Traduzione De Inventione, Cicerone, Versione di Latino, Libro 01; 01-10

Traduzione in italiano del testo originale in Latino del Libro 01; paragrafi 01-10 dell'opera De Inventione di Cicerone

Traduzione De Inventione, Cicerone, Versione di Latino, Libro 01; 01-10
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DE INVENTIONE: TRADUZIONE DEL LIBRO 01; PARAGRAFI 01-10

[1] Ho spesso e lungamente pensato fra me se la facilità di parola e il forte amore per leloquenza abbiano portato più bene che male gli uomini e agli Stati. Quando infatti prendo in considerazione i danni apportati alla nostra repubblica, e rifletto sulle disgrazie antiche di imperi molto potenti, mi rendo conto che una non piccola parte di queste è stata provocata da uomini estremamente eloquenti; daltra parte, quando sono sul punto di ricordare, utilizzando i documenti letterari, i fatti rimossi dalla nostra memoria per la loro antichità, scorgo che molte città furono fondate, tantissime guerre soffocate, saldissime alleanze e molte stabili amicizie strette, non solamente dalla ragione ma ancora di più dalleloquenza. E per ciò , in verità, che, dopo aver riflettuto per molto tempo su tali cose, sono condotto dalla stessa ragione, a approvare proprio questa idea, che poco sia utile agli Stati la sapienza senza leloquenza, e che, senza la sapienza, leloquenza sia molto di frequente nociva e non porti nessuna utilità. Per la qual cosa, se qualcuno si dedica completamente allesercizio della parola, tralasciando lonestissimo e rettissimo uso della ragione e del senso del dovere, costui nutre un cittadino inutile a sé e dannoso per la patria; chi invece si arma delleloquenza non per contrastare il bene della patria ma per battersi per quello, costui mi sembra un cittadino molto utile e valido per sé, per i suoi e per il pubblico bene. [2] Quindi, se vogliamo ritornare allorigine di tale attività che è detta eloquenza, sia che la si voglia considerare unarte o il frutto di uno studio o un esercizio o un dono dato dalla natura, scopriremo che questa, nata da cause estremamente giuste, si sviluppa per ottime ragioni. Ci fu un tempo in cui gli uomini vagavano per i campi come le bestie e, alimentandosi come quelle, continuavano la stirpe, e non facevano niente seguendo la ragione, ma risolvevano gran parte delle cose con la forza del corpo; e non avevano ancora il culto della religione, non conoscevano lesigenza dei rapporti umani; nessuno conosceva i matrimoni legittimi o aveva rivolto lo sguardo verso figli sicuramente suoi; nessuno aveva capito quale utilità avesse il diritto uguale per tutti. Per questo motivo, per errore e per ignoranza, la cupidigia, cieca e sconsiderata dominatrice dellanimo, abusava, come di complici estremamente pericolosi, della forza del corpo, per soddisfarsi. In quel periodo un uomo veramente grande e saggio fu in grado di comprendere quale fosse la natura dellanimo delluomo e quanto fosse grande la sua capacità di fare cose straordinarie, a condizione che qualcuno fosse in grado di spronarlo e renderlo migliore con listruzione; fu lui che, seguendo uno schema razionale, spinse e riunì nello stesso luogo gli uomini dispersi per i campi e nascosti in alberghi silvestri e, spronandoli a fare ogni cosa in modo utile e onesto, anche se inizialmente fossero restii, perché non vi erano avvezzi, li rese poi, da feroci e bestiali come erano, docili e mansueti, poiché erano diventati più sensibili alla persuasione e alla parola.

[3] Credo, effettivamente, che una saggezza muta e priva di eloquenza non avrebbe potuto ottenere questo risultato, in modo tale da distogliere, quasi per magia, gli uomini da vecchie abitudini e da portarli a un diverso modo di vivere. Come mai, fondate le città, gli uomini avrebbero imparato a onorare la fede e a rispettare la legge, come si sarebbero abituati a obbedire di propria volontà agli altri, e non soltanto ad accettare le fatiche per il bene comune, ma anche a perdere la vita, come mai, in definitiva, ciò è potuto accadere se non fosse esistita gente in grado di convincerli con la parola a compiere quelle cose che avevano scoperto con la ragione? Nessuno senza dubbio, dotato come era di tantissima forza, avrebbe accettato, senza opporsi, di sottostare alle leggi, se non fosse stato trasportato da un discorso serio e persuasivo, e nessuno avrebbe mai permesso di farsi eguagliare a quelli sui quali avrebbe potuto eccellere, e di abbandonare di propria volontà lantica e gradita abitudine di vita che, con il tempo, era ormai diventata un modo di vivere naturale. Così sembra che inizialmente abbia avuto origine e si sia in seguito sviluppata leloquenza e che, allo stesso modo, abbia avuto poi un ruolo negli episodi più importanti di pace e di guerra, con grandissima utilità per i cittadini;ma, dopo che con un po di facilità, cattiva imitatrice della sapienza, priva di ogni principio morale, portò a una padronanza di parola, da quel momento, la malizia, fondandosi sullingegno, si abituò a sconvolgere le città e a rovinare la vita dei cittadini. E adesso voglio spiegare lorigine di questo malanno, poiché ho trattato del nascere del bene prodotto dalleloquenza. [4] Ritengo molto probabile che un tempo gli uomini, non essendo in grado di parlare e essendo incolti, non erano soliti preoccuparsi della politica né, daltronde, gli uomini grandi trattavano le accuse private; ma, mentre degli affari più importanti si occupavano uomini eccellenti, credo che esistettero altri individui, non privi di talento, che trattavano le piccole controversie private. E, poiché in questo genere di divergenze gli uomini si schieravano sempre dalla parte della menzogna contro la verità, luso frequente della parola diede a costoro laudacia al punto che quelli che erano veramente oratori furono costretti a resistere a questi sfrontati e a difendere ognuno i propri cari per i danni che quelli arrecavano ai cittadini. Quindi, poiché era sembrato pari e qualche volta anche superiore nel parlare quello che, tralasciato lamore per la sapienza, non si era procurato nientaltro che lefficacia nel parlare, accadeva che costui sembrasse, secondo il suo giudizio e quello della moltitudine, degno di governare lo Stato. Da questo momento, purtroppo e non senza motivo, derivarono i più grandi e sventurati disastri quando del timone dello Stato si impadronirono uomini temerari e audaci. Per tale motivo leloquenza si attirò tanto odio e tanto risentimento che uomini di grande ingegno, allontanandosi dalla sediziosa e tumultuosa vita politica, si dedicarono a una tranquilla attività privata, come se desiderassero rifugiarsi in porto tranquillo per sfuggire a una tempesta violenta.

Per questo motivo mi pare che, poi, gli uomini più in vista dedicarono il loro tempo libero agli altri studi nobili e onesti, e questi ebbero un grande splendore, lattività delleloquenza, al contrario, abbandonata da molti, finì con lessere trascurata proprio in quel periodo in cui sarebbe dovuto più fermamente tenerla in vita e con più amore avrebbe dovuto essere aumentata. [5] Infatti, quanto più indegnamente la temerità e laudacia degli stolti e dei malvagi trattavano, con un danno estremamente grande per lo Stato, la più onesta e la più retta di tutte le attività, con tanta maggior forza ci si doveva opporre a questi individui e provvedere allo Stato. E questo non sfuggì a quel nostro famoso Catone, né a Lelio, né, in verità, allAfricano, loro discepolo, e neanche ai Gracchi, nipoti dellafricano, uomini che avevano grandissimi meriti, un prestigio reso ancora più forte dai grandi meriti, e uneloquenza tale da far evidenziare queste qualità e difendere lo Stato. Quindi, anche se alcuni ne abusino privatamente e pubblicamente, è necessario tuttavia, secondo me, che si abbia cura delleloquenza: e con tanta maggiore energia, affinché questi malvagi non prevalgano a danno dei buoni e a generale rovina di tutti; soprattutto perché questa è la sola attività che abbraccia veramente tutte le attività private e pubbliche, e è la sola che rende la vita sicura, onesta, splendida, gradita. Da essa infatti derivano moltissimi vantaggi allo Stato, purché la saggezza faccia da mediatrice di ogni azione; da essa derivano, per quelli che la possiedono, gloria, onore, dignità; da essa, di conseguenza, deriva a vantaggio dei loro amici una difesa cortissima e saldissima. E in ciò soprattutto mi pare che gli uomini, anche se in molti aspetti siano inferiori e più deboli, superino le bestie, proprio perché possiedono la capacità di parlare. Per tale motivo mi pare che abbia raggiunto una posizione prestigiosa colui che sia riuscito a superare gli altri uomini in quella attività in cui gli uomini sono superiori alle bestie. E se è vero che leloquenza si può possedere non solamente attraverso una disposizione naturale e attraverso lesercizio, ma anche mediante losservanza delle regole di una particolare disciplina, non mi sembra inutile esaminare ciò che insegnano quelli che su quella ci hanno lasciato precetti. Ma, prima di trattare dei precetti delloratoria, mi pare giusto che si debba parlare della natura stessa dellarte, del suo ruolo, del suo fine, del suo oggetto e delle sue parti. Infatti, dopo aver conosciuto tali elementi, lintelligenza di ognuno potrà considerare, più facilmente e velocemente, la natura e il metodo di questa arte. [6] Esiste una scienza politica che abbraccia tantissimi e interessanti argomenti; in essa ha un ruolo importante e vasto leloquenza, che segue le regole dellarte, e che chiamiamo retorica. Io non concordo con coloro che ritengono che la scienza politica non abbia bisogno delleloquenza, e non concordo pienamente con quelli che sostengono che essa si esaurisca tutta nella potenza e nellabilità del retore.

Quindi collocheremo questa attività oratoria in un genere tale per cui possiamo definirla una parte della scienza politica. Il ruolo della retorica sembra che sia quello di parlare in modo adatto a persuadere, mentre ne è il fine il persuadere con la parola. Tra ruolo e fine esiste questa differenza: il ruolo considera quello che è conveniente fare, il fine ciò che è conveniente raggiungere. Come infatti si afferma che il ruolo del medico è quello di curare in modo esatto per guarire, e fine quello di guarire curando, ugualmente, intendo che cosa bisogna ritenere come ruolo e che cosa come fine quando affermo ruolo delloratore ciò che egli deve fare, e fine lo scopo per il quale deve agire. [7] Denominiamo oggetto di questa arte quello su cui verte tutta larte e leloquenza che ne deriva; se, per esempio, definiamo oggetto della medicina le malattie e le ferite, per il fatto che tutta la medicina tratta quelle, similmente chiamiamo oggetto della retorica quelle questioni di cui si occupano larte e la capacità oratoria. Queste, certi le ritengono piuttosto numerose, altri, al contrario, piuttosto poche. Infatti Gorgia da Lentini, in un certo senso il più antico retore, credette che loratore fosse in grado di affrontare benissimo ogni argomento, assegnando quindi, a quanto pare, a questarte un campo vasto e immenso. Aristotele, al contrario, che a questa arte accordò moltissimi mezzi di appoggio e abbellimenti dello stile, affermò che il compito del retore si sviluppa attraverso tre generi: lepidittico, il deliberativo e il giudiziale. Lepidittico si usa per lodare o biasimare una certa persona; il deliberativo utilizzato nella cause civili, comporta lesposizione di una proposta; il giudiziale, usato nei giudizi, si esplica mediante laccusa e la difesa o attraverso listanza e la replica giustificativa. Quindi, secondo me, si deve credere che larte e la pratica oratoria restano nellambito di questi tre generi. [8] Infatti sembra che Ermagora non presti attenzione a ciò che afferma, né comprenda quello che propone, quando divide loggetto delloratoria in ipotesi e tesi, e quando chiama ipotesi un argomento di discussione con lintroduzione di certe persone determinate; cosa che anche noi affermiamo come propria delloratore ( poniamo, infatti, come base quelle tre arti che abbiamo prima nominato, la giudiziale, la deliberativa e la dimostrativa). Ma definisce poi tesi un argomento di discussione senza la presenza di persone determinate in tale modo: Quale bene potrebbe esistere oltre lonestà?; Possono i sensi conoscere la verità? Quale è la forma del mondo? Quanto grande è il sole? Quindi tutti capiamo con facilità che queste questioni sono lontane da ciò che è il compito delloratore: infatti sembra una grande follia assegnare alloratore, come se fossero cose di poco conto, il compito di risolvere alcuni problemi per i quali sappiamo che si impegnarono con grande sforzo filosofi di grande ingegno. Certamente, se Ermagora avesse avuto di questa materia, una profonda conoscenza mediante uno studio sistematico, potremmo ritenere che egli, sicuro come era della sua scienza, avesse stabilito qualcosa di errato riguardo allattività delloratore e esposto, non ciò che larte oratoria, ma quello che egli stesso era capace di fare.

Ora egli è un uomo tale che qualcuno farebbe prima a privarlo del titolo di retore che a dargli quello di filosofo;e ciò, non perché mi sembri scritto in modo del tutto sbagliato il trattato che ha pubblicato, poiché mi sembra che in esso abbia inserito con ingegno e diligenza, argomenti tratti dagli antichi manuali e abbia proposto qualcosa di nuovo suo personale, come egli ha fatto, ma ha al contrario estremamente importanza parlare secondo larte, ciò che tutti sappiamo che egli non fu in grado di fare. [9] Quindi credo che oggetto dellarte retorica sia quello che approvò, come abbiamo già detto Aristotele; le sue parti sono quelle che la maggior parte ha accettato, ossia linvenzione, la disposizione, lelocuzione, la memoria e la declamazione. Linvenzione è la ricerca degli argomenti veri o verosimili, tali che siano in grado di rendere credibile la causa; la disposizione consiste nella collocazione, secondo un ordine, degli argomenti reperiti; lelocuzione è ladattamento delle parole e dei pensieri agli argomenti posti dallinvenzione; la memoria è la capacità di ritenere saldamente nella mente le idee e le parole atte agli argomenti trovati; la declamazione consiste nel regolare la voce e i gesti secondo lesigenza delle cose e delle parole. Quindi, dopo aver stabilito tali premesse, rinvieremo a altri tempi lesposizione di quello che potremmo dire per definire la natura, il fine, e il ruolo di questa arte; infatti questi punti necessitano di un lungo discorso, e non riguardano tanto la descrizione della tecnica e linsegnamento dei precetti. Credo che chi voglia scrivere di retorica deva trattare altre due questioni, loggetto dellarte e le sue parti. E mi sembra opportuno discutere contemporaneamente loggetto e le sue parti. Consideriamo quindi quale debba essere linvenzione, la cosa più importante di tutte le parti, soprattutto in ogni sorta di causa. [10] Ogni fatto che è legato a qualche controversia del genere dimostrativo o deliberativo o giudiziale contiene una questione a proposito o dun fatto o dun nome o della natura di un fatto o dellazione giudiziaria. Chiamiamo quindi stato della causa la questione dalla quale nasce la causa. Lo stato della causa è il primo dibattito fra le due tesi e parte dalla confutazione dellaccusa, in tale modo: Lhai commesso tu; non lho commesso io oppure Lho fatto in quanto ne avevo il diritto. Quando la controversia riguarda il fatto, poiché la causa si deve risolvere in modo congetturale, si chiama stato di causa congetturale. Quando invece la controversia riguarda il nome, si chiama stato di accusa definitiva, poiché si deve definire il significato di un termine. Quando poi si ricerca la natura del fatto, poiché la controversia riguarda la portata e la qualità del fatto, abbiamo lo stato di causa generale. Ma quando la causa dipende dal fatto che o lattore o il convenuto o i giudici o il momento o la legge o il capo di imputazione o la pena non sembrano quelli che dovrebbero essere, si ha lo stato di ricusazione, perché si renda necessaria leccezione declinatoria e una modifica.

E è inevitabile che in ogni genere di causa accada qualcuna di queste eventualità, poiché, se non ve ne accade nessuna, non potrà esserci alcuna controversia. E non si potrà parlare neanche in modo conveniente di causa.

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