Traduzione De natura deorum, Cicerone, Versione di Latino, Libro 01; 71-80
Traduzione in italiano del testo originale in latino del Libro 01, paragrafi 71-80 dell'opera De natura deorum di Cicerone
DE NATURA DEORUM: TRADUZIONE DEL LIBRO 01; PARAGRAFI 71-80
[71] Lo stesso errore lo commette verso la natura divina: mentre evita l’aggregazione di atomi per non farne seguire la morte e la dispersione, dice che gli dèi non posseggono un corpo, ma una sembianza di corpo, non sangue, ma una sembianza di sangue XXVI Sembra incredibile che un aruspice non rida incontrandone un altro, ma ancor più incredibile che voi possiate trattenere il riso quando siete fra voi. " Non un corpo ma una sembianza di corpo": capirei il senso di una espressione siffatta se fossero plasmati come immagini di cera o di terracotta; ma che cosa significhi in un dio " una sembianza di corpo " ed" una sembianza di sangue " non riesco proprio a capirlo. E neppure tu lo capisci, mio caro Velleio, ma non vuoi ammetterlo. [B] Queste parole sono ripetute da voi come se fossero dettate, tutto ciò che Epicuro ha sognato ozioso, visto che, come risulta dai suoi scritti, egli si vanta di non aver avuto maestri. E questo io lo crederei facilmente anche se non fosse lui a dirlo, così come crederei al proprietario di una casa mal costruita il quale si gloria di non aver avuto nessun architetto; in lui non v'è la minima traccia né dell'Accademia, né del Liceo e neppure degli studi dell’età giovanile. Potrebbe aver udito le lezioni di Senocrate (e di quale maestro, per gli dèi immortali) e ci sono quelli che sostengono che le abbia veramente ascoltate; egli stesso lo nega: ed io credo a lui, più che a qualsiasi altro. Dice di aver frequentato a Samo le lezioni di un certo Panfilo discepolo di Platone (a Samo, infatti, egli abitò da ragazzo insieme al padre ed ai fratelli in quanto suo padre Neocle si era trasferito nell'isola a coltivare un suo fondo, ma non bastando, suppongo, i proventi del campicello al suo sostentamento faceva il maestro di scuola); [73] ma Epicuro disprezzò molto questo seguace di Platone: tanto era in lui il timore che sembrasse aver imparato qualcosa da qualcuno. Nel caso Nausifane, discepolo di Democrito, viene colto in fallo; Pur non negando di aver seguito le sue lezione, tuttavia lo ricopre di ogni genere di critiche. Eppure, se non avesse appreso da lui queste dottrine di Democrito, da chi avrebbe potuto udirne parlare, che cosa v'è nella fisica di Epicuro che non dipenda da Democrito? Anche se modificò qualcosa, come quella relativa alla deviazione degli atomi di cui s'è detto sopra, dice press'a poco le stesse cose: ci parla degli atomi, del vuoto, dei simulacri, dell'illimitata estensione spaziale, del numero infinito dei mondi, del loro sorgere e del loro perire, più o meno, cioè, di tutto ciò di cui si occupa la scienza della natura. [74] Ora, che cosa intendi tu per " sembianza di corpo " e " sembianza di sangue"? Io non solo ammetto che tu sappia queste teorie meglio di me, ma anche lo confesso di buon grado; ma una volta che siano state esposte non vedo come possa esservi qualcosa che Velleio sia in grado di comprendere e Cotta no.
Così io comprendo che cosa sia il corpo e che cosa sia il sangue, ma in che consistano " una sembianza di corpo " e " una sembianza di sangue " non riesco in nessun modo a capirlo. E tu mi nascondi (il tuo intendimento) come Pitagora era solito (fare) agli estranei, o come Eraclito, che si esprimeva di proposito in modo oscuro, ma - detto fra noi - non lo comprendi neppure tu. XXVII [75] Vedo che ti sforzi a presentarci una sostanza divina che non ha niente di concreto e niente di materiale, di ogni definito ed evidente aspetto esteriore, che sia pura, leggera, trasparente. Per essa potremo dunque usare le stesse espressioni che per la Venere di Coo: " quello non è un corpo, ma assomiglia ad un corpo, e quel rossore diffuso misto al candore non è sangue ma qualcosa che assomiglia al sangue "; allo stesso modo nel dio di Epicuro non v'è realtà ma una sembianza di realtà. Ma ammettiamo pure che io riesca a convincermi di ciò che va al di là di ogni possibile comprensione; tu però parlami della forma e dell'aspetto esteriore di queste nebulose divinità. [76] A questo proposito non vi mancano certo le argomentazioni per dimostrare che gli dèi hanno aspetto umano ;in primo luogo perché è una nozione innata nella nostra mente a tal punto che nell’uomo si raffigura una figura umana non appena si affaccia in lei il pensiero della divinità; in secondo luogo poiché la natura divina dovrebbe eccellere su ogni cosa, dovrebbe essere la più bella, ma nessun'altra creatura è più bella dell'uomo; come terzo argomento adducete la considerazione che la facoltà del pensiero non può trovare domicilio in alcun'altra forma sensibile. [77] Ma prima di tutto considera bene quale sia l'esatto peso di ciascun argomento; a mio parete, infatti, voi vi sforzate di strappare arbitrariamente una conclusione che non può in alcun modo essere dimostrata. Innanzitutto chi, nel considerare la realtà delle cose, fu mai tanto cieco da non accorgersi che codesto trasferimento dell'aspetto umano alla divinità fu dovuto o a una ponderata deliberazione dei sapienti, col preciso scopo di portare via le menti degli indotti dalla loro abiezione morale verso il culto degli dèi, o ad una pratica superstiziosa così che introdussero l'uso di immagini venerando le quali gli uomini credettero di essere alla diretta presenza degli dèi. Molto contribuirono poi alla diffusione di quelle idee i poeti, i pittori e gli artisti, data la difficoltà di rappresentate sotto una forma diversa dall'umana gli dèi nell'atto di compiere o di intraprendere un'azione qualsiasi. Un altro contributo all'affermazione di questo concetto fu forse anche arrecato dalla naturale fiducia dell'uomo nella sua superiore bellezza. Ma tu, studioso della natura, non vedi quale insinuante mediatrice e quasi mezzana di se stessa sia la natura? Pensi tu forse che possa esservi in cielo o in terra anche un solo animale che non provi il più grande dei piaceri nell'unirsi ad un suo simile? Se non fosse così che cosa impedirebbe ad un toro di desiderare una cavalla o ad un cavallo di desiderare una giovenca? Pensi forse che un'aquila o un leone o un delfino antepongano al proprio aspetto quello di un altro animale? Che c'è dunque di strano, se la natura ha indotto l'uomo a non riconoscere in alcun altro essere una bellezza superiore alla sua? Per questo noi riteniamo gli dèí simili agli uomini.
XXVIII [78] Che cosa pensi che accadrebbe se gli animali avessero la capacità di ragionare, non porrebbe forse ciascuno al primo posto la propria specie? Per ercole, però (bisogna che esprima la mia opinione) pur avendo stima di me stesso non oserei porre la mia bellezza al di sopra di quella del famoso toro che rapì Europa: non sono ora in questione le nostre doti intellettuali ed oratorie ma solo il nostro aspetto esteriore. Ché se poi noi volessimo rappresentarci immaginarie combinazioni di forme diverse, non vorresti tu forse rassomigliate al famoso Tritone marino che è dipinto nell'atto di avanzare trasportato da mostri natanti uniti ad un corpo umano? Comprendo che l'argomento è difficile: tanto grande è l'istinto naturale che nessun uomo vorrebbe essere simile se non ad un uomo (ed una formica ad una formica). [79] Ma a quale uomo però? Quanti nella massa sono veramente belli? Durante il mio soggiorno ateniese, fra gli efebi se ne trovava a malapena uno per ogni plotone che lo fosse veramente: capisco perché ridi, ma la cosa sta veramente così. Inoltre noi che, con l'approvazione degli antichi filosofi, ci compiacciamo di stabilire rapporti di intimità con dei giovinetti, troviamo spesso gradevoli anche dei veri difetti. Ad Alceo "piace un neo sul polso dei suo favorito "; ma un neo è una macchia della pelle: ma ciò non toglie che a lui sembrasse uno splendore. Quinto Catulo, padre del nostro attuale collega ed amico, amava il tuo concittadino Roscio e scrisse anche dei versi in suo onore:" Mi ero fermato per caso a salutare il sorgere dell'aurora quando affermare che un mortale mi parve più bello di un dio ". Per lui dunque era più bello di un dio; eppure era, ed ancora lo è, terribilmente strabico. Ma che importanza ha se questo difetto a lui sembrava gustoso e pieno di grazia? XXIX [80] Torno agli dèi. Dovremo dunque ritenere che alcuni di essi, se non proprio strabici, abbiano però uno sguardo leggermente obliquo, che vi siano dèi deturpati da un neo, camusi, con lunghe orecchie penzoloni, con la fronte esageratamente larga, col capo enorme, coi difetti cioè che riscontriamo in noi, oppure tutto in loro è perfetto? Anche a sia ammessa quest'ultima vostra asserzione: dovremo pensare che gli dèi abbiano tutti il medesimo aspetto? Se presentano aspetti diversi l'uno sarà piú bello dell'altro ed esisterà qualche dio non dotato di eccelsa bellezza; se invece l'aspetto è identico per tutti c'è davvero da pensare che in cielo trionfi la scuola accademica dato che, non essendovi differenza fra l'una e l'altra divinità, ogni conoscenza e percezione risulta fra esse affatto impossibile.