Traduzione De bello gallico, Cesare, Versione di Latino, Libro 04; 01-24

Traduzione in italiano del testo originale in latino del Libro 04; paragrafi 01-24 dell'opera De bello gallico di Giulio Cesare

Traduzione De bello gallico, Cesare, Versione di Latino, Libro 04; 01-24
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DE BELLO GALLICO: TRADUZIONE DEL LIBRO 04; PARAGRAFI 01-24

In quell'inverno che seguì, e quello fu lanno del consolato di Pompeo e Crasso, i Germani Usipeti, similmente i Tenteri con una grande massa di uomini passarono il fiume Reno non lontano dal mare, dove sfocia il Reno.La causa del transitare fu che tormentati per parecchi anni dai Suebi erano incalzati dalla guerra ed erano impediti nellagricoltura.Il popolo dei Suebi è di gran lunga il più numeroso e più bellicoso di tutti i Germani.Si dice che questi hanno cento cantoni, da cui ogni anno dai loro territori traggono mille armati per ciascuno con lo scopo di combattere. Gli altri che son rimasti a casa, mantengono se stessi e gli altri. Questi a loro volta dopo un anno sono sotto le armi, quelli rimangono a casa. Così non viene in terrotta né il sistema dellagricoltura né la pratica della guerra. Ma di terreno privato e separato presso di loro non cè nulla, e non è permesso rimanere più a lungo di un anno nello stesso luogo a coltivare. Ma non vivono di frumento, ma per la massima parte di latte e bestiame e stanno molto a caccia. Questa abitudine per il genere di cibo e per lesercitazione quotidiana e la libertà di vita, perché non assuefatti da bambini a nessun dovere o disciplina non fanno nulla contro la volontà, alimenta le forze e provoca uomini di enorme statura del corpo. E si sono abituati in questa consuetudine che in località freddissime non hanno nulla di vestiario eccetto pelli, ma a causa della scarsità di esse gran parte del corpo è scoperta, e si lavano nei fiumi. I mercanti hanno accesso più per avere a chi vendere quello che han catturato con la guerra che per desiderare che si importi qualche cosa. Anzi di giumenti importati, di cui i Galli particolarmente e che procuraro, sborsata la somma, i Germani non li usano, ma quelli che siano nati presso di loro, piccoli e brutti, questi fanno sì che con lesercizio quotidiano siano di resistentissima fatica. Nelle battaglie a cavallo spesso saltan giù da cavallo e combattono a piedi ed abituano i cavalli a rimanere nella stessa posizione, ad essi poi si ritirano velocemente quando ci sia bisogno. E secondo i loro costumi nulla è ritenuto più bruttoe più imbelle che usare le selle.Così osano affrontare qualsiasi numero di cavalieri sellati, anche se in pochi.Non tollerano assolutamente che si importi a loro il vino, perché pensano che con tale mezzo gli uomini si rammolliscani e diventino effeminati per sopportare la fatica. Per lo stato ritengono sia grande prestigio che i campi siano liberi per gran tratto rispetto ai loro confini. Con questa cosa si dimostra che un gran numero di nazioni non hanno potuto sostenere la loro potenza. Così si dice che dalla parte dei Suebi i campi sono liberi per circa seicento mila passi.Presso laltra parte si trovano gli Ubi, la cui nazione fu ricca e fiorente, come è la capacità dei Germani.Gli altri sono anche un po più civili di quelli deella stessa razza, per il fatto che raggiungono il Reno e presso di loro vanno spesso i mercanti e perché essi per la vicinanza sono abituati ai costumi dei Galli.

Costoro, poiché i Suebi avendo tentato spesso con molte guerre ad espellerli dai territori a causa della grandezza ed importanza, tuttavia se li fecero tributari e li resero molto più sottomessi e più deboli. Nella stessa situazione furono Usipeti e Tenteri, che prima nominammo, che per parecchi anni sostennero la potenza dei Suebi, alla fine tuttavia espulsi dai terreni e dopo aver vagato per un triennio in molti luoghi della Germania giunsero al Reno, regioni che i Menapi abitavano. Questi avevano campi, edifici e villaggi su luna e laltra riva.Ma terrorizzati dallarrivo di così grande massa emigrarono da quegli abitati che avevano avuto oltre il Reno e disposte guarnigioni al di qua del Reno impedivano ai germani di passare. Essi dopo aver tentato ogni cosa e non potendo passare di nascosto per la mancanza di navi e per i controlli dei Menapi, finsero di ritornare nelle loro sedi e regioni e avanzatisi per tre giorni di strada di nuovo ritornarono e, fatta tutta questa marcia in una sola notte con la cavalleria, schiacciarono i Menapi sorpresi e che non se laspettavano, e questi informati dagli esploratori della partenza dei Germani, senza paura ritornarono al di là del reno nei loro cantoni. Uccisi costoro ed occupate le loro navi, prima che quella parte dei Menapi, che era al di qua del Reno, fosse informata, passarono il fiume ed occupate tutte le loro abitazioni, si nutrirono per la restante parte dellinverno con le loro provviste. Cesare informato di queste cose e temendo la leggerezza dei Galli, perché sono volubili nel prendere decisioni e per lo più aspirano a fatti nuovi, pensò di non fidarsi per nulla. Questo poi è tipico della abitudine gallica, che costringono i viaggiatori, anche se contrari, a fermarsi e indagano su ciò che ciascuno di loro abbia sentito o saputo su qualunque cosa ed il popolo circonda in città i mercanti e li costringe a rivelare da quali regioni vengano e quali cose lì abbiano saputo. Colpiti da questi fatti e racconti spesso intraprendono decisioni di estrema importanza, di cui è necessario che presto di pentano, essendo schiavi di chiacchiere incerte e parecchi stranieri rispondano favole alla loro voglia. Saputa tele abitudine, Cesare, per non affrontare una guerra troppo rischiosa, parte più affrettatamente di quanto era solito verso lesercito.Essendo arrivato là, seppe accadute quelle cose che aveva sospettato sarebbero avvenute:che eran state mandate ambascerie da parte di alcune nazioni ai Germani e che essi eran stati invitati a partire dal Reno: che da parte loro avrebbero preparato tutte le cose che avessero chiesto. Spinti da tale speranza i Germani ormai vagavano abbastanza ampiamente ed erano giunti nei territori degli Eburoni e dei condrusi, che sono clienti dei Treviri. Chiamati i capi della Gallia, Cesare pensò di dissimulare le cose che aveva saputo e lusingati i loro animi e rassicuratili, ordinata la cavalleria decise di far guerra contro i Germani. Preparato il vettovagliamento, scelti i cavalieri, cominciò a marciare in quei luoghi, in cui sentiva esserci i Germani.

Essendo distante da loro una marcia di pochi giorni, vennero ambasciatori da parte di questi. Il loro discorso fu questo:i Germani non dichiaravano per primi guerra al popolo romano e tuttavia non rifiutavano, se fossero provocati, di scontrarsi con le armi, perché questa era tradizione dei Germani, tramandata dagli antenati, chiunque dichiari guerra, opporsi e non pregare.Tuttavia affermavano questo: eran venuti contro voglia, cacciati dalla patria; se i Romani volevano il loro favore, potevano essere per loro amici utili; o concedessero loro terreni o tollerassero quelli che possedevano con le armi; loro cedevano agli unici Suebi, a cui nemmeno gli dei immortali potrebbero essere pari; del resto sulla terra non cera nessuno che non potessero vincere. A queste espressioni Cesare rispose, quello che gli parve opportuno; ma la fine del discorso fu: per lui non ci poteva essere nessuna amicizia con loro, se rimanevano in Gallia; non era giusto che quelli che non avevano potuto difendere i loro territori, occupassero gli altrui, che in Gallia nessun terreno era libero, da poter dare soprattutto ad una moltitudine così grande senza danno; ma era possibile, se volessero, fermarsi nei territori degli Ubi, cerano presso di lui ambasciatori e si lamentavano degli oltraggi dei Suebi e gli chiedevano aiuto; egli avrebbe ottenuto questo da parte degli Ubi. Gli ambasciatori dissero che avrebbero riferito ai loro e deliberato il caso, dopo il terzo giorno sarebbero ritornati. Intanto chiesero che egli non muovesse più vicino gli accampamenti. Neppure quello Cesare disse che gli si poteva chiedere. Aveva saputo infatti che era stata mandata da parte loro gran parte della cavalleria alcuni giorni prima per far bottino e vettovagliamento presso gli Ambavariti oltre la Mosa; riteneva si aspettassero questi cavalieri e che si facesse una tregua per tale motivo. La Mosa nasce dalla catena dei Vosgi, che è nel territorio dei Linoni, e ricevuta in una certa parte dal Reno, che si chiama Vacalo, forma lisola dei Batavi e sfocia nel Reno non più lontano dallOceano di 80 mila passi.Il Reno nasce dai Lepontini, che abitano le Alpi e per lungo tratto passa rapido attraverso i territori di Nantuati, Elvezi, Sequani, Mediomatrici, triboli, Treviri e quando si è avvicinato all Oceano si divide in parecchie parti, dopo aver fatte molte e grosse isole, la cui maggior parte è abitata da popolazioni feroci e barbare, tra cui ci sono quelli che si dice vivono di pesi e di uova di uccelli, e con molte foci sbocca nellOceano. Stando Cesare lontano dal nemico non più di 12 mila passi, come era stato stabilito, gli ambasciatori tornano da lui. Ed entri incontratisi in marcia pregavano molto che non procedesse più avanti.Non avendolo ottenuto, chiedevano che desse ordini a quei cavalieri che avevano preceduto la schiera e li distogliesse dallo scontro e di dar ad essi la possibilità di mandare ambasciatori dagli Ubi. Se i loro capi ed il senato avessero dato al parola con giuramento, dichiaravano che essi si sarebbero serviti di quella condizione che era data da Cesare: concedesse loro per portare a termine quelle cose un tempo di tre giorni.Cesare riteneva che tutte queste scuse mirassero allo stesso punto, che interposta una tregua di tre giorni, i loro cavalieri, che erano lontani, ritornassero, tuttavia disse che in quel giorno non sarebbe avanzato più di quattro mila passi a causa del bisogno di acqua; il giorno dopo tornassero là nel maggior numero possibile per giudicare delle loro richieste.

Intanto ordina ai prefetti, che erano andati avanti con tutta la cavalleria di comandare di non provocare i nemici a battaglia, e se loro fossero provocati, resistessero fino a che lui fosse arrivato più vicino con lesercito. Ma i nemici appena videro i nostri cavalieri, il cui numero era di cinque mila, mentre essi non avevano più di ottocento cavalieri, poiché quelli che erano andati oltre la Mosa per far provviste, non erano ancora tornati, mentre i nostri non temevano nulla, poiché i loro ambasciatori poco prima erano partiti da Cesare e quel giorno era stato da essi richiesto per la tregua, lanciato un attacco velocemente scompigliarono i nostri.Ma, resistendo i nostri, secondo la loro abitudine saltaron giù a piedi e colpiti da sotto i cavalli, e scavalcati parecchi nostri, misero in fuga gli altri e li resero così terrorizzati che no cessarono dalla fuga prima di esser giunti in vista della nostra schiera. In quello scontro vengono ammazzati settanta quattro dei nostri cavalieri, tra questi un uomo fortissimo Pisone Aquilano nato da nobile famiglia, il cui avo aveva tenuto il potere nella sua nazione, dichiarato amico dal nostro senato.Costui mentre portava aiuto al fratello chiuso tra i nemici, lo strappò dal pericolo, lui sbalzato dal cavallo ferito, fin che potè resistette molto audacemente; attorniato, essendo caduto dopo aver ricevuto molte ferite ed essendosi accorto di questo da lontano il fratello, che ormai era uscito dalla mischia, spronato il cavallo si buttò tra i nemici e allo stesso modo fu ucciso. Fatta questa battaglia, Cesare pensava che ormai non doveva ascoltare gli ambasciatori né accogliere condizioni da parte loro, che avevano mosso la guerra con linganno e le insidie, dopo aver chiesto la pace; aspettare poi fin che le truppe dei nemici fossero aumentate e ritornasse la cavalleria, lo considerava di grande stoltezza e saputa la leggerezza dei Galli si accorgeva quanto di prestigio ormai presso di loro avessero ottenuto.Riteneva che non bisognava dare ad essi nessuno spazio di tempo per prendere decisioni.Stabilite queste cose e comunicato il piano con i legati ed il questore, di non rimandare nessun giorno per la battaglia, molto opportunamente accadde il fatto che il giorno seguente a quello di mattina, servendosi della stessa slealtà e falsità, usati tutti i capi ed anziani, numerosi vennero da lui, allo stesso tempo, come si diceva, per scusarsi, perché essi contrariamente a quello che era stato detto ed essi stessi avevano chiesto, avevano attaccato battaglia il giorno prima, e nello stesso tempo, perché, se potevano qualcosa, ingannando ottenessero per la tregua. Rallegratosi che gli si fodero presentati, Cesare, comandò di arrestarli, egli fece uscire tutte le truppe dagli accampamenti e la cavalleria, comandò che la schiera lo seguisse. Schierata una duplice fila e fatta velocemente la marcia di otto miglia giunsero agli accampamenti dei nemici, prima che i Germani potessero capire cosa fare. Essi improvvisamente atterriti da tutte le situazioni, e dalla velocità del nostro arrivo e dalla partenza dei loro, poiché non era stato concesso lo spazio né di prendere una decisione né di prendere le armi, erano turbati se fosse meglio guidare le truppe contro il nemico oppure difendere gli accampamenti o cercare scampo con la fuga.

Essendo la loro paura espressa con lo scompiglio e la confusione, i nostri soldati spinti dalla slealtà del giorno precedente irruppero negli accampamenti.M su quel posto quelli che velocemente poterono prendere le armi, resistettero un poco ai nostri ed attaccarono lo scontro tra carri e carriaggi. Ma la restante massa di bambini e donne infatti erano usciti dalla patria con tutti i loro ed avevano passato il Reno cominciò a fuggire qua e là.Ad inseguirli, Cesare inviò la cavalleria. I Germani sentito alle spalle il grido, vedendo che i loro erano massacrati, gettate le armi ed abbandonate le insegne militari si cacciarono fuori dallaccampamento, ed essendo giunti alla confluenza della Mosa e del Reno, essendo la restante fuga disperata, massacrato un gran numero, gli altri si gettarono nel fiume e qui oppressi da paura, stanchezza, violenza del fiume perirono. I nostri incolumi fino allultimo, tutti, feriti in pochissimi dal terrore duna guerra così grande, mentre il numero dei nemici era stato di quattrocento trenta mila persone, si ritirarono negli accampamenti. Cesare diede la possibilità a quelli, che aveva arrestato negli accampamenti di andarsene. Essi temendo le pene e le punizioni dei Galli, i cui Campi avevano devastato, dissero di voler restare presso di lui. Ad essi Cesare concesse la libertà. Terminata la guerra germanica, per molti motivi Cesare stabilì di dover passare il Reno.Di esse questa fu la più importante, che vedendo che i Germani così facilmente erano spinti a venire in Gallia, volle che essi temessero anche per i loro beni, comprendendo che lesercito del popolo romano e poteva e osava passare il Reno.Si aggiunse anche che quella parte della cavalleria di Usipeti e Tenteri, che prima ricordai aver passato il Reno per far preda e vettovagliamento, non aveva partecipato allo scontro, dopo la fuga dei loro si era ritirata oltre il Reno nei territori dei Sugambri e si era unita con essi.Avendo Cesare mandati ambasciatori presso di loro per chiedere che gli consegnassero quelli, che avevano dichiarato guerra a lui ed alla Gallia, risposero: che il Reno delimitava il potere del popolo romano; se pensava che non era giusto che i Germani passassero in Gallia, lui contrario, perché pretendeva ci fosse qualcosa di potere suo e di autorità oltre il Reno? Gli Ubi poi, che unici tra i Transrenani avevano mandato ambasciatori a Cesare, avevan pattuito amicizia, avevan dato ostaggi, molto insistevano di portare loro aiuto, perché erano incalzati pesantemente dai Svevi; pensava che se però era impedito da impegni di stato, portasse almeno lesercito oltre il Reno; questo sarebbe loro stato sufficiente per laiuto e per la speranza del tempo restante. Presso di loro la fama e la stima del popolo romano era così grande, sconfitto Ariovisto e conclusa questa ultima battaglia, fino alle ultime nazioni dei Germani, che per la stima e lamicizia del popolo romano potevano essere sicuri. Promettevano grande quantità di navi per trasportare lesercito.

Cesare per quei motivi, che ricordai, aveva deciso di passare il Reno. Ma passare con navi non lo considerava abbastanza sicuro ne decideva non essere di prestigio né suo né del popolo romano.Così anche se si proponeva una grandissima difficoltà di fare il ponte per la larghezza la rapidità e la profondità del fiume, tuttavia riteneva che egli lo doveva tentare e non trasportare lesercito diversamente. Organizzo questo progetto di ponte:due travi per volta di un piede e mezzo appuntite un poco in basso, misurate secondo la profondità del fiume le univa tra loro ad intervallo di due piedi. Queste le aveva piantate nel fiume con congegni e assicurate con battipali, ma non direttamente in perpendicolare come palafitte, ma obliquamente e con pendenza, perché si piegassero secondo la natura del fiume, ne disponeva ugualmente opposte a queste due divise allo stesso modo con intervallo di quaranta piedi dalla parte inferiore rivolte contro la forza e limpeto del fiume. Queste coppie, messe sopra travi di due piedi, per quanto distava la congiunzione delle due travi, erano tenute dalla parte estrema da ambo le parti da due chiavi di legno.Essendo fermate e legate in pare contraria, la saldezza dellopera era così grande e tale la natura delle cose, che , quanto maggiore si fosse alzata al forza dellacqua, tanto più saldamente erano tenute legate. Queste erano collegate con legname diritto messo sopra ed erano coperti da tavole e graticci. E non di meno palafitte anche alla parte a valle del fiume erano collegate obliquamente, che sottoposte come un ariete e collegate con tutta lopera sostenessero la forza del fiume ed ugualmente altre sopra il ponte a breve distanza, perché se da parte dei nemici fossero stati mandati tronchi di pianta o navi per distruggere lopera, con queste difese la forza di quegli elementi sarebbe diminuita e non danneggerebbero il ponte. Con dieci giorni, da quando il materiale si cominciò a raccogliere, completata tutta lopera, lesercito è fatto passare. Cesare, lasciata una forte guarnigione ad ambedue le parti del ponte, si diresse nei territori dei Sigambri.Intanto giungono la lui ambasciatori da parecchie nazioni. Poiché essi richiedevano pace ed amicizia, risponde generosamente e comanda gli siano portati ostaggi. Ma i Sigambri da quel momento che il ponte cominciò ad esser costruito, preparata la fuga, mentre li incitavano quelli, che avevano tra loro provenienti da Tenteri ed Usipeti, erano usciti dai loro territori, avevan portato via tutte le loro cose e si erano nascosti in isolamento e selve. Cesare, fermatosi per pochi giorni nei loro territori, dopo aver bruciato tutti i villaggi e le abitazioni, tagliati i cereali si ritirò nei territori degli Ubi e promesso ad essi il suo aiuto, se fossero oppressi dai Svevi, seppe da loro queste cose:che gli Svevi, essendosi accorti per mezzo degli esploratori che si faceva il ponte, tenuta lassemblea secondo il loro costume, avevano inviato araldi in tutte le parti, perché partissero dalle città, mettessero nelle selve figli, mogli e tutte le loro cose e riunissero tutti, quelli che potevano portare armi in un sol luogo;questo era stato scelto quasi al centro di tutte quelle regioni che i Svevi occupavano.Qui aspettavano larrivo dei Romani e lì avevan deciso di scontrarsi.

Quando Cesare lo seppe, raggiunti tutti quegli obiettivi, per i quali aveva deciso di far passare lesercito, per incutere paura ai Germani, per vendicare i Sigambri, per liberare gli Ubi dallassedio, trascorsi in tutto 18 giorni al di là del Reno, pensando si fosse fatto abbastanza sia per la gloria che per linteresse del popolo romano, si ritirò in Gallia e tagliò il ponte. Nella piccola parte restante dellestate, Cesare, anche se in questi luoghi, poiché tutta la Gallia si volge a settentrione, tuttavia decide di partire per la Britannia, poiché capiva che in quasi tutte le guerre galliche di lì erano offerti aiuti ai nostri nemici, anche se il periodo dellanno non bastava per fare una guerra, tuttavia riteneva che gli sarebbe stato di grande utilità, almeno se fosse andato sullisola, avesse analizzato il tipo di gente, avesse esplorato luoghi, porti, accessi. Tutte cose che erano quasi sconosciute ai Galli. Nessuno infatti eccetto i mercanti nessuno va da loro facilmente e neppure ad essi stessi è noto qualcosa al di fuori della zona marittima e quelle regioni, che sono di fronte alla Gallia.Così chiamati a sé da ogni parte i mercanti non poteva nemmeno scoprire quanto grande fosse lestensione dellisola né quali o quanto importanti nazioni abitassero né quale tattica bellica avessero o di quali istituzioni si valessero né quali porti fossero idonei per una quantità di navi maggiori. Per conoscere queste cose, prima che ci fosse rischio, pensando che fosse adatto manda avanti Voluseno con nave da guerra, a costui raccomanda che, esplorate tutte le cose, torni al più presto. Egli con tutte le truppe parte per i Morini, perché di lì il tragitto per la Britannia è brevissimo.Qui ordina che si radunino le navi da ogni parte dalle regioni vicine e quella flotta che lestate precedente aveva fatto costruire per la guerra contro i Veneti. Intanto, conosciuto il suo progetto e riferito per mezzo di mercanti ai Britanni da parte di parecchie nazioni di quellisola vengono da lui ambasciatori, per promettere di dare ostaggi ed obbedire al comando del popolo romano.Ascoltatili, promettendo con generosità e dopo aver esortato di restare in quella decisione, li rimanda a casa ed insieme con essi manda Commio, che egli stesso, vinti gli Atrebati, lo aveva creato re, di cui lodava coraggio e saggezza, e che riteneva essergli leale ed il cui prestigio in quelle regioni era considerato molto. A costui ordina di avvicinare le nazioni, che potesse e di esortarle a seguire la lealtà del popolo romano e di annunciare che lui arriverà là velocemente. Voluseno, osservate tutte le regioni, per quanto di possibilità gli potè esser data, ma che non osava sbarcare dalla nave ed affidarsi ai barbari, al quinto giorno ritorna da Cesare e riferisce quelle cose che lì aveva osservato. Mentre Cesare si ferma in quei luoghi per allestire le navi, dalla gran parte dei Morini giunsero a lui ambasciatori che si scusavano della decisione precedente, perché uomini barbari ed inesperti della nostra tradizione avevan fatto guerra al popolo romano e promettevano di fare le cose che lui avesse comandato.Cesare ritenendo che questo era accaduto opportunamente, poiché non voleva né lasciare il nemico alle spalle e non aveva la possibilità per il periodo dellanno di fare la guerra né giudicava che bisognasse anteporre limpegno di cose da poco alla Britannia, ordina loro un gran numero di ostaggi.

Essendo stati condotti questi, li accoglie in protezione. Riunite circa 80 navi da carico, e raccolte quante pensava esser sufficienti per trasportare due legioni, quello che aveva in più tra le navi da guerra, questi lo consegnò ad un questore, a legati e prefetti.A questo saggiungevano 18 navi da carico, che erano bloccate dal vento a otto mila passi da quel luogo, di poter giungere nello stesso porto; queste le diede ai cavalieri.Lesercito rimanente lo diede ai legati Titurio Sabino e Aurunculeio Cotta, da guidare verso i Menapi ed in quei cantoni dei Morini, da parte dei quali non gli eran giunti ambasciatori;ordinò che il legato Sulpicio Rufo occupasse il porto con quella guarnigione che riteneva fosse sufficiente. Decise queste cose colto il momento opportuno per navigare, quasi alla terza veglia sciolse le navi e comandò che i cavalieri avanzassero al porto più avanti, salissero sulle navi e lo seguissero.Mentre da parte di questi si agiva piuttosto lentamente, egli circa alla quarta ora del giorno con le prime navi toccò la Britannia e qui vide su tutte le colline le truppe dei nemici in posizione armate.La natura di quel luogo era questa ed il mare era delimitato così da strette montagne, che dalle postazioni superiori si poteva lanciare un giavellotto sul lido. Ritenendo che questo non fosse assolutamente un luogo adatto a sbarcare, aspettò nelle ancore fino allora nona fin che le altre navi giungessero là. Intanto chiamati i legati ed i tribuni dei soldati, rivelò quelle cose che eran state conosciute da Voluseno e le cose che voleva fare e raccomandò che, come la tattica del mondo militare e soprattutto le situazioni marittime richiedevano, come quelle che avevano movimento veloce e instabile, si facessero tutte le cose da parte loro al cenno e a tempo. Congedatili e colto nello stesso tempo vento e marea favorevole, dato il segnale e tolte le ancore, avanzatosi da quel luogo circa sette mila passi, fermò le navi su di un lido aperto e piano Ma i barbari, capito il piano dei Romani, mandata avanti la cavalleria e gli essedari, infatti sono soliti servirsi per lo più di tal genere nei combattimenti, venendo dietro con le altre truppe impedivano ai nostri di scendere dalle navi. Cera grandissima difficoltà per questi motivi, il fatto che le navi per la stazza non potevano fermarsi se non al largo, poi su luoghi sconosciuti ai soldati, con le mani impedite, oppressi dal grande e grave peso delle armi e nello stesso tempo bisognava e saltar giù dalle navi e fermarsi tra le onde e combattere con i nemici, mentre quelli o dallasciutto o avanzati un poco in acqua, con tutte le membra libere, su luoghi notissimi lanciavano audacemente giavellotti e spronavano cavalli addestrati. I nostri atterriti da queste cose ed inesperti del tutto di questo genere di battaglia usavano non la stessa sveltezza e animo, con cui eran soliti nelle battaglie di fanteria.

Un consiglio in più