Traduzione De Domo sua, Cicerone, Versione di Latino, capitoli 61-65
Traduzione in italiano del testo originale in latino, capitoli 61-65, dell'opera De Domo sua di Cicerone
DE DOMO SUA: TRADUZIONE DEI CAPITOLI 61-65
[61] Nè in verità, daltra parte quelle squadriglie di Catilina hanno mai pensato che avrebbero placato la loro fame con le pietre e le tegole della mia casa; ma è come quando noi siamo soliti distruggere le città dei nemici, e non di tutti i nemici, ma solo di quelli con cui abbiamo intrapreso una guerra micidiale, non spinti dal desiderio della preda, ma dallodio, poichè le nostre menti furono infiammate contro di loro, a causa della loro crudeltà, e ci sembra che ci sia sempre da combattere contro di loro, anche contro i loro tetti e le loro case* * *. [62] Non era stata proposta nessuna legge per quanto mi riguarda; non avevo ordine di comparazione, non essendo citato, ero lontano; anche per tuo giudizio, ero ancora un libero cittadino, quando la mia casa sul Palatino, la mia villa del Tuscolano erano trasferite, una ad un console, laltra allaltro evidentemente quelli li chiamavano consoli le mie colonne di marmo, davanti al popolo romano, erano portate dalla mia casa alla suocera del console, e nella tenuta di campagna del console vicino non solo le suppellettili e gli ornamenti, ma perfino gli aleberi venivano trasferiti, distruggendo la stessa villa dalle fondamenta non per desiderio di preda infatti quale preda poteva essere? ma per odio e crudeltà. La mia casa ardeva sul Palatino, non per un caso fortuito, ma per lincendio che vi era stato appiccato; i consoli banchettavano e si congratulavano con i congiurati, mentre uno diceva di essere stato il prediletto di Catilina e laltro di essere il cugino di Cetego. [63] Io, o pontefici, facendo baluardo con la mia persona, ho cacciato via questa forza, questa scelleratezza, questa follia, dalle spalle degli uomini onesti, ho sopportato con la mia persona ogni impeto di discordie, ogni violenza di quei disonesti, da tempo congiunta, che, rafforzata dallodio tenuto a freno e nascosto, ormai esplodeva, avendo investito capi tanto audaci. Solo contro di me le torce consolari furono lanciate dalle mani dei tribuni, solo contro di me tutti gli infami dardi dei congiurati si confissero. Se, come piacque a molti uomini valorosissimi, avessi io voluto combattere con le armi e la forza contro la violenza, o avrei vinto con una grandissima strage di quei malvagi, ma tuttavia cittadini, o, con la morte di tutti gli onesti, cosa a quelli molto gradita, sarei caduto insieme alla repubblica. [64] Io mi accorgevo che, essendo ancora in vita il senato e il popolo romano, sarei ritornato con grandissima dignità, e comprendevo che non poteva accadere che per lungo tempo non mi fosse consentito essere in quella repubblica che io proprio avevo salvato. Se ciò non mi fosse stato consentito, avevo udito e letto che gli uomini più illustri della nostra città si erano lanciati in mezzo ai nemici verso una morte sicura per la salvezza dellesercito: ed io avrei esitato, in favore di tutta la repubblica, essendo in condizioni migliori dei Decii, poichè essi non udirono neppure la loro gloria, mentre io sarei potuto essere spettatore della mia gloria? Pertanto quella tua fiaccata follia faceva un inutile assalto contro di noi; infatti la durezza della mia difficile condizione aveva incassato ogni violenza di quegli uomini scellerati; non cera posto per una nuova crudeltà nel mezzo di così grande offesa e di tante rovine.
[65] Catone mi era stato molto amico. Che cosa avresti fatto? non cera altro che, essendo lui stato il mio accompagnatore dabitudine, lo fosse stato anche nella pena. Che cosa avresti potuto escogitare? mandarlo ad esigere denaro a Cipro? Il bottino si sarebbe perso. Altro non ne mancherà; subito bisogna che si allontani di qui. Così, Marco Catone, essendo odiato, quasi come per onorificenza viene mandato a Cipro. Furono scacciati due cittadini, che i disonesti non potevano sopportare, uno per un vergognosissimo onore, laltro per onestissima sventura.