Traduzione De Imperio Cn Pompei, Cicerone, Versione di Latino, capitolo 01; 01-23
Traduzione in italiano del testo originale in Latino del capitolo 01; paragrafi 01-23 dell'opera De Imperio Cn Pompei di Cicerone
DE IMPERIO CN POMPEI: TRADUZIONE DEL CAPITOLO 01; PARAGRAFI 01-23
[1] La vostra assidua presenza senza dubbio è sempre stata per me motivo di grandissima gioia, e d'altra parte nessun luogo mi è sembrato più di questo splendido per trattare i problemi dello Stato, più di questo adattissimo per pronunciare discorsi, tuttavia, o Quiriti, a tenermi finora lontano da un tale luogo, che apre la strada alla gloria e che si è sempre spalancato a tutti i migliori, non è stata la mia volontà, ma la norma di vita da me seguita fin dall'inizio della mia età di uomo. In passato, poiché non osavo ancora avvicinarmi a questo luogo autorevole, ed ero convinto che non bisognasse portare qui se non quanto fosse frutto di un'elevata intelligenza e di una sapiente preparazione, ho ritenuto opportuno dedicare tutto il mio tempo agli interessi degli amici. [2] Pertanto questo luogo non è mai rimasto privo di difensori del vostro prestigio, ed i miei sforzi, tesi a difendere con disinteresse ed integrità i privati cittadini nei loro momenti di pericolo, hanno raggiunto, grazie alle vostre sentenze, la più bella ricompensa. Infatti, quando a causa del rinvio del comizi fui nominato tre volte pretore, io per primo da parte di tutte le centurie, compresi con facilità, o Quiriti, ciò che voi pensavate di me e ciò che eravate soliti indicare agli altri come esempio. Ora, grazie al fatto che sono in possesso sia dell'autorità che voi mi avete conferito affidandomi la carica, sia della capacità di trattare gli affari dello Stato, quella che può essere raggiunta da un uomo attivo in virtù dell'esercizio quasi giornaliero dell'eloquenza giudiziaria, siatene certi, se ho un po' di questa autorità, me ne servirò in favore di quelli che me l'hanno conferita, e se ho una qualche capacità nell'eloquenza, ne darò la dimostrazione soprattutto a quanti hanno ritenuto di dovermi ricompensare con il loro appoggio, anche per questi miei meriti. [3] In primo luogo ritengo di avere il diritto di rallegrarmi, perché in questa occasione, inconsueta per me, di parlare a questa tribuna, mi è stato offerto un argomento tale, che su di esso a nessuno potrebbero venir meno le parole. Io mi propongo di parlare delle particolari e straordinarie qualità di Gneo Pompeo, ed è più difficile concludere che iniziare un simile discorso. Devo perciò preoccuparmi non tanto di essere prolisso, quanto di essere stringato. [4] E' opportuno che il mio discorso prenda l'avvio dall'origine di tutta la questione: due regnanti potentissimi, Mitridate e Tigrane, conducono una guerra di grande portata e rischiosa contro i vostri tributari ed i vostri alleati; entrambi, l'uno quasi ignorato, l'altro provocato, ritengono che sia stata loro offerta l'occasione di impadronirsi dell'Asia. Ogni giorno pervengono lettere dall'Asia ai cavalieri romani, persone rispettabilissime, che hanno impegnato ingenti capitali nell'appalto dei tributi statali: essi, in virtù dei legami che mi uniscono al loro ordine, mi hanno affidato gli interessi dello Stato e delle loro fortune in pericolo: [5] In quelle lettere si dice che sono stati dati alle fiamme parecchi villaggi della Bitinia, attualmente provincia romana; che il regno di Ariobarzane, confinante con i territori a voi tributari, è interamente in potere dei nemici; che Lucio Lucullo, dopo aver compiuto grandi imprese, lascia il comando delle operazioni, ed il suo successore non è sufficientemente preparato a dirigere una simile guerra; che tutti gli alleati ed i cittadini richiedono insistentemente un solo uomo al comando dell'impresa, e questo uomo, e soltanto lui, è temuto dai nemici.
[6] Rendetevi conto in quali termini si presenta la situazione; riflettete bene circa la decisione da prendere. Io ritengo che in primo luogo occorra parlare del tipo di guerra, quindi della sua importanza, e poi del comandante da scegliere. La natura della guerra è tale da stimolare ed infiammare necessariamente i vostri animi a intraprenderla con passione; in essa sono in gioco la gloria del popolo romano, quella che i vostri antenati vi hanno affidato, grande in ogni campo, ma grandissima nelle attività militari; si aggiunga la sicurezza degli alleati e degli amici, in difesa dei quali i vostri antenati sostennero guerre impegnative e faticose; inoltre, si aggiungano le entrate più certesi e più cospicue del popolo romano, la cui perdita vi porterebbe a cercare nuove risorse in periodo di pace e nuove fonti di sostegno in guerra; infine, si aggiunga che sono in ballo le sostanze di molti cittadini, di cui dovete preoccuparvi, sia nel loro interesse come nell'interesse dello stesso Stato. [7] Dal momento che voi avete sempre desiderato la gloria e ambito agli elogi, soprattutto da parte degli altri popoli, dovete cancellare la macchia procurata dalla prima guerra contro Mitridate, un'onta che ha lasciato una traccia profonda e fin troppo duratura sul nome del popolo romano: infatti colui che in un solo giorno, in tante città dell'intera Asia, con un unico annuncio ed un unico segnale procurò la morte ed il massacro di tutti i cittadini romani, non solo non ha subito sino ad oggi pene adeguate al suo crimine, ma da allora sono ventidue anni che regna, e per di più regna in modo tale da non desiderare di nascondersi nei recessi del Ponto e della Cappadocia, ma anzi di uscir fuori dal regno paterno e spingersi nei territori a voi tributari, cioè in una vasta area dell'Asia. [8] E finora i nostri generali hanno lottato con quel re in modo da riportare dalla guerra contro di lui i trofei tipici della vittoria, ma non una vittoria reale. Su Mitridate hanno trionfato Lucio Silla e Lucio Murena, entrambi uomini valorosissimi e generali molto apprezzati, ma essi hanno trionfato in maniera tale che Mitridate, pur scacciato e vinto, ha continuato a regnare. Occorre tuttavia lodare quei generali per ciò che hanno fatto, scusarli per aver lasciato il loro incarico, considerato che Silla fu richiamato in Italia dalla situazione politica, Murena da Silla. [9] Mitridate, da parte sua, ha dedicato tutto il tempo lasciato a sua disposizione, non a dimenticare la guerra passata ma a prepararne una nuova: egli, dopo aver costruito ed allestito potentissime flotte ed eserciti molto numerosi, prendendo i soldati da tutti i popoli possibili, ed aver finto di portare guerra agli abitanti del Bosforo, suoi vicini, inviò ambasciatori e lettere in Spagna ai generali che noi in quella regione stavamo combattendo; mentre i due eserciti nemici conducevano di comune accordo la guerra per terra e per mare in due luoghi distantissimi e del tutto diversi, era suo intento quello di costringervi a combattere per l'impero romano impegnati su due fronti.
[10] Ciò nonostante Gneo Pompeo, con la sua divina saggezza ed il suo straordinario valore, allontanò il pericolo proveniente da parte di Sertorio e della Spagna, dove i nemici avevano sostegno e forze molto maggiori; nei confronti dell'altra parte, Lucio Lucullo, uomo di grandi risorse, si comportò in modo tale, che l'inizio favorevole e brillante della sua campagna sembra si debba attribuire non alla fortuna, ma al suo valore, e al contrario, gli avvenimenti recenti non a suoi errori, ma alla sfortuna. Ma parlerò di Lucullo in un altro momento, e ne parlerò in maniera tale, o Quiriti, che le mie parole non diano l'impressione di sottrargli la gloria che gli spetta o attribuirgli meriti inesistenti [11] per quanto riguarda la rispettabilità e la gloria del vostro impero, dal momento che da quel punto è iniziato il mio discorso, valutate bene quale sia l'atteggiamento più opportuno da assumere. I nostri antenati hanno sempre combattuto in difesa dei mercanti e degli armatori romani, per certi aspetti offesi: quale atteggiamento dovreste tenere voi, dal momento che, con un unico ordine e nello stesso giorno, sono state trucidate tante migliaia di cittadini romani? I vostri padri vollero l'estinzione di Corinto, luce di tutta la Grecia, per il solo fatto che gli ambasciatori erano stati trattati con parole altezzose; voi invece tollererete che resti impunito il re che fece uccidere un ambasciatore del popolo romano, un proconsole, dopo averlo messo in catene e sottoposto a varie torture? I vostri padri non tollerarono che fosse intaccata la libertà dei cittadini romani, e voi invece non vi preoccuperete che venga tolta loro la vita? Essi punirono la semplice violazione verbale del diritto delle ambascerie, e voi non vendicherete un ambasciatore sottoposto ad ogni genere di torture? [12] Se è stato magnifico per i vostri padri affidarvi un impero tanto ricco di gloria, badate bene che non sia per voi motivo di grandissima vergogna il non poter difendere e mantenere quanto avete ricevuto in eredità da loro. E quale deve essere il vostro atteggiamento riguardo al fatto che la sicurezza degli alleati sta correndo un rischio grandissimo? E' stato cacciato dal suo regno Ariobarzane, fedele alleato del popolo romano; stanno minacciando l'Asia intera due re, acerrimi nemici non solo di voi Romani, ma anche dei vostri alleati e dei vostri amici; tutte le città dell'Asia e della Grecia sono costrette dalla estensione del pericolo ad attendere il vostro aiuto; ma esse non osano richiedervi il generale da loro preferito, specialmente perché voi ne avete inviato un altro, e pensano di non poter far ciò senza esporsi ad un grandissimo rischio. [13] Queste città vedono e comprendono, al pari di voi, che esiste un solo uomo in possesso di tutte le migliori qualità, ed egli è nelle loro vicinanze, la qual cosa accresce il loro rincrescimento per essere prive del suo sostegno; esse capiscono che il suo solo arrivo e la fama del suo nome, per quanto egli fosse giunto esclusivamente per la guerra marittima, valsero a frenare e ritardare gli attacchi nemici.
Gli alleati vi pregano in silenzio, visto che non è consentito parlare liberamente, affinché riteniate anch'essi degni, come gli alleati delle altre province, di essere protetti da un uomo di tale statura; lo chiedono tanto più insistentemente, in quanto nelle altre province mandiamo con le insegne del comando uomini di tal genere che, pur difendendole dal nemico, fanno tuttavia sembrare il loro ingresso nelle città alleate non molto diverso da un'irruzione di nemici. Essi sentivano dire in precedenza, ed ora possono constatarlo di persona, che in Pompeo c'è tanto buonsenso, tanta benevolenza, tanta umanità, da far sembrare come i più felici quei cittadini presso cui egli rimase più a lungo. [14] Se quindi i nostri antenati senza essere stati direttamente provocati da alcuna offesa, ma solo in nome delle alleanze combatterono con Antioco, con Filippo, con gli Etoli, con i Cartaginesi, con quale maggiore accanimento è bene che voi, offesi e provocati, difendiate nello stesso tempo l'integrità degli alleati ed il nome del vostro impero, specialmente perché sono in giuoco le vostre maggiori fonti di ricchezza? Infatti le entrate delle altre province, o Quiriti, sono di tale consistenza, che ci bastano a stento per difenderle, ma l'Asia è così ricca e fertile, da superare con facilità ogni altra terra quanto a fertilità dei campi, quanto a varietà dei suoi frutti, per la vastità dei pascoli e per il gran numero dei prodotti destinati all'esportazione. Pertanto, o Quiriti, se volete alimentare i mezzi per fare la guerra e per conferire decoro alla pace, dovete difendere questa provincia non solo da ogni devastazione, ma anche dal timore della devastazione. [15] In varie occasioni il danno si riceve all'arrivo del disastro; per quanto concerne invece le entrate dello Stato il disastro è causato non soltanto dall'arrivo, ma anche dal timore del male. Quando le milizie nemiche non sono lontane, anche se esse non hanno effettuato incursioni, si abbandonano tuttavia le greggi, si lasciano le attività agricole, si sospende la navigazione commerciale. Così né i dazi portuali, né le decime, né le imposte sui pascoli possono più arricchire le entrate; spesso i proventi di un anno intero vanno perduti alla sola notizia del pericolo ed al solo timore di una guerra. [16] Ed infine, quale credete che sia lo stato d'animo di coloro i quali ci pagano i tributi, o di quelli che ne hanno l'appalto e li riscuotono, quando due re con ingenti forze si trovino nelle vicinanze? Quando un'unica incursione della cavalleria potrebbe portarci via in un tempo brevissimo i proventi di un anno intero? Quando i pubblicani ritengono di poter mantenere solo con loro grande pericolo la numerosa mano d'opera di schiavi che hanno nelle saline, nei campi, nei porti, nei posti di guardia? Credete voi di poter trarre vantaggio da una simile situazione, se non preserverete quanti vi recano vantaggio, liberandoli non solo, come ho detto in precedenza, dai disastri, ma anche dal pericolo del disastri? [17] C'è un altro punto che non dovete trascurare; io l'avevo lasciato per ultimo, per quando sarebbe giunto il momento di parlare delle caratteristiche di questa guerra, esso riguarda i beni di molti cittadini romani, dei quali dovete tener conto, o Quiriti, per coerenza con la vostra saggezza.
Infatti i pubblicani, persone assai onorate ed apprezzate, hanno trasferito affari e sostanze in quella provincia; di per se stesse, le loro questioni e le loro fortune devono starvi a cuore. Poiché se abbiamo sempre considerato le imposte come forza vitale dello Stato, dovremo dunque definire a ragione sostegno delle altre classi la classe che è addetta all'esazione delle imposte stesse. [18] Inoltre uomini attivi ed industriosi delle altre classi, in parte commerciano essi stessi in Asia, e in loro assenza voi avete il compito di curare i loro interessi; in parte hanno grandi somme di denaro investite in quella provincia. E' pertanto proprio del vostro senso di umanità preservare dai disastri un gran numero di cittadini, è proprio della vostra saggezza il capire che la rovina di molti cittadini non può essere tenuta distinta dal pubblico interesse. E, soprattutto, è di secondaria importanza che voi recuperiate in un secondo momento ai pubblicani i perduti proventi. Essi infatti non avranno più la possibilità, a causa della loro rovina, di riprendere l'appalto delle imposte, né altri vorranno farlo, in quanto spaventati. [19] Dobbiamo, poi ben ricordarci, resi esperti dalla sventura, della lezione impartitaci da questa stessa Asia e da questo stesso Mitridate all'inizio della guerra d'Asia. Sappiamo infatti che, quando una gran numero di cittadini persero in Asia i propri beni, la sospensione dei pagamenti mise in crisi il credito a Roma. E' impossibile che in una città molti perdano le proprie sostanze ed i propri beni senza trascinare parecchi cittadini nella loro stessa rovina; preservate lo Stato da questo pericolo! Ed infatti -credete alle mie parole, avendolo visto con i vostri occhi - il credito e le questioni finanziarie che si trattano a Roma, ed in particolare nel foro, sono strettamente legate alle ricchezze dell'Asia. Queste non potrebbero andare in rovina, senza che quelle crollino, travolte dalla stessa tempesta. Perciò riflettete bene se intendete esitare a lanciarvi con tutto il vostro ardore in una guerra, in cui vengono difese la gloria del vostro nome, il benessere degli alleati, le entrate più cospicue, i beni di moltissimi cittadini legati agli interessi dello Stato. [20] Dal momento che ho parlato delle caratteristiche della guerra, dirò ora poche parole sulla sua importanza. Perché si potrebbe dire che questa specie di guerra è assolutamente necessario intraprenderla, ma non tanto importante da dover esser temuta. A questo proposito dovete compiere un grandissimo sforzo perché non sembri di poco conto quanto invece deve essere valutato con la massima attenzione. E perché tutti capiscano che io tributo a Lucio Lucullo l'elogio dovuto ad un guerriero valoroso, ad un uomo saggio e ad un condottiero di spicco, dico che al suo arrivo Mitridate aveva truppe ingenti, perfettamente equipaggiate e preparate, Cizico, la più illustre e a noi più fedele città dell'Asia, era stretta in una morsa da quello stesso re con ingenti forze e attaccata con grande violenza; Lucio Lucullo la liberò dai grandissimi pericoli dell'assedio con il suo valore, con la sua tenacia, con le sue decisioni: [21] lo stesso generale vinse ed affondò una flotta grande e ben equipaggiata, la quale, infuocata d'ardore e d'odio, era spinta verso l'Italia dai generali di Sertorio; inoltre egli ha annientato in numerosi combattimenti soverchianti forze nemiche ed ha aperto alle nostre legioni il Ponto, i cui luoghi d'accesso erano in precedenza chiusi al popolo romano; Sinópe ed Aniso, le città in cui c'erano le dimore del re, ricche e sovrabbondanti di ogni bene, e le altre città del Ponto e della Cappadocia, assai numerose, sono state conquistate alla sua comparsa ed al suo arrivo; il re, privato del regno paterno e dei suoi avi, si rifugiò con atteggiamento supplichevole presso altri re ed altri popoli; tutto ciò è stato compiuto salvaguardando gli alleati dei Romani e le entrate delle province.
Ritengo che questo sia un elogio sufficiente e in grado di farvi comprendere, o Quiriti, che nessuno di quelli che avversano questa legge e questa causa ha lodato in modo simile Lucio Lucullo da questo luogo. [22] Forse mi si chiederà ora, come mai, stando così le cose, gli ultimi bagliori di questa guerra possano avere tanta importanza. E' bene che ne veniate a conoscenza, o Quiriti. Perchè una tale domanda non deve apparire inopportuna. Dapprima Mitridate partì dal suo regno, così come si dice sia un tempo fuggita, dallo stesso Ponto, Medea; si narra che Medea fuggendo seminò le membra del fratello nei luoghi in cui il padre la rincorreva, perchè la raccolta delle membra disperse ed il dolore del padre rallentassero la velocità dell'inseguimento. Allo stesso modo Mitridate in fuga lasciò interamente nel Ponto una grandissima quantità d'oro e d'argento e di tutti gli splendidi oggetti che aveva ricevuto dagli antenati e che egli stesso, nella precedente guerra, aveva razziato in tutta l'Asia ed accumulato nel suo regno. Mentre i nostri soldati radunavano tutto questo con eccessivo zelo, il re stesso fuggì dalle loro mani. Così, mentre il dolore ritardò il padre di Medea nel suo inseguimento, fu la gioia a frenare i soldati romani. [23] Fu Tigrane, re dell'Armenia, ad accogliere Mitridate in quella fuga da pavido, a rafforzare la fiducia nella sua condizione, a sollevarlo dal suo abbattimento e a dargli nuova vita mentre era in rovina. Dopo che Lucio Lucullo ed il suo esercito giunsero nel regno di Tigrane, vari popoli furono incitati ad opporsi al nostro generale. Poiché era stato seminato il terrore in quelle genti che il popolo romano non aveva mai ritenuto di dover provocare, né di spingere alla guerra; anche un'altro funesto e pesante sospetto si era insinuato nelle menti dei barbari, cioè che il nostro esercito fosse stato spinto in quelle località per spogliare uno dei templi più ricchi e venerati. In tal modo molte ed importanti popolazioni furono incitate contro di noi da un nuovo motivo di terrore e di paura. Il nostro esercito poi, per quanto avesse conquistata una città del regno di Tigrane ed avesse sostenuto combattimenti con pieno successo, era demoralizzato per la lontananza dei luoghi e per la nostalgia della famiglia