverso così numerose ed importanti cause trattate, tu vorresti e me l’hai detto varie volte che io pubblicassi sul medesimo argomento un’opera più elegante e compiuta; d’altra parte, quando discutiamo, tu suoli talvolta dissentire da me, e mentre io affermo che l’eloquenza si basa su una profonda cultura scientifica, tu sostieni che essa deve essere ritenuta indipendente da una elevata cultura scientifica e collocata in un certo tipo d’ingegno e genere di esercizi.

[6] E veramente nelle riflessioni, che spesso faccio, sugli uomini sommi e forniti di sommo ingegno, mi è sembrato che si dovrebbe indagare perché mai gli uomini eccellenti sono più numerosi nelle altre arti che nell’eloquenza; infatti ovunque tu volga il pensiero, vedrai che moltissimi raggiunsero la perfezione non solo nelle arti minori, ma, oserei dire, nelle più importanti. [7] Chi infatti, volendo misurare il valore degli uomini illustri dall’utilità e dalla grandezza delle imprese compiute, non anteporrebbe il generale all’oratore? E chi potrebbe mettere in dubbio che di generali eccellenti, nella sola Roma, potremmo addurre esempi presso che infiniti, mentre di eccellenti oratori potremmo citare solo qualche nome? [8] D’altra parte, noi abbiamo visto molti uomini capaci, per senno e saggezza, di ben governare lo Stato, e più ancora ne videro i nostri padri e i nostri avi; di oratori valenti invece per lungo tempo non se nè vi sto neppure uno, di discreti appena uno per ogni singola età. Affinché qualcuno non pensi che questa nostra arte del dire deve essere paragonata più con quelle attività che riguardano le arti astratte e una certa varietà degli studi, che con la gloria di un generale o il senno politico di un saggio senatore, rivolga costui la mente agli altri generi di arti e pensi quanti le hanno coltivate e si sono distinti in esse; in questo modo riconoscerà facilmente quanto sia e sia stato scarso il numero degli oratori. [III] [9] E non ti sfugge infatti che la scienza che i Greci chiamano filosofia è considerata dai dotti la genitrice, per dir così, e la madre di tutte le arti che saranno lodate; in questa sarebbe difficile dire quanti uomini dottissimi si siano essa distinti e quanto sia stata varia e profonda la loro cultura, uomini che non coltivarono un singolo ramo del sapere, ma abbracciarono con l’indagine scientifica e la discussione critica tutte quelle discipline che a una mente umana era possibile. [10] Chi non sa quanto siano oscuri i problemi, quanto sia difficile e complessa e profonda la scienza a cui attendono coloro che chiamiamo matematici? Eppure in essa fiorirono numerosissimi geni, chè sembra che nessuno si è applicato con grande impegno in questa scienza, senza raggiungere quello a cui aspirava. Chi si è dedicato seriamente alla musica o a quegli studi letterari, che vengono coltivati da coloro che chiamiamo grammatici, senza acquistare la perfetta conoscenza di tutte quelle direi quasi infinite nozioni connesse con quelle arti? [11] M sembra di potere affermare, che, tra tutti coloro che si sono dati allo studio razionale di queste arti nobilissime, sono il minor numero di poeti e di oratori illustri: eppure in questo stesso numero, in cui raramente spicca qualcuno che si possa veramente definire eccellente, se tu paragonare attentamente il numero dei nostri poeti e dei poeti greci vedrai che risulteranno meno numerosi i grandi oratori che i grandi poeti. [12] Ciò deve sembrare anche più strano, perché la materia di tutte le altre arti deriva per lo più da fonti segrete e nascoste, mentre l’arte del dire è accessibile a tutti, è, per dir così, nell’uso di tutti e appartiene alle abitudini e alla conversa gissim rione degli uomini; tanto è vero che nelle altre arti ammiriamo di più ciò che si allontana il più possibile dal modo di comprendere e di sentire del volgo, mentre nell’arte del dire riteniamo sommamente riprovevole l’allontanarsi dal linguaggio corrente e dalla comune maniera di pensare.

[IV][13] E neppure possiamo affermare con sicurezza che coloro che coltivano le altre arti sono più numerosi o sono attratti da un maggiore diletto o da più forti speranze o da più laute ricompense. Per non parlare della Grecia, che ha voluto essere sempre la prima nell’eloquenza e di quella famosa madre di tutte le scienze che fu Atene, in cui nacque e venne a perfezione la vera eloquenza, in questa stessa nostra città nessuno studio mai è stato coltivato con maggiore entusiasmo dell’eloquenza. [14] Infatti dopo che, costituitosi il nostro dominio su tutte le genti, la lunghezza della pace ebbe garantita la tranquillità, non ci fu quasi giovane bramoso di gloria, che non reputasse suo dovere applicarsi col massimo impegno allo studio dell’arte del dire; in principio, del tutto ignari della teoria e non credendo che esistesse un metodo di esercizio o qualche precetto scientifico, otte nevano solo quei risultati che era loro possibile per mezzo dell’ingegno naturale e della riflessione; quando poi udirono gli oratori greci e conobbero la loro letteratura e i loro maestri, un incredibile desiderio d’imparare divampò nel qua l’animo dei nostri conterranei. [15] Importanza, la varietà e la moltitudine delle cause di ogni genere li spingevano ad aggiungere alle nozioni teoriche, che ciascuno aveva appreso con lo studio personale, la pratica giornaliera, che doveva riuscire superiore ai precetti di tutti i maestri; si aggiunga che a una tale attività erano riservati, come avviene anche oggi, sommi premi, e cioè la capacità di acquistarsi favore popolare, influenza politica e cariche pubbliche, e chele doti naturali della nostra gente, come si può desumere da molti fatti, sono sempre state molto superiori a quelle di tutte le altre genti. [16] Per queste ragioni chi non si meraviglierebbe, e a buon diritto, che si riscontri un così scarso numero di oratori in tutte le età, epoche e nazioni, di cui abbiamo ricordo? La verità è che quest’arte è qualcosa di più difficile di quel che si crede e il risultato dello studio di più discipline. [V] E veramente, dato l’enorme numero di coloro che si dedicano a quest’arte, la grandissima abbondanza cli maestri, lo straordinario ingegno degli uomini, l’infinita varietà dei processi, la magnificenza dei premi destinati agli oratori, quale altro motivo si potrebbe addurre, se non la complessità e la difficoltà veramente incredibile della materia? [17] L’oratore infatti deve possedere molte nozioni, senza le quali l’arte del dire si riduce a una pompa di parole vuota e ridicola, deve curare lo stile non solo con la scelta, ma anche con l’adatta collocazione delle parole e deve inoltre conoscere a fondo tutte le passioni, che la natura ha dato al genere umano, perché è nel calmare o nell’eccitare gli animi degli ascoltatori che si esprimono necessariamente tutta la forza e la bellezza dell’eloquenza; bisogna che a ciò si aggiunga una certa vena d’umorismo, una tendenza alle facezie, una cultura degna di un uomo libero, prontezza e brevità nelle risposte e negli attacchi congiunte a garbo e gentilezza; [18] deve inoltre avere una profonda conoscenza di tutta la storia antica, donde trarre la forza degli esempi e non deve trascurare lo studio delle leggi e del diritto civile.

C’è bisogno che mi dilunghi perfino sul modo di porgere? Esso deve essere regolato sul movimento del corpo, sui gesti, sul volto, sul timbro e sulla modulazione della voce; e quanto valga questo solo mezzo, considerato in sé e per sé, si può dedurre dalla scena e dalla frivola arte degli attori, dei quali ben pochi abbiamo visto e vediamo recitare con vera soddisfazione, benché tutti si sforzino nel regolare sia la pronunzia che la voce e i movimenti della persona. E che dire di quel tesoro di tutte le nozioni che è la memoria? Se questa non assiste, come una custode, i concetti e le espressioni già trovati e meditati, possiamo essere certi che tutte le altre doti dell’oratore, anche magnifiche, andranno perdute. [19] Perciò cessiamo di domandarci con meraviglia quale sia il motivo dello scarso numero dei valenti oratori, essendo l’eloquenza il risultato dì tutte quelle discipline, che è già difficilissimo studiare una per una, ed esortiamo piuttosto i nostri figli e tutti coloro, la cui gloria e carriera politica ci stanno a cuore, a ben riflettere sull’importanza di quest’arte e a convincersi che essi non potranno conseguire il proprio scopo con quei precetti o maestri o esercizi, di cui si servono tutti, ma con altri ben diversi [VI][20] A mio parere, nessuno potrà essere un oratore colmo di ogni lode, se non avrà una profonda conoscenza di tutti gli importanti problemi e di tutte le discipline: la parola infatti deve sbocciare ed uscire dalla cognizione delle cose. Se l’oratore non conosce profondamente l’argomento, il suo discorso si riduce a un giro di parole vuoto e quasi puerile. [21] Però io non sarò tanto esigente con gli oratori, soprattutto coi nostri, che vivono una vita così intensa in una città tanto ricca di distrazioni, da pretendere che essi debbano conoscere tutto, per quanto il nome stesso di oratore e l’arte stessa del ben parlare sembrino imporre l’obbligo di saper discutere con eleganza e difinsamente su qualunque argomento venga proposto. [22] Poiché non dubito che un tale compito sembrerà assai gravoso e difficile a molti e che i Greci, uomini forniti di forte ingegno e dottrina e studiosi appassionati e diligentissimi di tali problemi, hanno già fatto una divisione dei vari rami del sapere e non hanno studiato ciascuno per suo conto l’arte del dire nel suo complesso, ma hanno separato da tutte le altre parti dell’eloquenza quella che si riferisce alle discussioni forensi di carattere giudiziario o deliberativo, riservando all’oratore solo questo genere di eloquenza; perciò in questi libri io non tratterò se non quei problemi che per consenso quasi unanime degli uomini più valenti, dopo lunghe indagini e ampie discussioni, sono stati riconosciuti propri di questo tipo di eloquenza; [23] e non ripeterò una serie di nozioni teoriche, dai primordi della mia vecchia e giovanile dottrina, ma quei concetti che mi risulta essere stati una volta trattati in una discussione dagli uomini più eloquenti e più illustri, per le cariche ricoperte; non perché io disprezzi i trattati che ci hanno trasmesso i retori e i maestri greci, ma poiché quei trattati sono noti e accessibili a tutti, e d’altra parte io non potrei illustrare quei concetti con più eleganza né esporli con maggiore chiarezza, mi permetterai, spero, o fratello, che io anteponga all’autorità dei Greci l’autorità di coloro che si sono acquistata presso di noi la più alta fama nell’eloquenza.

[VII] [24] Al tempo in cui il console Filippo si scagliava con tutte le sue forze contro la politica degli ottimati, e il tribunato di Druso, che era stato assunto in difesa dell’autorità del Senato, sembrava essere scosso e indebolito, nei giorni in cui si celebravano i ludi Romani, L Crasso come ricordo di aver sentito si recò nella sua villa Tuscolana, allo scopo così almeno egli diceva - di rinfrancare le sue forze; lì giunsero anche Q Mucio, che era stato suo suocero e M Antonio, del medesimo partito politico di Crasso e a lui legato dalla più stretta amicizia. [25] In compagnia di Crasso erano partiti da Roma C Cotta, che era tra gli aspiranti al tribunato della plebe e P Sulpicio, che si credeva che avrebbe chiesto quella magistratura in séguito: giovani che erano molto amici di Druso e su cui allora gli anziani riponevano grandi speranze per la difesa del loro prestigio. [26] Il primo giorno s’intrattennero a lungo, per l’intera giornata, sulle circostanze particolari e sulla situazione generale dello Stato: il che costituiva il motivo della loro venuta; Cotta riferiva che nelle conversazioni di quei tre uomini consolari furono fatti amari accenni a molti fatti, con vero spirito profetico, tanto che nessun male piombò poi sullo Stato, che non fosse stato già da essi previsto tanto tempo prima. [27] Esauriti tutti gli argomenti di quel colloquio, fu tanta la cortesia di Crasso, che quando, dopo il bagno, si misero a tavola, venne bandita quella pesante serietà del colloquio precedente e fu tanta la piacevolezza dell’uomo e tanto il suo brio nella conversazione, che la loro giornata si poteva definire una seduta del Senato, mentre il banchetto si rivelò degno della villa Tuscolana; [28] il giorno seguente, quando i più vecchi si furono riposati e tutti scesero per la passeggiata, allora Scevola, dopo che furono fatti due o tre giri, perché , disse non imitiamo, o Crasso, quel famoso Socrate, di cui si legge nei Fedro di Platone? Quest’idea mi è venuta dal tuo platano, che distende i suoi ampi rami per ombreggiare questo luogo, non meno di quanto facesse quell’altro famoso platano, la cui ombra attrasse Socrate e che mi sembra essere cresciuto non tanto per l’acqua del ruscello lì descritto, quanto per il dialogo di Platone e se quell’uomo dai piedi durissimi poté sdraiarsi sull’erba e, così sdraiato, tenere quel meraviglioso discorso che ci tramandano i filosofi, certamente è più giusto che ciò sia concesso ai miei piedi . [29] E Crasso: Ma certo; anzi in modo più comodo; chiese allora dei cuscini e tutti si sedettero sui sedili che vi erano all’ombra del platano. [VIII] Qui Crasso come soleva raccontare Cotta diede l’avvio alla conversazione con un discorso sull’arte del dire, affinché gli animi di tutti si sollevassero dal colloquio del giorno precedente.

[30] Dopo aver detto che, a suo parere, Sulpicio e Cotta non erano tanto da esortare, quanto piuttosto da lodare, perché, per la grande perizia raggiunta, non solo erano considerati superiori ai propri coetanei, ma venivano anche giudicati eguali agli anziani, così continuò: In verità, non c’è niente per me di più bello del potere con la parola dominare gli animi degli uomini, guadagnarsi le loro volontà, spingerli dove uno voglia, e da dove voglia distoglierli: presso tutti i popoli liberi, e soprattutto negli Stati tranquilli e ordinati, quest’arte è stata sempre tenuta nel massimo onore e ha sempre dominato. [31] Infatti che cosa c’è di più meraviglioso del veder sorgere dall’infinita moltitudine degli uomini uno che da solo o con pochi possa fare quello che la natura ha concesso a tutti? O di più piacevole a conoscere e a sentire di un discorso abbellito e adorno di saggi pensieri ed elevate espressioni? Che cosa è così imponente e sublime quanto il fatto che le passioni del popolo, i sentimenti dei giudici, l’austerità del Senato siano modificati dal discorso di un solo uomo? [32] Che cosa inoltre è così splendido, così nobile, così liberale quanto il portare aiuto ai supplici, sollevare gli afflitti, dare salvezza agli uomini, liberarli dai pericoli, salvarli dall’esilio? Che cosa è così necessario quanto l’avere sempre pronta un’arma, con cui tu possa difendere te stesso e attaccare gli altri senza tuo danno e vendicarti se provocato? Orbene, per non par i lare sempre di foro, tribunali, rostri e Senato, che cosa ci può essere, per chi è libero da impegni, di più piacevole o di più degno di una persona colta di un discorso arguto e bene informato su qualsiasi argomento? Noi ci distinguiamo dalle fiere, soprattutto per questo, perché sappiamo conversare ed esprimere con la parola i nostri pensieri. [33] Perciò chi non ammirerebbe, e a ragione, quest’arte, e non riterrebbe suo dovere studiarla con tutte le sue forze, onde superare gli stessi uomini in ciò in cui gli uomini si distinguono massimamente dalle bestie? Ed ora passiamo al punto più importante della questione: quale altra forza poté raccogliere in un unico luogo gli uomini dispersi, o portarli da una vita rozza e selvatica a questo grado di civiltà, o, dopo che furono fondati gli Stati, stabilire le leggi, i tribunali, il diritto? [34] Non voglio passare in rassegna tutti gli altri vantaggi, che sono quasi infiniti, per questo condenserò in poche parole il mio pensiero: io affermo che dalla saggia direzione di un perfetto oratore dipendono non solo il buon nome dell’oratore stesso, ma anche la salvezza di moltissimi cittadini e dell’intera nazione. Perciò continuate, o giovani, la strada intrapresa e attendete con impegno ai vostri studi, affinché possiate essere di onore a voi stessi di utilità agli amici e di giovamento allo Stato.

[IX] [35] Allora Scevola gentilmente, com’era solito fare, disse: Per non diminuire in nulla l’arte o la gloria di mio suocero C Lelio o di questo mio genero , sono d’accordo con Crasso in tutto; temo però di non potere acconsentire, o Crasso, su questi due punti: il primo riguarda l’affermazione, che gli Stati debbono la loro fondazione e spesso anche la loro salvezza agli oratori; il secondo riguarda l’affermazione che l’oratore, oltre a distinguersi nel foro, nelle assemblee politiche, nei tribunali e in Senato, deve essere eccellente in ogni genere di discorso e in ogni ramo dello scibile. [36] Chi infatti ti potrebbe dare ragione, quando dici che da principio gli uomini, che vivevano dispersi sui monti e nelle selve, si siano raccolti entro città fortificate, non tanto perché persuasi dai consigli di uomini assennati, quanto perché affascinati dai discorsi di uomini eloquenti? O quando dici che tutti gli altri vantaggi, per ciò che concerne la fondazione e la conservazione degli Stati, non siano dovuti a uomini saggi e valorosi ma facondi ed eleganti oratori? [37] Credi forse che quel famoso Romolo abbia unito insieme pastori e avventurieri, abbia favorito i matrimoni tra Romani e Sabini, abbia respinto gli attacchi dei popoli confinanti, con l’eloquenza piuttosto che con la sua eccezionale saggezza e sagacia? Che? E che dire di Numa Pompilio? E che dire di Servio Tullio? E di tutti gli altri re, che escogitarono molti saggi provvedimenti per il rafforzamento dello Stato, forse che in essi compare la più piccola traccia di eloquenza? E che dire? Dopo che furono cacciati i re, anche se sappiamo che questa stessa cacciata fu opera del senno e non delle parole di L Bruto, non vediamo noi sempre dominare la saggezza, mai l’eloquenza? [38] In verità, io potrei dimostrare con esempi tratti dalla storia del nostro e di altri paesi, che gli uomini eloquentissimi hanno arrecato più danno che giovamento agli Stati; ma tralasciando tutti gli altri esempi, mi sembra che eccettuati o Crasso, voi due , gli oratori più eloquenti tra tutti quelli che io ho sentito siano Tiberio e a C Sempronio, il padre dei quali, uomo saggio e serio, ma nient’affatto eloquente, procurò la salvezza allo Stato in diverse occasioni, e principalmente durante la sua censura: Egli riuscì a trasferire nelle tribù urbane i liberti , non con un ampio ed elaborato discorso ma con un solo cenno e una sola parola; e se non avesse fatto ciò, quello Stato, che noi oggi teniamo in piedi con fatica, già da tempo sarebbe crollato. Al contrario i suoi figli, facondi e veramente bravi nel parlare, perché forniti di tutti i requisiti naturali e culturali, avendo ricevuto uno Stato che era divenuto fortissimo per merito della saggezza del loro padre e del valor militare dei loro avi, con questa gloriosa governatrice degli Stati, come tu la chiami, voglio dire l’eloquenza, rovinarono lo Stato.

[X][39] E che dire? Le antiche leggi e delle tradizioni degli antenati, che dire? Gli auspici, ai quali tanto io quanto tu, o Crasso, presiediamo con grande vantaggio dello Stato? Che dire dei riti e delle cerimonie sacre? Che dire di questi studi di diritto civile, che già da tempo sono ereditari nella nostra famiglia, senza alcuna gloria oratoria, forse che sono stati inventati o rivelati o comunque trattati dalla razza degli oratori? [40] Io ricordo bene che Servio Galba uomo eloquentissimo e M Emilio Porcina , e lo stesso Carbone quello che tu, quando eri molto giovane, attaccasti, erano uomini ignari di leggi, malsicuri nella conoscenza delle tradizioni degli antenati, inesperti di diritto civile; la vostra generazione poi, eccettuato te, o Crasso, che hai appreso il diritto civile da noi, più per tua personale inclinazione che per un dovere insito nella natura dell’oratore, è talmente ignorante di diritto da fare talvolta vergogna. [41] In quanto poi a quello che hai affermato alla fine del tuo discorso, come se ne avessi il pieno diritto, che l’oratore è capace di discutere diffusamente su qualsiasi argomento, se non ci trovassimo in casa tua, io non lo sopporterei e mi metterei a capo di molte persone, che ti intenterebbero un processo, sulla base di un’ordinanza del pretore, e ti chiamerebbero fuori dal tribunale, per discutere con te la causa, per il fatto che avresti invaso cosi arbitrariamente l’altrui possesso. [42] Ti intenterebbero un regolare processo dapprima tutti i seguaci di Pitagora e di Democrito, poi tutti i filosofi naturalisti, che reclamerebbero in tribunale le loro proprietà: e con loro tu non potresti contendere senza perdere la causa; le scuole filosofiche che discendono da quel famoso fondatore che fu Socrate, ti metterebbero alle strette, rinfacciandoti che tu non hai appreso nulla sui beni e sui mali della vita, nulla sulle passioni dell’animo, nulla sui costumi degli uomini, nulla sulle nonne di vita e dimostrerebbero che non hai fatto nessuna indagine e non sai nulla: e dopo averti attaccato tutti insieme ti intenterebbero un processo singolarmente, scuola per scuola; [43] ti incalzerebbe l’accademia, che ti costringerebbe a negare tutto ciò che tu dicessi; i nostri Stoici poi ti terrebbero avvinto nei lacci delle loro discussioni e interrogazioni, e i Peripatetici dimostrerebbero che perfino quelle risorse che tu consideri sostegni propri dell’oratore e ornamenti dell’arte del dire, sono di loro spettanza, e ti farebbero vedere che Aristotele e Teofrasto hanno scritto su questi argomenti trattati non solo migliori, ma anche molto più numerosi di tutti i retori. [44] Tralascio i matematici, i grammatici, i musici con l’arte dei quali codesta arte del dire non ha proprio nessuna attinenza. Per questo motivo io, o Crasso, non credo che l’oratore debba apprendere tante e tanto importanti scienze; è già abbastanza importante ciò che tu puoi garantire, che cioè la causa che tu difendi nei tribunali, qualunque essa sia, possa apparire la più giusta e la più degna di trionfare; che nelle discussioni che si svolgono nelle assemblee popolari e in Senato la tua parola sia la più convincente, che il tuo discorso possa apparire perfetto agli intenditori e veritiero ai profani.

Se tu potrai ottenere qualcosa che vada oltre questi limiti, penserò che l’avrà ottenuto Crasso in virtù di certe sue doti naturali e non l’oratore, sulla base delle facoltà comuni a tutti gli oratori

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