Traduzione De Bello Gallico, Aulo Irzio, Versione di Latino, Libro 08; 43-44

Traduzione in italiano del testo originale in latino del Libro 08; paragrafi 43-44 dell'opera De Bello Gallico di Aulo Irzio

Traduzione De Bello Gallico, Aulo Irzio, Versione di Latino, Libro 08; 43-44
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DE BELLO GALLICO: TRADUZIONE DEL LIBRO 08; PARAGRAFI 43-44

43. Cesare, vedendo che parecchi dei suoi venivano colpiti, ordina alle coorti di scalare il monte da tutti i lati della città e di levare dappertutto violenti clamori, simulando di dover occupare le mura. Gli abitanti, terrorizzati dalla nostra manovra, inquieti su ciò che succedeva altrove, richiamano i soldati che attaccavano le nostre costruzioni e li dispongono sulle mura. Così, i nostri, chiusosi lo scontro, presto in parte domano, in parte isolano l'incendio che si era propagato sulle nostre difese. Eppure gli assediati continuavano testardamente la difesa e, pur avendo perso per sete gran parte dei loro, rimanevano fermi nel loro proposito; alla fine i nostri, con le gallerie, riuscirono a tagliare le vene della sorgente e a deviare l'acqua. Il che inaridì all'improvviso una fonte perenne e provocò negli abitanti la caduta di ogni speranza, al punto che pensarono si trattasse non di opera umana, ma della volontà divina. Così, costretti dalla necessità, si arresero. 44. Cesare sapeva che a tutti era nota la sua mitezza e non temeva di apparire un individuo crudele se avesse assunto provvedimenti piuttosto severi; d'altronde, non vedeva sbocco ai suoi disegni, se in diverse zone i Galli avessero continuato a prendere iniziative del genere Ritenne opportuno, allora, dissuadere gli altri con un castigo esemplare. Dunque, mozzò le mani a chiunque avesse impugnato le armi, ma li mantenne in vita, per lasciare più concreta testimonianza di come puniva i traditori. Drappete, catturato da Caninio, come ho detto, o per l'umiliazione e il dolore delle catene o per la paura di un supplizio ancor più atroce non toccò cibo per un po' di giorni e così morì. Nello stesso tempo Lucterio, che era fuggito dopo la battaglia, come ho scritto in precedenza, aveva affidato la propria persona all'arverno Epasnacto (infatti, mutando luogo di frequente, si metteva nelle mani di molti, poiché gli sembrava rischioso dimorare troppo a lungo in qualsiasi posto, ben conscio di quanto doveva essergli nemico Cesare). L'arverno Epasnacto, però, fedelissimo alleato del popolo romano, senz'alcuna esitazione lo mette in catene e lo consegna a Cesare. 

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