Traduzione De natura deorum, Cicerone, Versione di Latino, Libro 01; 31-40
Traduzione in italiano del testo originale in latino del Libro 01, paragrafi 31-40 dell'opera De natura deorum di Cicerone
DE NATURA DEORUM: TRADUZIONE DEL LIBRO 01; PARAGRAFI 31-40
[31] Anche Senofonte, pur usando meno parole, cade presso a poco negli stessi errori; nei Detti di Socrate egli introdusse il filosofo nell'atto di sostenere che non occorre indagare sulla forma della divinità e che il sole e la nostra anima sono dèi, ma ora gli fa sostenere l'esistenza di un'unica divinità ora di più dèi ; queste affermazioni vanno poste così nelle stesse contraddizioni che diciamo di Platone. XIII [32] Antistenese, poi, nella sua opera (intitolata Il filosofo naturale ) sostiene che molti sono gli dèi nei quali crede la massa, ma che uno solo è quello realmente presente nella natura e che toglie potenza e consistenza agli altri dei. Non molto diversamente Speusippo, sulle orme dello zio Platone, identifica la divinità con una indefinita forza da cui è preposta al governo dell'universo, nello sforzo di sradicare dall'animo umano la nozione stessa della divinità. [33] Aristotele nel terzo libro Sulla filosofia confonde insieme molti concetti in polemica col suo maestro Platone; ora attribuisce natura divina al solo intelletto, ora identifica la divinità col mondo, ora prepone al mondo un essere da esso distinto e gli assegna le funzioni di regolatore e conservatore dei moto universale mediante una sorta di rotazionein senso inverso, ora divinizza il fuoco celeste, senza accorgersi che il cielo è solo una parte di quel mondo che in altri passi egli ha definito come dio,in che modo in mezzo a un così rapido movimento potrà conservarsi uguale a sé stessa codesta coscienza divina del cielo? Dove troverà posto un cosi elevato numero didèi se annoveriamo fra gli dèi anche il cielo? Poiché inoltre vuole la divinità prina di corpo, esclude quella di ogni sensibilità, conseguentemente, anche di saggezza. Come potrebbe, inoltre, muoversi un mondo incorporeo o, muovendosi sempre, essere sereno e felice? [34] Né più perspicace si mostra il suo condiscepolo Senocrate, che in un suo trattato in più libri sulla natura degli dèi non è reperibile una sola rappresentazione sensibile della natura divina. Dice che gli dei sono otto, dei quali cinque trarrebbero il loro nome dai Pianeti, un sesto risulterebbe dall'insieme delle stelle fisse che verrebbero cosi a costituire le sparse membra di un unico corpo indivisibile, il settimo e l'ottavo, infine,andrebbero identificati, rispettivamente, coi sole e con la luna: ma non si vede come dèi siffatti possano provare una qualsiasi sensazione di piacere. Un altro discepolo di Platone, Eraclide Ponticos, a parte le sciocchezze puerili di cui ha infarcito i suoi libri,tuttavia ritiene che la divinità sia ora il mondo, ora una mente, ma, in seguito, attribuisce la divinità anche ai pianeti, spogliare la divinità di ogni facoltà percettiva e vuole che abbia un aspetto cangiante per poi annoverare di nuovo fra gli dèi, in quello stesso libro, il cielo e la terra.
[35] Affatto intollerabile l'incoerenza di Teofrasto che assegna la suprema dignità divina ora allo spirito ora al cielo ora persino alle stelle e alle costellazioni. Né si può accettare la posizione del suo alunno Stratone, detto il fisico, che crede che nella natura ci sia la totalità della potenza divina, quale depositaria delle supreme ragioni che presiedono alla nascita,alla crescita e al deperimento degli esseri, ma concepisce la divinità come incapace di percezioni e non rappresentabile con immagini sensibili. XIV [36] Venendo ora a parlare della scuola del nostro Balbo, vediamo che Zenone eleva a dignità divina la leggena turale cui assegna il compito di prescrivere ciò che è giusto e di vietare ciò che al giusto si oppone. Come possa però fare di questa legge un'entità vivente non si riesce proprio a comprenderlo dal momento che per noi la divinità è fuori d'ogni dubbio un essere fornito di vita e per di più in un altro passo questo medesimo autore denomina dio l'etere: se si può concepire un dio che non abbia alcun rapporto sensibile col mondo esterno e che non si faccia innanzi a noi al momento in cui gli rivolgiamo le nostre preghiere, gli esponiamo i nostri desideri,formuliamo i nostri voti. In altre opere è del parere che un principio razionale, espressione della potenza divina, permei il mondo. Lo stesso concetto egli applica agli astri, ai mesi, agli anni ed alle stagioni. Nel commentare la Teogonia (ossia l'origine degli dèi) di Esiodo toglie di mezzo tutte le usuali e tradizionali idee sulla divinità; non annovera fra gli dèi né Giove,né Giunone, né Vesta né alcun'altra divinità che abbia un nome qualsiasi, ma sostiene che questi nomi sono stati,attribuiti con valore allegorico agli esseri muti e inanimati. [37] Non meno erronea la teoria del suo discepolo Aristone il quale ritiene che la forma della divinità supera la nostra facoltà intellettiva, esclude che gli dèi possano avere sensazioni e non è ben certo se la vita sia un elementoveramente essenziale della natura divina. Cleante, discepolo di Zenone al pari di quello di cui abbiamo appena parlato,ora identifica la divinità coi mondo, ora assegna questo nome allo spirito di cui sarebbe permeata la natura, ora designacon assoluta certezza come dio quella fascia dall'intenso calore collocata agli estremi confini dell'universo che cinge eracchiude in sé la totalità del mondo cui viene dato il nome di etere; è poi lo stesso a delineare, quasi in preda ad una sorta di follia, nel suo trattato Contro il piacere, una bendefinita immagine sensibile degli dèi o ad accentrare negli astri tutta l'essenza divina o a ritenere che nulla sia piú divino della ragione. Ne viene di conseguenza che quel dio di cui noi abbiamo contezza mercé la nostra intelligenza e del cuiconcetto desideriamo far tesoro imprimendolo nel nostro intimo non assume mai una reale consistenza.
XV [38] Perseo un altro discepolo di Zenone, afferma che furono considerati dei tutti coloro che avessero validamente contribuito con le loro scoperte al progresso della civiltà e col designare col nome degli dèi persino le utili e vantaggiose novità da essi introdotte fino al punto di sostenere che quelle tanto decantate scoperte nonfossero opera degli dèi ma avessero esse stesse natura divina; che vi può essere di più assurdo dell'elevare alla dignità divina delle realtà materiali prive di ogni valore e di ogni prestanza o dell'annoverare fra gli dèi degli uominiusciti da questa vita ai quali l'unico onore che si possa rendere rimane quello del compianto? [39] Crisippo, infine, comunemente considerato come il più acuto illustratore delle sognanti fantasie degli stoici,introduce una gran massa di divinità sconosciute, tanto sconosciute da impedirne una rappresentazione anchecongetturale, benché il nostro pensiero abbia la facoltà di rappresentarsi qualsiasi oggetto. Afferma che la potenza divina ha sede nella nostra ragione e nella forza vitale e raziocinante di cui e permeata lanatura; considera alla stregua di una divinità lo stesso universo, lo spirito in esso diffuso ed il suo principio direttivooperante nell'ambito dell'intelletto e della ragione, nonché la natura che ogni cosa accomuna ed abbraccia in sé; lo stesso concetto egli applica alla potenza del fato, suprema ed ineluttabile dominatrice degli eventi futuri, nonché al fuoco ed all'etere cui s'è più sopra accennato, anche tutto ciò che fluisce e si diffonde come l'acqua, la terra, l'aria, il sole, la luna, le stelle e la totalità stessa degli esseri che tutto racchiude in sè, non esclusi anche quegli uomini che abbiano raggiunto l'immortalità. [40] Lo stesso Crisippo sostiene che quel dio che gli uomini chiamano Giove altro non è che l'etere celeste mentre Nettuno rappresenta l'aria diffusa sul mare e quella, che chiamano Cerere la terra; e alla stessa guisa interpreta i nomidegli altri dèi. Identifica inoltre con Giove la forza insita in quella eterna ed imperitura legge che guida la nostra vita ene detta i doveri e a tale forza egli dà il nome di " necessità del fato " e di " eterna realtà del futuro ", ma nessuna diqueste entità mostra di avere in sé le caratteristiche della potenza divina.