Traduzione De bello civili, Cesare, Versione di Latino, Libro 03; 101-112
Traduzione in italiano del testo originale in latino del Libro 03; paragrafi 101-112 dell'opera De bello civili di Giulio Cesare
DE BELLO CIVILI: TRADUZIONE DEL LIBRO 03; PARAGRAFI 101-112
101 Quasi nel medesimo tempo Cassio con una flotta di navi siriache, fenicie e cilicie venne in Sicilia e, dal momento che la flotta di Cesare era divisa in due parti, una sotto il comando del pretore P Sulpicio presso Vibona, l'altra sotto il comando di M Pomponio presso Messina, egli si diresse con le sue navi a volo su Messina prima che Pomponio avesse sentore del suo arrivo; Trovatolo in preda a confusione, senza alcuna sorveglianza e con le navi non schierate, approfittando di un vento forte e favorevole, scagliò sulla flotta di Pomponio navi onerarie riempite di fiaccole, pece, stoppa e altro materiale incendiario e bruciò tutte le navi, in tutto trentacinque, di cui venti coperte. Da tale avvenimento derivò un timore tanto grande che, sebbene vi fosse a Messina una legione di presidio, a stento la città fu difesa e, se nel medesimo tempo non fossero giunte, tramite cavalieri che facevano regolare servizio di informazione, notizie della vittoria di Cesare, i più ritenevano che la città sarebbe stata perduta. Ma la città poté essere difesa grazie all'opportuno arrivo delle notizie e quindi Cassio puntò sulla flotta di Sulpicio a Vibona, Poiché i nostri avevano messo in secco circa quaranta navi per il medesimo timore, i Pompeiani ricorsero alla tattica di prima; Cassio, approfittando del vento favorevole spinse navi da carico allestite per provocare un incendio; e il fuoco appiccato da un'estremità e dall'altra fece incendiare cinque navi. E poiché il fuoco per la violenza del vento si estendeva su di un fronte troppo vasto, i soldati delle vecchie legioni che, essendo malati, erano stati lasciati di presidio alle navi, non sopportarono la vergogna; spontaneamente si imbarcarono, salparono, assalirono la flotta di Cassio e catturarono due quinqueremi su una delle quali era Cassio; Ma Cassio fuggì raccolto da una imbarcazione; Furono inoltre prese due triremi. Non molto tempo dopo si venne a sapere della battaglia avvenuta in Tessaglia così che la cosa risultò certa agli stessi Pompeiani; infatti prima di allora si pensava che fossero tutte invenzioni di ambasciatori e di amici di Cesare. Venuto a conoscenza del fatto, Cassio si allontanò con la flotta da quei luoghi. 102 Cesare, abbandonate tutte le altre cose, giudicò di dovere inseguire Pompeo in qualunque posto si rifugiasse fuggendo, in modo che non potesse radunare di nuovo altre truppe e riaprire le ostilità;; E ogni giorno avanzava di tanto quanto era possibile con la cavalleria e aveva dato ordine a una legione di tenere dietro a tappe più brevi. Ad Anfipoli era stato emanato un editto in nome di Pompeo secondo cui tutti i giovani di quella provincia, Greci e cittadini romani, dovevano riunirsi per prestare giuramento militare. Ma non si poteva capire se Pompeo avesse emanato quell'editto per allontanare i sospetti in modo da nascondere il più a lungo possibile il proposito di fuga in zone più lontane o per tentare, con nuove leve, di conservare la Macedonia, se nessuno lo avesse attaccato.
Egli stesso rimase all'ancora una sola notte e, chiamati presso di sé gli ospiti di Anfipoli e richiesto del denaro per le spese necessarie, venuto a conoscenza dell'arrivo di Cesare, si allontanò da quel luogo e in pochi giorni giunse a Mitilene. Fu trattenuto per due giorni dal maltempo e, aggiunte alle sue altre navi leggere, si recò in Cilicia e da qui a Cipro. Qui venne a sapere che, col consenso di tutti gli abitanti di Antiochia e dei cittadini romani che lì facevano commercio, erano state prese le armi per impedirgli l'accesso alla città e che erano stati inviati ambasciatori a coloro che si diceva si fossero rifugiati nelle regioni vicine perché non venissero ad Antiochia; se lo avessero fatto, avrebbero corso grande pericolo di vita. Questa medesima cosa era accaduta a Rodi a L Lentulo, che l'anno precedente era stato console, all'ex console P Lentulo e ad alcuni altri; Essi, avendo seguito nella fuga Pompeo ed essendo giunti sull'isola, non erano stati accolti né nella città né nel porto e, quando fu loro notificato da legati l'ordine di allontanarsi da quei luoghi, pur contro la loro volontà presero il largo. E ormai la notizia dell'arrivo di Cesare era arrivata fino a quelle città. 103 Pompeo, venuto a conoscenza di questi fatti, abbandonato il piano di raggiungere la Siria, preso del denaro dagli appaltatori e chiestone altro a prestito ad alcuni privati, caricata sulle navi una grande quantità di bronzo per uso militare, armati duemila uomini, in parte scelti fra i servi degli appaltatori, in parte raccolti dai mercanti, quelli che ciascun mercante riteneva idonei a questo scopo, giunse a Pelusio. Qui vi era per caso il re Tolomeo, appena fanciullo, che con truppe imponenti stava combattendo contro la sorella Cleopatra, che pochi mesi prima aveva scacciata dal regno su istigazione di amici e parenti; 'accampamento di Cleopatra non distava molto dal suo. Pompeo mandò legati a Tolomeo per chiedergli, in nome dell'ospitalità e dell'amicizia del padre, di accoglierlo in Alessandria e proteggerlo nella disgrazia con le sue forze. Ma gli ambasciatori che erano stati mandati da Pompeo, portato a termine l'incarico, cominciarono a parlare alquanto liberamente con i soldati del re e a esortarli a prestare il loro aiuto a Pompeo e a non abbandonarlo nella sua sorte. Fra quelli vi erano parecchi ex soldati di Pompeo, dal cui esercito Gabinio li aveva accolti in Siria e poi condotti in Alessandria e, terminata la guerra, lasciati presso Tolomeo, padre del fanciullo. 104 Allora, venuti a conoscenza di queste cose, gli amici del re che per la giovane età del fanciullo avevano la reggenza del regno, sia perché spinti dal timore, come poi andavano dicendo, che Pompeo, sobillato l'esercito regio, occupasse Alessandria e l'Egitto, sia per disprezzo della sorte di Pompeo, infatti in genere nella disgrazia gli amici diventano nemici, risposero ai messi inviati da Pompeo con apparente cortesia, invitandolo a venire dal re; Ma, tenuto un consiglio segreto, inviarono Achilla, prefetto regio, uomo di singolare audacia, e L Settimio, tribuno militare, a ucciderlo.
Pompeo, avvicinato in modo cortese da costoro e incoraggiato da un certo rapporto di confidenza con Settimio, poiché durante la guerra piratica costui aveva guidato un reparto del suo esercito, salì con pochi dei suoi su una piccola nave; qui viene ucciso da Achilla e da Settimio. Parimenti L Lentulo viene fatto catturare dal re e ucciso in carcere. 105 Cesare, giunto in Asia, scopriva che Tito Ampio aveva tentato di portare via il tesoro dal tempio di Diana a Efeso e che per questo motivo aveva chiamato tutti i senatori dalla provincia per averli a testimoni sulla somma di denaro, ma che era fuggito perché disturbato dall'arrivo di Cesare. E così in due momenti diversi Cesare venne in soccorso del tesoro di Efeso . Parimenti, calcolando i giorni a ritroso, si era notato che nel giorno in cui Cesare aveva vinto, nel tempio di Minerva a Elide, una statua della Vittoria, posta proprio davanti a quella di Minerva e rivolta fino a quel momento verso di essa, si era girata verso le porte e la soglia del tempio. Nel medesimo giorno ad Antiochia, in Siria, due volte si udì il clamore dell'esercito e un suono di trombe tanto forte da fare accorrere da ogni parte i cittadini armati sulle mura. La stessa cosa avvenne a Tolemaide. A Pergamo, nei recessi e nelle zone segrete del tempio, dove non è lecito l'accesso tranne che ai sacerdoti, e che i Greci chiamano adyta, risuonarono i timpani. Similmente a Tralli, nel tempio della Vittoria, dove avevano consacrato una statua di Cesare, veniva mostrata una palma spuntata in quei giorni dal pavimento fra le giunture delle pietre. 106 Cesare, trattenutosi pochi giorni in Asia, avendo udito che Pompeo era stato visto a Cipro, congetturando che si dirigesse in Egitto, date le sue relazioni con questo regno e per le comodità che esso offriva, con una legione alla quale aveva dato ordine di seguirlo dalla Tessaglia, e con un'altra che aveva fatto condurre dall'Acaia dal luogotenente Q Fufio, con ottocento cavalieri e con dieci navi da guerra di Rodi e poche altre dell'Asia, giunse ad Alessandria. Queste legioni erano formate da tremiladuecento soldati; gli altri, fiaccati dalle ferite sofferte nelle battaglie e dalla fatica e dalla lunghezza del viaggio, non poterono seguirlo. Ma Cesare, confidando nella fama delle imprese compiute, non aveva esitato a partire sia pure con poche forze, giudicando che ogni luogo sarebbe risultato ugualmente sicuro. Ad Alessandria venne a sapere della morte di Pompeo e qui, appena sceso dalla nave, udì le grida dei soldati che il re aveva lasciato di presidio nella città, e vide che una moltitudine di gente gli veniva incontro ostilmente, poiché i fasci lo precedevano. Tutta la gente andava dicendo che la regia maestà veniva lesa da tale fatto. Sedato questo tumulto, nei giorni seguenti vi furono numerose sedizioni originate da assembramenti di persone e parecchi soldati furono uccisi per le strade, in ogni parte della città. 107 In considerazione di questi fatti, Cesare diede ordine che venissero trasferite dall'Asia altre legioni, che egli aveva formato con soldati pompeiani.
Egli stesso infatti era trattenuto forzatamente dai venti etesii, che soffiano contrari per chi salpa da Alessandria. Frattanto, giudicando che era di pertinenza del popolo romano e sua, in quanto console, dirimere le controversie fra Tolomeo e sua sorella e che tanto più la cosa lo riguardava poiché nel precedente consolato aveva fatto, per legge e per decreto del senato, un'alleanza con Tolomeo padre, fece sapere che era di suo gradimento che il re Tolomeo e sua sorella Cleopatra sciogliessero gli eserciti che avevano e ponessero fine alle dispute davanti a lui, secondo le vie legali, piuttosto che tra loro con le armi. 108 A causa della giovane età del fanciullo un eunuco di nome Potino, suo pedagogo, era reggente del regno. Egli, in un primo momento, cominciò a lamentarsi fra i suoi e a provare indignazione che un re fosse chiamato a difendersi; successivamente, trovati fra gli amici del re alcuni pronti ad aiutarlo nei suoi piani, fece venire di nascosto da Pelusio ad Alessandria l'esercito e mise a capo di tutte le milizie lo stesso Achilla di cui abbiamo fatto cenno. Lo istigò e inorgoglì con promesse sue e del re e gli fece sapere il suo piano per mezzo di lettere e ambasciatori. Nel testamento di Tolomeo padre erano stati indicati come eredi il maggiore dei due figli e la più anziana delle due figlie. Nel medesimo testamento, in nome degli dei e dei patti stipulati con Roma, Tolomeo chiamava a testimone il popolo romano perché venissero rispettate queste disposizioni. Una copia del testamento era stata portata a Roma per mezzo di suoi ambasciatori perché venisse depositata nell'erario (questa copia non poté essere depositata nell'erario a causa dei rivolgimenti politici e rimase presso Pompeo), una seconda copia uguale era stata lasciata ad Alessandria e, siglata col sigillo, era stata pubblicata. 109 Mentre davanti a Cesare vengono trattate tali questioni, poiché egli vuole sopra tutto, in qualità di arbitro e amico comune, dirimere le controversie dei sovrani, all'improvviso giunge la notizia che l'esercito regio e tutta la cavalleria si dirigono su Alessandria. Le milizie di Cesare non erano affatto tali per numero che si potesse contare su di esse nel caso si fosse dovuto combattere fuori della città. Non gli rimaneva che restare sulle sue posizioni nella città e tentare di conoscere il piano di Achilla. Tuttavia diede ordine ai soldati di stare in armi ed esortò il re a inviare ad Achilla ambasciatori scelti fra le persone più autorevoli tra i suoi familiari e a manifestargli il proprio volere. Dal re furono inviati Dioscoride e Serapione, che erano stati entrambi ambasciatori a Roma e avevano avuto grande autorità presso Tolomeo padre, Giunsero presso Achilla .egli, quando arrivarono al suo cospetto, prima di ascoltarli e di conoscere per quale motivo fossero stati inviati, ordinò di catturarli e ucciderli; Uno di essi fu ferito e, preso dai suoi, fu portato via come se fosse morto, l'altro fu ucciso.
Dopo questi fatti, Cesare fece in modo di avere in suo potere il re, ritenendo che il nome del re avesse grande autorità presso i sudditi, perché sembrasse che la guerra era stata intrapresa non per iniziativa del re, ma per decisione di pochi cittadini privati, per giunta avventurieri. 110 Le truppe che erano con Achilla erano tali da non apparire disprezzabili né per numero né per qualità né per esperienza militare. Aveva infatti in armi ventimila uomini. Queste truppe erano formate con soldati di Gabinio, ormai avvezzi alla vita licenziosa di Alessandria e dimentichi del nome e della disciplina del popolo romano, che colà avevano preso moglie e la maggior parte dei quali aveva avuto figli. A questi si aggiungevano ladroni e assassini raccolti in Siria, nella provincia della Cilicia e nelle regioni vicine. Si erano inoltre radunati e arruolati molti condannati a morte ed esuli; Per tutti i nostri schiavi fuggitivi Alessandria rappresentava un sicuro rifugio e una sicura condizione di vita purché si arruolassero nell'esercito; Se qualcuno di essi veniva ripreso dal suo padrone, i soldati, per accordo unanime, glielo portavano via, poiché essi stessi, dal momento che erano nella stessa situazione di colpa, difendevano i loro compagni dalla violenza come se fosse un pericolo loro. Costoro, secondo una vecchia consuetudine dell'esercito alessandrino, erano soliti chiedere la morte degli amici del re, saccheggiare i beni dei ricchi, assediare la casa del re per avere un aumento di stipendio, scacciare alcuni dal regno, chiamarvi altri. Vi erano inoltre duemila cavalieri. Tutti costoro erano diventati veterani attraverso le numerose guerre di Alessandria, avevano rimesso sul trono Tolomeo padre, avevano ucciso i due figli di Bibulo, avevano condotto guerre contro gli Egiziani. Da ciò derivava la loro esperienza militare. 111 Confidando su tali milizie e disprezzando l'esiguo numero dei soldati di Cesare, Achilla occupava Alessandria, tranne quella parte della città che era in mano a Cesare a ai suoi soldati; con un primo assalto tentò di fare irruzione nella casa di Cesare, ma questi sostenne il suo attacco grazie a delle coorti disposte lungo le vie. E nel medesimo tempo si combatté presso il porto e questo fu il combattimento di gran lunga più pesante. Contemporaneamente, divisesi le forze in drappelli, si combatteva anche in parecchie vie e i nemici con un gran numero di soldati tentavano di impadronirsi delle navi da guerra; Fra queste ve ne erano cinquanta mandate in aiuto a Pompeo, che, terminata la guerra in Tessaglia, erano tornate a casa, tutte quadriremi e quinqueremi allestite e completamente equipaggiate per la navigazione; oltre a queste ve ne erano ventidue, tutte coperte, che erano solite stare di presidio ad Alessandria; Se i nemici se ne fossero impadroniti, una volta sottratta a Cesare la flotta, sarebbero stati padroni del porto e di tutto il mare e avrebbero impedito a Cesare i vettovagliamenti e l'arrivo di aiuti. E così si combatté con tanto accanimento quanto era dovuto, vedendo nella lotta gli uni una veloce vittoria, gli altri la chiave della loro salvezza.
Ma Cesare ebbe la meglio e incendiò tutte quelle navi e le rimanenti che erano nei bacini, poiché con poche truppe non era possibile la difesa di uno spazio così ampio, e subito sbarcò i soldati presso Faro. 112 Il Faro è sull'isola una torre di grande altezza, di mirabile costruzione; essa trae il proprio nome dall'isola. Quest'isola, posta di fronte ad Alessandria, ne crea il porto; ma i primi re gettarono in mare un molo lungo novecento passi che, con un angusto passaggio, la unisce quasi come un ponte, alla città. In quest'isola vi sono abitazioni di Egiziani e un quartiere grande come una città; e qualunque nave, ovunque, per inesperienza o per burrasca si allontana un poco dalla rotta, viene di solito depredata piratescamente. Inoltre nessuna nave può entrare in porto, a causa della stretta imboccatura, contro la volontà degli occupanti di Faro. E Cesare, temendo ciò, mentre i nemici erano impegnati nella battaglia, fatti sbarcare i soldati, si impossessò di Faro e vi pose un presidio. E per conseguenza di ciò si garantì in sicurezza l'afflusso per mare di frumento e rinforzi. Mandò infatti richieste di aiuto attorno, per tutte le province vicine. Nelle altre parti della città si combatté in modo che ci si ritirò alla pari e nessuno dei due contendenti fu ricacciato (causa di ciò fu l'angustia del luogo); pochi uomini furono uccisi da entrambe le parti; Cesare si impadronì dei punti strategici e di notte li fortificò. In quella zona della città vi era una piccola parte della reggia, che egli aveva subito occupato per abitarvi, e il teatro, collegato alla reggia, che fungeva da rocca e aveva un accesso al porto e ai cantieri navali del re. Nei giorni successivi potenziò queste fortificazioni, perché, avendole di fronte, gli servissero da mura e non fosse costretto a combattere contro la sua volontà. Frattanto la figlia minore del re Tolomeo, nella speranza del possesso del regno vacante, lasciò la reggia rifugiandosi da Achilla e incominciò a dirigere la guerra insieme a lui. Ma in breve tempo sorse tra loro una contesa sul potere supremo e ciò fece sì che le elargizioni ai soldati fossero aumentate; ciascuno cercava infatti di conquistarsi il loro favore con grandi profusioni di denaro. Mentre presso i nemici accadeva ciò, Potino [tutore del fanciullo e reggente del regno, che si trovava nel quartiere occupato da Cesare] mandava ambasciatori ad Achilla esortandolo a non desistere dall'impresa e a non perdersi d'animo; i suoi messaggeri furono denunziati e catturati ed egli fu ucciso. Questi furono gli inizi della guerra alessandrina.