Traduzione De legibus, Cicerone, Versione di Latino, Libro 01; 01-10
Traduzione in italiano del testo originale in Latino del Libro 01; parte 01-10 dell'opera De legibus di Marco Tullio Cicerone
DE LEGIBUS: TRADUZIONE DEL LIBRO 01; PARTE 01-10
I [1] Attico: - Riconosco il bosco e questa quercia ben nota agli Arpinati, di cui spesso ho letto nel Mario Se tale quercia è ancora in piedi, non può essere che questa; infatti è molto vecchia. Quinto: - Essa è ancora in piedi, mio caro Attico, e lo rimarrà sempre; perché è stata piantata dal genio. Infatti da nessuna cura di agricoltore può essere seminata una pianta tanto duratura quanto dal verso del poeta. Attico: - Ma sino a quando può durare, Quinto? O di quale natura è mai ciò che piantano i poeti? Infatti mi sembri, nel lodare tuo fratello, che tu stia facendo le lodi di te stesso. [2] Quinto: - E sia pure così; tuttavia, finché potrà avere spazio la letteratura latina, questo luogo non sarà privo di una quercia che venga denominata Mariana, ed essa, come dice Scevola del Mario di mio fratello, se è vero che la tua Atene potè conservare sull'Acropoli un olivo immortale, o se ancora oggi viene mostrata quella medesima palma, per il fatto che l'omerico Ulisse disse di averla vista in Delo, slanciata e giovane; e inoltre è noto che molti oggetti nel ricordo sopravvivono in molti luoghi più durevolmente di quanto non sarebbero potuti sussistere per natura. Per questa ragione quella ghiandifera quercia, dalla quale un tempo prese il volo La messaggera fulva di Giove apparsagli in mirabile aspetto, può ora essere esattamente questa. Ma nonostante tempo e vecchiaia l'abbiano consumata, resterà in questi luoghi quella quercia, che chiameranno Mariana. [3] Attico: - Non ne dubito affatto; ma questo non lo chiedo a te uomo, Quinto, ma a te come poeta, se davvero i tuoi versi abbiano contribuito a piantare questa quercia, ovvero se tu abbia avuto notizia che ciò fu fatto da Mario, come è scritto. Marco: - Ti risponderò, Attico, ma non prima che tu mi abbia risposto se sia certo che, passeggiando non lontano dalla tua casa dopo la propria morte, Romolo abbia detto a Giulio Proculo di essere un dio e di chiamarsi Quirino e che abbia ordinato di dedicargli un tempio in quel luogo, e se sia vero che ad Atene, proprio lì, non lontano da quella tua vecchia casa, Aquilone abbia rapito Orizia; è questo che si racconta. [4] Attico: - Ma qual è il tuo obiettivo e perché mi fai questa domanda? Marco: - Per nessun altro fine se non perché tu non ti metta ad indagare con troppo impegno tradizioni di questo genere. Attico: - Eppure di molti fatti nel Mario si domanda se siano reali o inventati, e da parte di parecchi ti si chiede la verità, dal momento che sei interessato ai fatti recenti e ad un personaggio di Arpino. Marco: - Per Ercole, io non vorrei essere considerato un bugiardo; eppure codesti parecchi, mio Tito, si comportano da ingenui sprovveduti, pretendendo la verità in questo mio tentativo, non come se fossi un poeta, ma addirittura un testimone; e non dubito che questi stessi crederebbero che Numa avesse davvero dei colloqui con Egeria e che un'aquila abbia incoronato Tarquinio.
[5] Quinto: - Capisco, fratello, che le leggi della poesia e quelle della storia tu le giudichi del tutto diverse. Marco: - Naturalmente, dal momento che in questa tutto si riconduce alla verità, ed in quella soprattutto al godimento dello spirito; per quanto anche in Erodoto, il padre della storia, ed in Teopompo vi siano numerose leggende. Attico: - Ecco qui l'occasione che non mi lascerò sfuggire. Marco: - Quale, Tito? Attico: - Già da tempo ti viene richiesta, o meglio si esige da te una storia. Si ritiene infatti che se tu la trattassi, probabilmente anche in questo genere non riusciremmo assolutamente inferiori alla Grecia. E perché tu sappia quale sia la mia opinione personale, mi sembra che questo tuo impegno risponderebbe non soltanto al desiderio di coloro che trovano godimento nei tuoi scritti, ma anche alla stessa patria, perché essa, che già da te fu salvata, grazie alla tua opera debba essere celebrata; manca infatti alla nostra letteratura la storia, come vedo bene da me e sento spessissimo dire da te. E tu senza dubbio sei in grado di soddisfarci in questo campo, dal momento che appunto essa, secondo il tuo pensiero, è l'unico genere di scrittura più congeniale all'oratoria. [6] Perciò, ti preghiamo, incomincia una buona volta e dedica parte del tuo tempo ad un campo che dai nostri conterranei rimane fino ad oggi o ignorato o trascurato. Infatti se iniziamo dagli annali dei pontefici massimi, dei quali nulla si potrebbe citare di più arido, veniamo a Fabio o a quel Catone, che hai sempre sulla bocca, o a Pisone, o a Fannio o a Vennonio, pur avendo costoro l'uno più vigore dell'altro, tuttavia cosa troveremmo di così modesto, come l'opera di tutti questi? Vicino poi all'epoca di Fannio, Antipatro vi mise un po' più di forza ed ebbe in verità una vitalità rozza ed aspra, pur in mancanza di quella chiarezza che deriva dall'esercizio; ciò tuttavia potè servire da incoraggiamento agli altri, perché scrivessero con più cura. Ecco poi tenergli dietro quei gradevoli scrittori come un Clodio o un Asellione, neppure paragonabili a Celio, ma piuttosto alla incertezza ed alla rozzezza, degli antichi. [7] A che scopo infatti dovrei citare, per esempio, Macro? La sua loquacità presenta qualche spunto di arguzia, non già derivante dalla colta facondia dei Greci, ma dai copisti latini, e nei pezzi oratori vi sono certamente molte qualità che fanno parte della lingua latina Il suo amico Sisenna ha superato facilmente tutti i nostri scrittori almeno fino al giorno d'oggi, salvo forse quelli che non hanno ancora pubblicato nulla e dei quali non possiamo dare un giudizio. Ma costui mai è stato ricordato da voi nella vostra famiglia come oratore, e nella storia egli si compiace di banalità tali da sembrare che egli abbia letto soltanto Clitarco e, al di fuori di lui, nessuno dei Greci, e tuttavia pare voglia imitare esclusivamente quello; e se pur potesse raggiungerlo, credo, rimarrebbe sicuramente alquanto distante dalla sua perfezione.
Per questo un tale compito spetta a te, lo si attende da te, a meno che Quinto non la pensi diversamente. [8] Quinto: - Per nulla, anzi abbiamo spesso parlato di questo argomento Ma tra di noi c'è una piccola divergenza di vedute. Attico: - Quale? Quinto: -Da quale periodo incominciare la stesura della storia. Io penso dagli anni più lontani, dal momento che se ne è scritto in maniera tale da non invogliare nemmeno alla lettura; egli invece insiste sulla memoria dell'epoca a lui contemporanea, per abbracciare tutti quegli avvenimenti cui ha partecipato egli stesso personalmente. Attico: - Ed io darei ragione piuttosto a lui. In questa nostra epoca e nei nostri ricordi vi sono infatti degli eventi importantissimi; quindi egli potrà illustrare le glorie di Cn Pompeo suo intimo amico e si incontrerà anche in quel proprio suo e memorabile anno; e preferirei che da lui fossero celebrati questi avvenimenti, anziché personaggi quali Romolo e Remo. Marco: - Riconosco, Attico, che già da tempo mi si richiede quest'impresa; ed io non la rifiuterei, se mi fosse concesso un pò di tempo libero e tranquillo; infatti non si può intraprendere un così grande lavoro quando si è occupati in un'altra attività o con la mente poco serena; vi sarebbe bisogno di ambedue: essere liberi da preoccupazioni e da impegni. [9] Attico: - Perché mai? Per tutto ciò che tu hai scritto in quantità maggiore in confronto a chiunque di noi, quale tempo libero ti fu concesso? Marco: - A me capitano certi ritagli di tempo, che io non permetto che vada sprecato, in modo che se mi rimane libero qualche giorno per andare in campagna, lo sfrutto nello stendere ciò che ho abbozzato. Ma un'opera storica non si può incominciare senza un tempo libero ben determinato, né può essere portata a termine in breve tempo; inoltre normalmente io mi trovo a disagio se devo spostarmi ogni volta che abbia messo mano a qualche cosa, né così facilmente riprendo i lavori interrotti come invece riesco a condurre a termine senza interruzioni quelli già sviluppati. [10] Attico: - Senza dubbio questo tuo impegno esigerebbe un qualche incarico ufficiale o un'analoga sorta di pausa che ti mettesse a disposizione del tempo libero. Marco: - Io pensavo piuttosto ad un esonero per motivi di età, tanto più che non mi rifiuterei, secondo il patrio costume, di starmene seduto in poltrona e dare consigli legali a quelli che mi interpellassero, e di assolvere così il compito gradito e dignitoso di una vecchiaia affatto inerte. Così io potrei dedicarmi in piena libertà sia a questo lavoro, che tu desideri, sia a molti altri di maggiore utilità ed importanza.