Traduzione De natura deorum, Cicerone, Versione di Latino, Libro 03; 61-75
Traduzione in italiano del testo originale in latino del Libro 03, paragrafi 61-75 dell'opera De natura deorum di Cicerone
DE NATURA DEORUM: TRADUZIONE DEL LIBRO 03; PARAGRAFI 61-75
XXIV [61] Occorre forse una critica più sottile per confutare queste argomentazioni? La mente, la fede, la speranza, la virtù, l'onore, la vittoria, la salute, la concordia e ogni altra consimile entità è chiaro che sono delle astrazioni, non delle divinità. Esse infatti o sono in noi, come la mente, la speranza, la fede, la virtù, la concordia, o costituiscono l'oggetto di una nostra aspirazione, come l'onore, la salute, la vittoria; di tutti i fenomeni nei quali m'è dato scorgere qualche vantaggio per l'uomo vedo anche consacrate le statue, ma la ragione per cui recherebbero in sé un principio divino l'intenderò solo quando me l'avrai ben spiegata. In questa categoria deve essere inclusa soprattutto la Fortuna, che nessuno separa da quelle caratteristiche di instabilità e casualità che non si addicono certo ad un dio. [62] E dimmi un po', che gusto ci trovate a giustificare i miti e ad interpretare il significato dei nomi? A tale punto difendete leggende come quella della mutilazione del Cielo ad opera del figlio e dell'imprigionamento di Saturno pure ad opera del figlio da fare apparire non solo come uomini assennati, ma come sapienti coloro che le hanno immaginate. Nello sforzarvi di interpretare il significato dei nomi, poi, fate veramente pena: " Saturno perché si sazia di anni; Mavors perché magna vertit, Minerva perché minuit o perché minatur, Venere perché venit ad ogni cosa, Cerere dal verbo gerere ". Un procedimento alquanto rischioso. Di fronte a molti nomi non sapreste che pesci pigliare: come interpretare infatti il nome di Veiove o di Vulcano? E' vero che una volta postulata la derivazione di Nettuno dal verbo nare non vi sarà più alcun nome di cui non si possa ricavare l'origine sulla base di un'unica lettera, ma in quel caso mi sembra che tu andassi alla derivi peggio dello stesso Nettuno. [63] Ad una ben inutile fatica si sono sobbarcati Zenone per primo e, dopo di lui Cleante e Crisippo, nel tentativo di render ragione delle finzioni mitiche e di chiarire il perché delle denominazioni di ogni singolo oggetto. Ciò facendo ammettete implicitamente che le cose stiano molto diversamente da come le pensano gli uomini in quanto quelli che vengon chiamati dèi sarebbero proprietà delle cose, non persone divine. XXV Questo tipo di errore ha finito coll'assumere proporzioni tali che, oltre a divinizzare entità malefiche, si è istituito anche un culto in loro onore. Così sul Palatino si può vedere il tempio della Febbre, presso il sacrario dei Lari quello di Orbona e sull'Esquilino è pure visibile l'altare della Mala Fortuna. [64] Sia bandito pertanto dalla filosofia siffatto errore si che, quando si parla degli dèi immortali, si dicano cose degne degli dèi immortali. A questo riguardo io ho la mia opinione da esprimere, ma non vedo come possa accordarsi con la tua. Tu dici che Nettuno sarebbe uno spirito intelligente diffuso nel mare e lo stesso sarebbe Cerere per la terra; io però non solo non riesco a comprendere codesta intelligenza del mare o della terra, ma neppure riesco ad immaginarla.
Conviene pertanto che mi ispiri ad altre fonti per provare l'esistenza e la natura degli dèi quali tu li concepisci, dal momento che non posso ammettere il modo in cui tu vuoi che essi siano. [65] Consideriamo ora le successive questioni: in primo luogo se il mondo sia retto dalla provvidenza divina ed in secondo se gli dèi provvedano alle necessità dell'uomo. Questi due soli punti, fra quelli da te enumerati, restano ormai da esaminare e, se siete d'accordo, penso che se ne debba discutere ". Per me sono più che d'accordo ", interruppe Velleio" mi aspetto qualcosa di ancor più importante e concordo perfettamente con quanto già detto ". E Balbo: " non voglio interromperti, Cotta, e mi riservo di risponderti in altra occasione; sono certo che ti costringerò a concordare con me. Ma**" La cosa così non può andare: grande è la lotta. Mi sarei forse piegato supplicarlo con sì blanda preghiera se non avessi il mio scopo" XXVI [66] Non ti sembra che faccia male i suo, calcoli e che si procuri da se sola una grossa disgrazia? A quale acutezza razionale è invece ispirata l'altra frase:" Per chi vuole ciò che vuole il risultato sarà quale egli l'avrà loggiato" un verso, quest'ultimo, che è causa di tutti i mali. " Oggi costui, fuorviato nella sua mente, mi ha consegnato delle chiavi con le quali potrò dar sfogo a tutta la mia ira e riversare la rovina su di lui, a me il dolore, per lui il pianto; la sventura a lui, a me l'esilio. " Orbene, codesta ragione che voi proclamate concessa solo all'uomo per divina benevolenza, le bestie non l'hanno; [67] vedi adunque che bel dono ci hanno fatto gli déi? La stessa Medea, mentre cerca di sottrarsi all'inseguimento del padre e abbandona la patria: " Quando il padre sta per raggiungerla ed è già sul punto di afferrarla senza indugio uccide il ragazzo e ne fa a brani le membra e ne disperde qua e là il corpo nei campi col preciso scopo di guadagnar tempo nella fuga mentre il padre va raccogliendo le sparse membra del figlio si che il dolore rallenti l'inseguimento paterno ed ella si procuri col fratricidio la salvezza. " [68] A costei come il delitto, così non venne meno la ragione. E che dire di quell'altro personaggio che appresta al fratello l'orribile banchetto, non è forse impegnato in tutta una serie di considerazioni dettate dalla ragione: Qualcosa di più grosso, una più grave atrocità io debbo perpetrare per colpire e schiacciare il suo duro cuore ". XXVII Neppure bisogna sottovalutare l'altro che: " non ne ebbe abbastanza di aver adescato la moglie (del fratello)". A proposito del quale Atreo dice giustamente e con piena aderenza alla realtà: " Quando si è al potere questo io penso che sia il peggior pericolo, che si violentino le matrone regali, che si contamini la stirpe, che si mescoli il sangue". Ma con quanta astuzia questo medesimo delitto viene preparato dal fratello che si serve dell'adulterio per impossessarsi dei potere: "A ciò aggiungi (dice Atreo) che una volta Deite osò sottrarre dal mio palazzo un animale portentoso che il padre dei celesti mi invia quale conferma del mio potere: un agnello dal vello d'oro, il più bello dei gregge; ed in questa impresa prese come complice mia moglie.
" [69] Non ti sembra che costui abbia usato un'estrema efferatezza proprio per aver sfruttato al massimo la sua facoltà razionale? E di questi delitti non abbondano soltanto le scene, anzi la vita di tutti i giorni ne annovera dei peggiori. Le nostre case private, il foro, la curia, i frequentatori del Campo Marzio, i nostri alleati, le nostre province, tutti sanno che se della ragione si può fare un retto uso, se ne può fare anche uso criminoso e che pochi e di rado si attengono al primo mentre moltissimi e sempre ricorrono al secondo, quanto meglio sarebbe stato che gli dèi ci avessero negato il dono della ragione piuttosto che concedercelo a costo di tanto danno! Poiché Il vino di rado giova agli ammalati e il più delle volte li danneggia, è perciò preferibile che non ne facciano uso piuttosto che esporsi ad un serio pericolo con l'unica prospettiva di un lieve vantaggio, allo stesso modo sarebbe forse preferibile che codesto rapido moto del pensiero, che codesta acutezza di penetrazione e rapidità di collegamenti che chiamiamo ragione e che, se per molti è causa di rovina, solo per pochi è giovevole, fosse del tutto negata all'uomo piuttosto che essergli concessa con tanta abbondanza e generosità. [70] Se dunque il presunto interesse degli dèi nei riguardi dell'umanità si è concretizzato nel dono della ragione e evidente che esso si è esercitato solo nei riguardi di coloro cui è stata data la capacità di farne buon uso: e questi ultimi, anche ammesso che ve ne siano, vediamo essere assai pochi. Ma non piace che gli dèi immortali si siano preoccupati solo di una minoranza; è quindi giocoforza concludere che non si sono preoccupati di alcuno. XXVII A questo argomento siete soliti obiettare; se molti fanno cattivo uso di un dono degli dèi ciò non significa che questi non abbiano fatto del loro meglio per aiutarci: anche dell'eredità paterna molti fanno cattivo uso, ma ciò non esclude che essi abbiano ricevuto un beneficio dal, padre. E chi lo nega, che analogia c'è in questo paragone col nostro problema? Quando Deianira fece consegnare ad Ercole la tunica intinta nel sangue del Centauro non volle certo fargli dei male e non aveva sicuramente buone intenzioni quel tale che con la spada spaccò a Giasone di Fere un bubbone che i medici non erano riusciti a guarire. Capita spesso di giovare quando si vorrebbe nuocere e di nuocere quando si vorrebbe giovare; non risulta dal dono l'intenzione del donatore né si può dedurre dal buon uso che se ne fa la buona intenzione di chi l'ha fatto. [71] Non c'è atto di avarizia, di lussuria, di criminalità che non sia intrapreso senza una previa deliberazione o che non sia condotto a termine senza l'ausilio del pensiero e della riflessione; ogni opinione è frutto di ragione e si tratterà di retta ragione se l'opinione e vera e di ragione distorta se l'opinione è falsa.
Ma dalla divinità noi riceviamo solo la ragione pura e semplice (ammesso che la riceviamo): siamo noi in seguito che la rendiamo buona o cattiva. La ragione non ci è stata concessa in beneficio a guisa di un lascito testamentario; che altro gli dèi avrebbero potuto donare agli uomini se non la ragione qualora avessero voluto far loro del male; quali germi d'ingiustizia, d'intemperanza, di timore allignerebbero fra gli uomini se non vi fosse la ragione a fomentare tali vizi? XXIX Poco più addietro abbiamo ricordato i casi di Medea e di Atreo, personaggi eroici che meditano i loro nefandi delitti con un preciso calcolo dei vantaggi e degli svantaggi. [72] Che dire? Le frivole vicende delle commedie forse non si svolgono tutte sotto il segno della ragione? Con quanta accuratezza ragiona quel personaggio dell'Eunuco:" che farò? Mi ha cacciato ed ora mi richiama; debbo ritornare? No certo, neppure se me ne scongiura ". E il noto personaggio dei Sinefebi non si perita di polemizzare con argomentazioni al modo degli Academici contro il comune buon senso e di affermare che: " Quando si è molto innamorati è bello avere un padre avaro, burbero coi figli, , intrattabile e che non ti voglia bene né si curi di te [73] e a sostegno di questa incredibile affermazione adduce anche qualche argomento: " O l'inganni strappandogli un prestito o intercetti un suo debitore con falsa lettera o lo prendi alla sprovvista, tutto spaurito, con l'ausilio di un servo; con quanta gioia alla fine dissiperai ciò che sei riuscito a sottrarre ad un padre avaro"; il medesimo personaggio passa quindi a sostenere che un padre indulgente e generoso è una rovina per un figlio innamorato: " Non so in che modo ingannarlo, che cosa tentare di sottrargli, le inganno o quale intrigo macchinare contro di lui: a tal punto la generosità paterna ha reso inutili i miei' inganni, le mie astuzie, i miei raggiri . Orbene, che dire di tutti codesti inganni, codeste astuzie e codesti raggiri. Non sono opera della ragione? Un bel regalo davvero ci hanno fatto gli Dèi! Tanto da autorizzare l'affermazione di Formione: " Fa venire il vecchio; ho già approntato dentro di me tutti i miei piani". XXX [74] Ma usciamo dal teatro e rechiamoci al foro! Il pretore va ad occupare il suo scranno. Che cosa deve stabilire? Chi abbia incendiato l'archivio. Trattasi di un delitto alquanto misterioso, ma Quinto Sosio, un illustre cavaliere romano proveniente dall'agro Piceno, ha ammesso di essere lui il responsabile. Deve anche giudicare chi abbia falsificato gli atti pubblici; anche di questo reato salta fuori il responsabile, Lucio Aleno che ha attuato la falsificazione imitando la scrittura dei primi sei segretari dei questore; si può dare un uomo più solerte di costui? Considera gli altri processi: quelli dell'oro di Tolosa e della congiura giugurtina; riesamina le cause dibattute in passato come quella intentata contro Tubulo per corruzione in giudizio e, più di recente, la rogazione di Peducco per un caso di incesto; aggiungi quelli recenti: casi di aggressione ad opera di sicari, di veneficio, di peculato nonché le questioni testamentarie suscitate da una legge recente.
V'è poi la ben nota formula di accusa: "Affermo che il furto è avvenuto col tuo aiuto e per tua iniziativa "; le numerose cause relative alla mala fede nell'esercizio della tutela, nell'adempimento di un mandato, nelle relazioni con un socio e nel rapporto fiduciario e tutti gli altri reati che si commettono ad onta della parola data nella compravendita e nella locazione, viene quindi il caso della legge Pletoria sull'intervento di un pubblico procedimento giudiziario in una questione privata e quella che è la rete di tutte le frodi, la causa per truffa, introdotta dal nostro amico Aquilio che ha luogo ogni qual volta si simula un fatto diverso da quello reale. [75] Possiamo davvero pensare che gli dèi si siano fatti seminatori di così grandi mali? Se gli dèi hanno fatto dono agli uomini della ragione hanno installato loro anche la malizia che altro non è se non uno scaltro e ingannevole sistema di nuocere; sempre gli dèi hanno quindi instillato loro anche la frode, la criminalità e tutto ciò che è strettamente legato alla facoltà razionale. Come la vecchia del dramma esclama: "Oh se nel bosco dei Pelio non fossero cadute sotto i colpi delle scuri le travi d'abete "così si addice anche a noi ribattere: " Oh se gli dèi non avessero donato agli uomini codesta astuzia di cui pochi sanno fare buon uso, e sono essi stessi le vittime dì altri che cadono nello stesso errore, e che molti usano per fini disonesti, sì che il divino dono della ragione e della saggezza appare un dono all'uomo per ingannare, non per fare del bene".