Traduzione De natura deorum, Cicerone, Versione di Latino, Libro 02; 61-70

Traduzione in italiano del testo originale in Latino del Libro 02; paragrafi 61-70 dell'opera De natura deorum di Cicerone

Traduzione De natura deorum, Cicerone, Versione di Latino, Libro 02; 61-70
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DE NATURA DEORUM: TRADUZIONE DEL LIBRO 02; PARAGRAFI 61-70

[61] analogamente attribuiamo titoli divini a particolari facoltà dotate di poteri superiori come la Fede e la Mente che di recente abbiamo visto elevate a dignità divina sul Campidoglio ad opera di Marco Emilio Scauro, benché alla Fede tale dignità fosse già stato conferita molti anni prima da Appio Atilio Calatino. Vedi un tempio dedicato alla Virtú, ne vedi uno all'Onore; quest'ultimo restaurato di recente da Marco Marcello, ma già consacrato, non molti anni prima, da Quinto Massimo, al tempo della guerra Ligustica. E che dire dei templi della Prosperità, della Salute, della Concordia, della Libertà, della Vittoria; poiché la forza di tutte queste cosa era tale che non si sarebbe potuto governare senza una divinità, le stesse entità ottennero il nome degli dei. Si giunge così al punto di divinizzare i nomi del Desiderio, del Piacere e di Venere Lubentina, di entità, cioè, legate al vizio e non naturali, benché (con buona pace di Velleio che sostiene il contrario) siano proprio questi viziosi istinti a forzare con maggiore energia la natura. [62] In conclusione furono riconosciuti, in considerazione delle loro benemerenze, tutti gli dèi che si erano resi autori di particolari benefici e i nomi di cui si è appena detto stanno appunto ad indicare il potere da ciascuno di essi esercitato. XXIV Inoltre la comunità umana adottò l'uso di elevare al cielo tutti coloro che si fossero distinti nel beneficare i loro simili, sia a ciò indotti dalla fama da quelli raggiunta sia di propria spontanea iniziativa, di qui l'introduzione di divinità quali Ercole, Castore, Polluce, Esculapio e lo stesso Libero; mi riferisco qui al dio omonimo figlio di Semele, non a quel " Libero " che i nostri antenati venerarono con solennità e devozione accanto a Cerere e a Libera la cui importanza cultuale è ravvisabile nelle pratiche misteriche; poiché è nostra consuetudine chiamare " liberi " i figli nati da noi, Libero e Libera furono considerati figli di Cerere; il che vale per Libera ma non certo per Libero; identica è l'origine del dio Romolo, che alcuni ritengono sia da identificarsi con Quirino. Sopravvivendo gli spiriti di codesti uomini ed usufruendo del loro destino immortale, sono considerati secondo le usanze come dei, essendo ottimi ed eterni. [63] Da un altro processo razionale, poggiato per giunta su di un substrato fisico, ebbe origine tutta una serie di dèi che, rivestiti di sembianze umane, fornirono ai poeti spunto per i loro racconti fantastici e riempirono la vita umana di ogni sorta di superstizioni. E' questo un argomento già trattato da Zenone e più ampiamente sviluppato da Cleante e Crisippo. Questa antica credenza si è diffusa in Grecia, secondo la quale Cielo sarebbe stato evirato dal figlio Saturno, che a sua volta, sarebbe stato messo in ceppi dal figlio Giove: [64] si applicò a questi irrispettosi racconti un'interpretazione di tipo naturalistico non priva di acutezza.

Si ritenne cioè che quel mito stesse a significare che la sublime ed eterea sostanza, cioè il fuoco, di cui risultano costituiti gli dèi del cielo e che tutto genera dal suo seno, manchi di quegli organi che, per procreare, abbisognano dell'unione con un altro essere. XXV Saturno fu identificato col dio che regola i movimenti nello spazio e lo scorrere del tempo; il suo nome greco sta ad indicare proprio questo: Crono altro non è se non una leggera variante di cronos, il tempo. Quanto poi al nome Saturno deriva dal fatto che questo dio è saturo di anni; la finzione che egli divorasse i propri figli sta a simboleggiare che il tempo distrugge i giorni che passano e fa degli anni trascorsi il suo nutrimento senza riuscire mai a saziarsi. Messo in ceppi da Giove, per evitare che si abbandonasse a movimenti disordinati e per conservarlo avvinto al moto degli astri, lo stesso Iuppiter al contrario, cioè il pater iuvans (che nei casi obliqui denominiamo semplicemente Iovem dal verbo iuvare) è celebrato dai poeti come "padre degli dèi e degli uomini" e fu denominato dai nostri antenati " ottimo massimo ", anzi " ottimo " (cioè sommamente benevolo) prima ancora che " massimo ", essendo cosa assai più meritoria e gradita fare del bene a tutti che possedere molta potenza; [65] Ennio, come abbiamo avuto già occasione di ricordare, lo apostrofa con queste parole: " contempla quest'astro che in alto rifulge e che tutti chiamano Giove ", e in un altro passo, benché meno espressamente, scrive: " per quanto mi concerne maledirò quest'astro splendente, quale esso sia"; a lui è pure rivolta la formula sacrale dei nostri auguri: " fulgendo e tonando Giove"; con essa vogliono intendere: " fulgendo e tonando il cielo ". Euripide, infine, a parte gli altri numerosi squarci di altissima poesia, dedica a Giove anche questo breve passo:" tu vedi l'etere che si estende su in alto per uno spazio incommensurabile, e che cinge del suo tenero abbraccio la terra: lui devi considerare come dio supremo, lui invocare col nome di Giove" XXVI [66] Il fluido che, come discutono gli Stoici, occupa una posizione intermedia fra il mare ed il cielo, è consacrato sotto il nome di Giunone, e poiché l'etere e questo fluido sono due elementi molto simili e strettamente collegati l'uno all'altro, Giunone è detta sorella e sposa di Giove. Questo elemento è stato reso femminile ed è stato attribuito a Giunone, perché non esiste nulla di più cedevole. Ma, a mio parere, Iuno deriva dal verbo iuvare. A questo punto restavano da divinizzare soltanto l'acqua e la terra per realizzare la divisione in tre regni voluta dai racconti mitici. Il primo regno, cioè il dominio su tutto il mare, fu affidato a Nettuno che la tradizione vuole fratello di Giove ed il cui nome è un ampliamento dei verbo nare, cosi come Portuno è un ampliamento di porta, con la sola differenza che a nare sono state leggermente mutate le lettere iniziali.

Ogni forza terrena e la natura fu invece affidata al padre Dite che è lo stesso che dire Dives (il ricco), il Plouton dei Greci, poichè ogni cosa ritorna alla terra e da essa trae origine. A Dite si ricollega Proserpina (il nome è di origine greca, trattandosi di quella dea che i Greci chiamano Persephone) che simboleggerebbe il seme del frumento e che la madre avrebbe cercata dopo la sua scomparsa. [67] Il nome della madre, Cerere, deriva da " gerere fruges " quasi che il vero nome fosse Geres e che si fosse poi casualmente trasformata la lettera iniziale: lo stesso, d'altronde, accadde per il corrispondente nome greco che è Demeter in luogo di Ghemeter. Si dette infine il nome di Mavors ad un dio che magna verteret (provocasse grandi sconvolgimenti) e quello di Minerva alla dea che minueret (riducesse) e minaretur (minacciasse). XXVII Poiché in ogni circostanza ciò che più conta è l’inizio e la fine, si stabilì che nei sacrifici si invocasse per primo Giano, poiché il nome di questo dio deriva dal verbo ire al quale si ricollegano pure i termini iani, designanti le vie di passaggio e ianuae designanti le porte sulle soglie degli edifici profani. Quanto a Vesta, è un nome di derivazione greca (trattasi della stessa dea che i Greci chiamano Estia ): la sua influenza è rivolta alle are ed ai focolari e poiché a lei spetta la tutela dell'intimità è sempre l'ultima ad essere invocata ed a ricevere sacrifici. [68] Non molto diversa è la funzione degli dèi Penati il cui nome deriva da penus (penus è tutto ciò di cui gli uomini si nutrono) o dal fatto che essi risiedono penitus (nella parte piú interna della casa), donde anche la denominazione poetica di penetrales. Quanto ad Apollo è un nome greco ed è sinonimo di sole, cosí come Diana viene identificata con la luna, dal momento che si dice " sole " sia perché " Solo " fra tutti gli astri raggiunge una considerevole grandezza, sia perché, una volta sorto, oscura tutti gli altri corpi celesti e si scorge esso "solo"; Luna deriva dal verbo lucere, come dimostra anche l'attributo Lucina. Così, come presso i Greci durante i parti si invoca Diana aggiungendo l'epiteto di "portatrice di luce ", così fra noi si invoca Giunone Lucina e la stessa Diana è detta anche Omnivaga non per la sua attività "venatoria ", ma perché la si annovera fra le sette stelle cosiddette " vaganti ". [69] E chiamata Diana perché durante la notte sembra riportare la luce " diurna ", inoltre si ricorre a lei nei parti in quanto essi giungono a maturazione nel giro talora di sette o, per lo più, di nove cicli lunari che si chiamano " mesi " appunto perché percorsi " misurati ". Lo storico Timeo, venendo a parlare dell'incendio del tempio di Diana Efesia scoppiato proprio nella notte in cui vide la luce Alessandro, aggiunge, col suo consueto spirito, che la cosa non deve stupire poiché in quel momento Diana si era assentata da casa per assistere il parto di Olimpiade.

Infine i nostri chiamarono Venere la dea che " viene " ad ogni essere ed è preferibile far derivare dal suo nome il termine "venustà" piuttosto che attenersi alla derivazione opposta. XXVIII [70] Potete ora constatare come partendo da eccellenti ed utili scoperte relative al mondo della natura si sia giunti ad ammettere, come ovvia conclusione, dèi falsi ed immaginari. Di qui false opinioni, errori conturbanti e superstizioni poco meno che senili. Abbiamo così imparato a conoscere l'aspetto degli dèi, la loro età, i loro abiti e i loro ornamenti nonché il loro sesso, i loro matrimoni e i loro rapporti di parentela e il tutto abbassato al livello delle umane debolezze. Infatti sono mossi dall’animo sconvolto: accettiamo le loro passioni, le loro ansie e le loro ire; non furono neppure indenni da guerre e battaglie, come riferiscono le leggende, e non si limitarono, secondo quanto narra Omero, a parteggiare per l'uno o per l'altro di due eserciti in lotta, ma combatterono proprie battaglie, come quelle contro i Titani e contro i Giganti. Trattasi di credenze più che sciocche che rivelano solo un'estrema superficialità e leggerezza.

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