Traduzione De officiis, Cicerone, Versione di Latino, Libro 02; 02

Traduzione in italiano del testo originale in Latino del Libro 02; parte 02 dell'opera De officiis di Marco Tullio Cicerone

Traduzione De officiis, Cicerone, Versione di Latino, Libro 02; 02
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DE OFFICIIS: TRADUZIONE DEL LIBRO 02; PARTE 02

E poi quale giustizia c'è nel fatto che un campo posseduto per molti anni o anche per secoli lo abbia chi non ne ha mai avuto uno e lo perda chi l'ha sempre avuto? A causa di un'ingiustizia di tal genere gli Spartani cacciarono l'eforo Lisandro e uccisero il loro re Agide (un tal fatto non era mai accaduto prima presso di loro) e da quel tempo si susseguirono così grandi discordie che sorsero i tiranni, gli ottimati furono cacciati e quello Stato così saggiamente ordinato andò in rovina. E non soltanto esso cadde, ma sconvolse anche tutta la Grecia con il contagio di quei mali che, partiti dagli Spartani, si diffusero in più ampio spazio. E che? Forse che le lotte agrarie non furono la rovina dei nostri Gracchi, figli di quel grande Tiberio Gracco e nipoti dell'Africano? Si loda a buon diritto Arato di Sicione, il quale, poiché la sua città era soggetta alla tirannide da cinquanta anni, partì da Argo e, introdottosi clandestinamente in Sicione, s'impadronì della città, e avendo ucciso il tiranno Nicocle con un colpo di mano improvviso, richiamò i seicento esuli, che erano stati gli uomini più ricchi della sua città, e ridiede la libertà alla sua patria col suo intervento. Ma considerando che nel possesso dei beni si riscontrava una grave difficoltà, perché riteneva assai ingiusto che versassero in miseria quelli che egli stesso aveva richiamato - ed i cui beni erano posseduti da altri - e, d'altra parte, non riteneva troppo giusto sovvertire i possessi di cinquant'anni (per il fatto che in un periodo di tempo così lungo molti erano occupati con legittimo diritto per eredità o compere o doti), giudicò che non bisognava togliere i beni a quelli, e che si doveva anche dare soddisfazione agli antichi proprietari. Avendo, dunque, stabilito che occorreva denaro per sistemare la faccenda, disse di voler partire per Alessandria, e ordinò che la situazione rimanesse inalterata sino al suo ritorno, in gran fretta si recò da Tolomeo, che l'aveva ospitato, e che era allora il secondo re dalla fondazione di Alessandria. Avendogli esposto che voleva liberare la patria ed avendolo informato del motivo, quell'uomo eccezionale ottenne facilmente dal ricco re che l'aiutasse con una grande somma di denaro. Portatala a Sicione, chiamò a consiglio intorno a sé i primi quindici cittadini, coi quali esami no la situazione di coloro che occupavano i possedimenti degli altri e di coloro che avevano perduto i propri, e dopo la stima dei possedimenti riuscì a persuadere gli uni che era preferibile accettare il denaro e cedere i possedimenti, e gli altri che ritenessero più vantaggioso essere compensati con una somma ingente in contanti anziché recuperare la proprietà. Ne conseguì che, ristabilita la concordia, tutti si allontanarono senza lamentarsi. 0 uomo grande e degno di esser nato nel nostro Stato! Questo è il modo equo di agire coi cittadini, non, come abbiamo già visto per due volte, piantare l'asta nel foro e mettere all'incanto i beni dei cittadini.

Ma quel Greco ritenne che si dovesse provvedere a tutti, e questa fu una decisione degna di un uomo saggio e superiore; in questo consiste la massima avvedutezza e saggezza di un buon cittadino, nel non eliminare i vantaggi dei cittadini e nel trattare tutti con la stessa equità. Abitino gratis nella proprietà altrui. E perché questo? Dopo che io ho comprato, edificato, curato e speso, tu godrai del mio senza che io lo voglia? Che altro è se non strappare agli uni i propri averi e dare agli altri quelli altrui? Queste nuove tavole che altra funzione hanno se non che tu possa comprare un podere con i miei soldi, che tu te lo tenga ed io non abbia denaro? Perciò bisogna stare attenti a non far debiti che possano nuocere allo Stato; questo rischio può essere evitato in molti modi, e non già col lasciare che i ricchi perdano le loro sostanze ed i debitori si arricchiscano col denaro altrui. E invero nessuna cosa tiene più saldo lo Stato che la fiducia, la quale non può sussistere se non sarà necessario il pagamento dei debiti. Mai con maggior decisione si cercò di non pagarli, come sotto il mio consolato; si fece ogni tentativo con le armi e con gli eserciti, da parte di uomini di ogni genere e di ogni classe, ai quali io ho resistito si da eliminare tutto il male dello Stato. Non ci fu mai un debito maggiore e non fu mai pagato meglio e più facilmente; tolta la speranza di frodare, ne consegui la necessità di frodare. Ma costui poi vincitore, allora, invero, vinto, fini per realizzare i suoi piani quando non gli interessavano più per nulla: tanto grande fu in lui il desiderio di peccare, che lo dilettava il peccare in se stesso, anche se non ve n'era motivo. Dunque da questo genere di elargizioni, tale che agli uni si dà e si toglie agli altri, si dovranno astenere coloro che custodiranno lo Stato, e per prima cosa si impegneranno a che ciascuno abbia il suo, in base alla giustizia del diritto e dei tribunali, e che i più deboli non siano sopraffatti a causa della loro umile condizione e che l'invidia non frapponga ostacoli ai ricchi nel conservare i propri averi o nel recuperarli; inoltre con tutti i mezzi possibili in guerra e in pace ingrandiscano lo Stato in potere militare, in territorio ed in entrate. Queste sono azioni di uomini grandi, questi sono i fatti consueti presso i nostri antenati; coloro che perseguono questi generi di doveri, insieme ad una grandissima autorità per lo Stato conseguiranno la gratitudine di tutti e la gloria. Riguardo a questi precetti sull'utile, lo Stoico Antipatro di Tiro, che da poco è morto in Atene, pensa che Panezio abbia trascurato due temi: la cura della propria salute e quella del patrimonio, penso che quel sommo filosofo li abbia tralasciati per la loro facilità; sono certamente utili.

Ma la salute si mantiene con la conoscenza del proprio corpo, con l'osservazione di ciò che solitamente ci giova o ci nuoce, con la morigeratezza nel vitto e nel mantenimento del corpo, per conservarlo sano, tralasciati i piaceri, ed infine con l'attività professionale di quelli, la cui scienza riguarda queste cose. Il patrimonio familiare si deve ricercare con mezzi dai quali sia lontana la disonestà, conservare con diligenza e parsimonia e accrescere con gli stessi mezzi. Senofonte, discepolo di Socrate, trattò tutti questi temi in modo assai adeguato in quel libro che s' intitola Economico, che io tradussi dal Greco in Latino quando avevo press'a poco la tua età. Ma dell'intera questione relativa al modo di procurarsi il denaro e di investirlo (e vorrei anche sul modo di usarlo bene), si discute con maggiore opportunità da parte di certe brave persone che risiedono presso il Giano di mezzo, che non da parte di alcun filosofo in una scuola. Tuttavia si devono conoscere; riguardano, difatti, l'utile, del quale si è trattato in questo libro. Ma il paragone tra due cose utili - poiché questo era il quarto punto, tralasciato da Panezio e spesso necessario. infatti si è soliti paragonare i vantaggi del corpo con quelli esterni [e gli esterni con quelli del corpo] e quelli stessi del corpo tra di loro, e gli esterni con gli esterni, si paragonano i vantaggi fisici con quelli esterni, quando ci si chiede se si preferisce la salute alla ricchezza, [si paragonano quelli esterni coi corporali in questo modo, per vedere se è possibile esser ricchi piuttosto che avere una forza fisica grandissima] e quelli stessi fisici sì da anteporre la buona salute al piacere, la forza alla rapidità; ed infine il confronto degli esterni, così da anteporre la gloria alle ricchezze, le imposte delle città a quelle delle campagne. A questo genere di raffronto appartiene quel detto di Catone il vecchio: essendogli stato chiesto che cosa giovasse massimamente al patrimonio, rispose: Allevare bene il bestiame; e che cosa, in secondo luogo: Allevarlo sufficientemente bene; e che cosa, in terzo luogo: Allevarlo male; che cosa, in quarto luogo: Arare. E avendogli detto l'interrogante: E che, del dare ad usura? allora Catone rispose: E che dell'uccidere un uomo? Da questo e da molti altri esempi si deve capire che i paragoni tra le cose utili si fanno comunemente, e che opportunamente è stato aggiunto questo quarto tipo di indagine sui doveri. Passeremo, quindi, al resto.

Un consiglio in più