Traduzione De fato, Cicerone, Versione di Latino, parte 01

Traduzione in italiano del testo originale in latino, parte 01, dell'opera De fato di Cicerone

Traduzione De fato, Cicerone, Versione di Latino, parte 01
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DE FATO: TRADUZIONE DELLA PARTE 01

Perché riguarda i costumi, che i Greci chiamano etica, mentre noi siamo soliti denominare tale partizione come filosofia dei costumi, ma a chi si prefigge di elevare la lingua latina si addice di definirla filosofia morale. Bisogna inoltre spiegare l'essenza e la natura delle proposizioni, che i Greci chiamano assiomi; stabilire quale significato abbiano quando si esprimono sul futuro e su ciò che è possibile o che non lo è, rappresenta un problema complesso, che i filosofi definiscono sul possibile: nel suo insieme costituisce la logica, che io chiamo arte del ragionamento. Negli altri libri Sulla natura degli dèi, come pure nei libri che ho pubblicato Sulla divinazione ho adottato un criterio ben preciso: il discorso si svolgeva sistematicamente attraverso argomentazioni prima a favore e poi contrarie, perché con maggior facilità ciascuno comprovasse la tesi che gli pareva più verosimile; nella presente dissertazione sul fato, una circostanza mi ha invece impedito di attenermi a tale criterio. Ero infatti nella mia tenuta di Pozzuoli e nei dintorni si trovava pure il nostro Irzio, console designato, persona a me legata da saldissimi vincoli d'amicizia e dedita agli stessi studi in cui sono cresciuto fin dall'infanzia: trascorrevamo insieme molto tempo, esaminando in particolare le misure che miravano alla pace e alla concordia tra i cittadini. Dopo la morte di Cesare sembrava infatti che si cercassero pretesti per nuovi disordini e ritenevamo di dover porre rimedio a una situazione del genere, per cui quasi tutti i nostri discorsi venivano spesi su tali argomenti; era accaduto spesso in altre circostanze, ma ne discutemmo in particolare un giorno ben preciso, in cui avevamo più tempo del solito e meno visitatori; non appena Irzio giunse da me, prima trattammo degli argomenti che erano quotidianamente al centro dei nostriinteressi e, starei per dire, d'obbligo per noi: la pace e la tranquillità pubblica. Dopo aver parlato di ciò, mi disse: allora, siccome non hai certo abbandonato, spero, gli esercizi oratori, ma li hai senz'altro posposti alla filosofia, potrei forse sentire un saggio della tua eloquenza? Ma certo: è tua facoltà, risposi, tanto l'ascoltare quanto l'intervenire.Sì, è come tu ritieni: non ho abbandonato quegli studi oratori grazie ai quali ho infiammato anche te - ma già ardevi d'entusiasmo quando ti accolsi -, né i miei interessi attuali diminuiscono le capacità espressive, anzi le potenziano. Con il genere di filosofia che seguiamo, l'oratore ha infatti un'intima affinità: dall'Accademia prende a prestito la sottigliezza dell'argomentazione e in cambio restituisce alla filosofia la dovizia dell'arte oratoria e gli ornamenti retorici. Perciò, continuai, dal momento che padroneggiamo entrambi i campi, oggi lascio a te la scelta, se preferisci trattare dell'uno o dell'altro. Allora Irzio: una cortesia squisita da parte tua, disse, com'è tipico di ogni tuo gesto: la tua benevolenza non ha mai opposto un rifiuto ai miei desideri. Allora, considerando che le vostre finezze retoriche mi sono note e che ti abbiamo ascoltato più volte e ancora ti ascolteremo impegnato in esse, e poiché le Discussioni di Tuscolo dimostrano che hai adottato la tecnica degli Accademici di disquisire e respingere ogni tesi proposta, vorrei suggerire un tema, per ascoltare il tuo parere, se non ti spiace.

Potrebbe forse spiacermi, ribattei, ciò che a te sarà gradito? Allora mi ascolterai tenendo presente che parla un Romano, un uomo che timidamente si affaccia a questo genere di disputa e che ritorna a tali studi dopo un lungo intervallo di tempo. Ti ascolterò discettare, disse, nello stesso modo in cui leggo i tuoi scritti. Inizia dunque. Sediamoci qui. In alcuni dei quali, come nel caso del poeta Antipatro, delle persone nate nel giorno del solstizio d'inverno, dei fratelli che si ammalano contemporaneamente, dell'urina, delle unghie e di tutti i rimanenti esempi del genere, vale la solidarietà naturale, che io non nego, ma non vi è alcun influsso del fato; in altri casi possono invece verificarsi alcune circostanze fortuite, ad esempio per quel naufrago, oppure per Icadio o Dafita; sembra che anche Posidonio - sia detto con buona pace del maestro - abbia escogitato qualche esempio fittizio: palesi assurdità. Ebbene? Se il fato di Dafita era che dovesse cadere da cavallo e così morire, doveva forse cadere da quel determinato cavallo che, non essendo affatto un cavallo, di esso non aveva altro che il nome? E poi, era proprio la piccola quadriga incisa sull'elsa della spada quella da cui, secondo gli avvertimenti, Filippo doveva guardarsi? Quasi fosse stato ucciso dall'elsa! Che importanza ha, poi, se quel naufrago, che non ha nemmeno nome, è caduto in un ruscello? Eppure il nostro autore scrive che a costui era stata predetta una morte nell'acqua. E neanche nel caso del predone Icadio, insomma, vedo alcun intervento del fato: Posidonio non scrive infatti che qualcosa era stato predetto a Icadio. Cosa c'è distraordinario dunque, se dalla volta della grotta gli è caduto un masso sulle gambe? Penso che, se anche Icadio non fosse stato in quell'istante nella grotta, il masso sarebbe comunque caduto. O non si concede affatto la possibilità di una circostanza fortuita, oppure la vicenda di Icadio ha potuto aver luogo per caso. Allora mi domando - e la questione riguarderà un campo ben ampio: se il fato non avesse un nome, una natura, un'essenza e se la maggior parte degli eventi, o addirittura tutti, si determinassero in modo fortuito, arbitrario o casuale, avrebbero forse uno svolgimento diverso rispetto ad ora? Che scopo ha dunque insistere sul concetto di fato, quando, anche senza ricorrervi, si può far risalire l'ordine universale alla natura o al caso?Ma congediamo con buona grazia, com'è giusto, Posidonio e ritorniamo ai lacci di Crisippo: rispondiamogli, come primo punto, sulla questione della solidarietà naturale, quindi tratteremo i restanti problemi. Abbiamo dinnanzi agli occhi quali differenze intercorrano tra le nature dei vari luoghi: gli uni sono salubri, gli altri malsani; in alcune zone ci sono abitanti che sono ricchi di linfa e che, oserei dire, ne hanno in eccesso, mentre in altre si trovano persone disseccate e inaridite; molti altri fattori, poi, concorrono a differenziare nettamente luoghi e luoghi. Ad Atene l'aria è fine, motivo per cui gli Attici sono considerati anche più fini d'intelletto; a Tebe invece è densa, perciò i Tebani sono grossi e robusti.

Eppure, quell'aria fine non sarà la causa per cui si diventa discepoli di Zenone o di Arcesila o di Teofrasto, né l'aria densa avrà l'effetto di far cercare una vittoria alle Nemee piuttosto che ai giochi istmici. Distingui ulteriormente: quale influsso può avere la natura del luogo, se passeggio nel Portico di Pompeo piuttosto che nel Campo Marzio? In tua compagnia anziché con un altro? Alle idi piuttosto che alle calende? Quindi, come la natura del luogo ha una qualche incidenza per certi aspetti, ma nessuna per altri, così l'influsso degli astri può aver valore, se vuoi, in alcuni casi, ma certamente non in tutti. Ed è ovvio, perché nell'indole degli uomini ci sono differenze, tant'è vero che agli uni piace il dolce, ad altri un pizzico d'amaro, alcuni sono schiavi della passione, altri iracondi o crudeli o superbi, ma ci sono persone che rifuggono da difetti del genere: considerando dunque, afferma Crisippo, che tanto dista un'indole dall'altra, ci sarebbe forse da stupirsi, se queste differenze fossero provocate da cause diverse. Mentre svolge la propria discussione, Crisippo perde di vista l'essenza del problema e le basi su cui esso poggia. Se ognuno ha infatti una certa propensione dovuta a cause naturali e precedenti, non ne deriva che, a loro volta, le cause dei nostri sentimenti e desideri siano naturali e precedenti. Se così fosse, nulla sarebbe in nostro potere. Ora invece ammettiamo che non dipende da noi essere intelligenti o stupidi, forti o deboli. Ma chi pensa di poter concludere che neppure sedersi o camminare rientri nella sfera della volontà, non si rende conto di quale sia il rapporto tra causa ed effetto. Se è vero infatti che le persone intelligenti o ritardate nascono tali per cause precedenti, come pure i forti e i deboli, non ne consegue, tuttavia, che anche il loro star seduti o camminare o svolgere una qualche attività sia definito e fissato per cause principali. Abbiamo appreso che Stilpone, il filosofo megarico, era persona davvero fine d'intelletto e godeva di ottima fama ai suoi tempi. I suoi amici scrivono che aveva un debole per il vino e le donne; non lo riportano a motivo di biasimo, ma semmai a suo elogio: i difetti naturali erano stati da lui domati e tenuti a freno grazie al sapere filosofico, tanto che nessuno lo vide mai ubriaco, nessuno scorse in lui traccia di insana passione. Ebbene? Non abbiamo letto in quale modo Socrate sia stato bollato da Zopiro, l'esperto di fisiognomica, che asseriva di saper riconoscere il carattere e l'indole di un uomo sulla base del corpo, degli occhi, del viso, della fronte? Affermò che Socrate era sciocco e tardo di mente, perché non aveva l'infossatura concava alla base del collo: diceva che quella parte del corpo era ostruita e chiusa; aggiunse anche che perdeva la testa per le donne, al che, si racconta, Alcibiade scoppiò in una sonora risata. Tali difetti possono nascere da cause naturali, ma estirparli ed eliminarli alla radice - per cui chi prima inclinava a tanti difetti, poi se ne allontana - dipende non da cause naturali, ma dalla forza di volontà, dall'impegno, dal metodo.

Sono tutte considerazioni che vengono meno, se, sulla base del principio della divinazione, sarà ribadita l'essenza e la natura del fato.Dunque, se esiste una divinazione, da quali verità di esperienza mai deriva? Definisco verità di esperienza quel complesso di norme che in greco ha nome teoremi. Senza di esse non credo infatti che le persone dotate di competenza tecnica possano svolgere la propria attività specifica, né che sia in grado di predire il futuro chi si occupa di arte divinatoria. Poniamo che le verità di esperienza degli astrologhi siano del seguente tenore: Se una persona è nata, per esempio, al sorgere della Canicola, non morirà in mare. Sta' in guardia, Crisippo, se non vuoi arrenderti nella contesa che ti vede opposto, in serrato confronto, a Diodoro, sottile dialettico. Se risulta vera la deduzione che così si pone: Se una persona è nata al sorgere della Canicola, non morirà in mare, è vero anche: Se Fabio è nato al sorgere della Canicola, non morirà in mare. Dire che Fabio è nato al sorgere della Canicola e che Fabio morirà in mare, risulta in contraddizione; e siccome, per quanto riguarda Fabio, è dato come certo che sia nato al sorgere della Canicola, anche la seguente affermazione è contraddittoria: Fabio esiste e morirà in mare. Ne consegue che anche tale relazione è composta da membri in reciproco contrasto: Fabio esiste e Fabio morirà in mare. Il che, secondo quanto si è posto come premessa, non può neppure accadere. L'affermazione Fabio morirà in mare rientra, quindi, nel novero degli eventi impossibili. Tutto ciò che è infatti definito falso nel futuro, è impossibile.Ma si tratta di una conclusione, o Crisippo, che non accetti assolutamente, e proprio su questo punto verte la tua contesa con Diodoro. Egli sostiene infatti che sia possibile solo ciò che è vero o sarà vero; inoltre afferma che tutto quanto si avvererà è anche necessario, mentre quanto non si avvererà non è, sostiene, neppure possibile. Tu invece dici che anche ciò che non accadrà rientra nel possibile, come il caso che questa gemma venga spezzata, anche se ciò non avverrà mai; mentre non consideri necessario che Cipselo regnasse a Corinto, benché mille anni prima l'oracolo di Apollo avesse predetto il suo regno. Eppure, se darai il tuo assenso a predizioni divine di tal sorta, da un lato finirai per annoverare le false affermazioni riguardanti il futuro tra gli eventi impossibili [come se si dicesse che l'Africano non conquisterà Cartagine]; dall'altro, qualora si dicesse qualcosa di vero riguardante il futuro e che in effetti così si realizzerà, lo dovresti definire necessario: è una tesi di Diodoro che vi è radicalmente avversa. Dunque, se si deduce correttamente: Se sei nato al sorgere della Canicola, non morirai in mare, il primo termine della relazione - sei nato al sorgere della Canicola - è necessario (tutto quanto risulta vero nel passato è infatti anche necessario, come ammette Crisippo in dissenso con il maestro Cleante, poiché il passato è immutabile né può convertirsi da vero in falso); se, insomma, il primo termine è necessario, anche la conseguenza risulta necessaria.

Crisippo, tuttavia, non sembra ritenere valida tale argomentazione in tutti i casi. Comunque, se c'è una causa naturale per cui Fabio non debba morire in mare, non è possibile che Fabio muoia in mare. Su questo punto Crisippo ondeggia nell'incertezza e spera che i Caldei e gli altri indovini si lascino ingannare e che in futuro non ricorrano a deduzioni, formulando le loro verità di esperienza nel modo seguente: Se qualcuno è nato al sorgere della Canicola, non morirà in mare; ma spera, piuttosto, che si esprimano così: Non c'è uomo che sia nato al sorgere della Canicola e che debba morire in mare. Ma che simpatico arbitrio! Per non cadere nella tesi di Diodoro, Crisippo insegna ai Caldei in che modo debbano esporre le loro verità di esperienza. Mi chiedo allora: se i Caldei si esprimono in maniera da negare proposizioni d'ordine assoluto piuttosto che porre deduzioni generali, perché i medici, i geometri, gli altri non dovrebbero seguirne l'esempio? Un medico, innanzi tutto, ciò che avrà riconosciuto nel proprio campo, non lo esporrà nel modo seguente: Se qualcuno ha le vene che pulsano in questa maniera, ha la febbre; ma semmai così: Nessuno, al quale le vene pulsino in questo modo, è immune da febbre. Allo stesso modo un geometra non dirà: In una sfera i diametri si intersecano a metà; si esprimerà, piuttosto, come segue: In una sfera non ci sono diametri che non si intersechino a metà. Che cosa impedirebbe di passare in tal modo da una deduzione alla negazione di proposizioni? Anzi, a dire il vero, possiamo esporre in altri termini gli stessi concetti. Poco fa ho detto: In una sfera i diametri si intersecano a metà; potrei dire: Se in una sfera ci saranno diametri, oppure: Poiché in una sfera ci saranno diametri. Varie sono le forme di enunciazione, ma nessuna è più distorta di quella cui Crisippo spera che si attengano i Caldei per fare un piacere agli stoici.Nessuno di essi, però, si esprime così; sarebbe infatti più impegnativo imparare alla perfezione queste contorsioni verbali che non il sorgere e il tramontare delle costellazioni.

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