Traduzione Cato maior de senectute, Cicerone, Versione di Latino, Parte 02
Traduzione in italiano del testo originale in Latino, parte 02, dell'opera Cato maior de senectute di Cicerone
CATO MAIOR DE SENECTUTE: TRADUZIONE DELLA PARTE 02
Infatti, dove domina la passione non c'è posto per la temperanza e nel regno del piacere non può certo resistere la virtù. Per rendere il concetto più comprensibile, consigliava di immaginare un uomo eccitato dal piacere sensuale più grande che si possa provare: secondo Archita, nessuno avrebbe dubitato che costui, finché fosse immerso in un godere così intenso, potesse pensare, giudicare,intendere qualcosa. Perciò nulla è così detestabile e pestilenziale come il piacere, se è vero che, quanto più è intenso e prolungato, tanto più spegne ogni lume della ragione. Queste le parole di Archita al sannita Caio Ponzio, padre di colui che sconfisse i consoli Spurio Postumio e Tito Veturio nella battaglia di Caudio, e Nearco di Taranto, mio ospite e incrollabile amico del popolo romano, diceva di averle apprese dai suoi vecchi; avrebbe assistito alla conversazione l'ateniese Platone che, come mi risulta, si era recato a Taranto all'epoca del consolato di Lucio Camillo e Appio Claudio. Cosa si propone questo racconto? Vuole farvi capire che, se non fossimo in grado di respingere il piacere con la ragione e la saggezza, molto dovremmo esser grati alla vecchiaia capace di non farci desiderare quel che non si deve. Il piacere, infatti, ostacola la capacità di giudizio, è nemico della ragione, abbaglia, per così dire, gli occhi della mente e non ha niente a che vedere con la virtù. A malincuore feci espellere dal senato, sette anni dopo il suo consolato, Lucio Flaminino, fratello del valorosissimo Tito Flaminino, ma credetti mio dovere bollarne la dissolutezza. Quando si trovava in Gallia come console, durante un banchetto si lasciò persuadere dalle preghiere di una prostituta a giustiziare personalmente uno dei prigionieri che erano condannati a morte. Finché fu censore suo fratello Tito - che esercitò tale carica subito prima di me - se la cavò; ma né io né Flacco potemmo ammettere in alcun modo una dissolutezza tanto scandalosa e depravata, che associava alla vergogna privata il disonore della carica. Spesso ho sentito dire dai più anziani, i quali lo avrebbero appreso nella loro infanzia dai loro vecchi, che Caio Fabrizio non finiva di meravigliarsi del discorso che, all'epoca della sua ambasceria presso il re Pirro, aveva sentito dal tessalo Cinea: ad Atene viveva un tale che si professava saggio e nonostante ciò sosteneva che tutte le nostre azioni devono tendere al piacere. Alle parole di Fabrizio, Manlio Curio e Tiberio Coruncanio si auguravano che i Sanniti e lo stesso Pirro si persuadessero di tale teoria perché sarebbe stato più facile vincerli se si fossero dati ai piaceri. Manlio Curio era stato compagno di Publio Decio, l'uomo che, quando era console per la quarta volta, cinque anni prima del consolato di Curio, si era sacrificato per la patria Lo aveva conosciuto anche Fabrizio, lo aveva conosciuto Coruncanio Entrambi, a giudicare sia dalla loro vita sia dal gesto del Decio di cui parlo, credevano fermamente nell'esistenza di qualcosa di bello e nobile per natura, tale da essere ricercato per il suo valore intrinseco ed essere seguito da tutti i migliori nel disprezzo e nella condanna del piacere.
Perché insisto tanto sul piacere? Perché la vecchiaia, lungi dal meritare rimproveri, è degna invece della massima lode in quanto non sente molto la mancanza di nessun piacere. Ignora i festini, le tavole imbandite e le coppe una dietro l'altra; ignora perciò l'ubriachezza, le indigestioni e i sonni agitati. Ma se bisogna concedere qualcosa al piacere, ché non resistiamo facilmente alle sue tentazioni, - Platone lo definisce in modo divino esca dei mali proprio perché gli uomini vi abboccano come pesci - la vecchiaia, pur ignorando i bagordi, può sempre godere di conviti moderati. Da bambino vedevo spesso tornarsene da cena il vecchio Caio Duilio, figlio di Marco, il primo a sconfiggere i Cartaginesi sul mare: gli procuravano diletto una torcia di cera e un suonatore di flauto, lusso che, ormai privato cittadino, si era preso senza precedenti Tanta libertà gli concedeva la gloria! Ma perché parlare degli altri? Ritorno subito a me. In primo luogo ho sempre avuto compagni di sodalizio; i sodalizi si costituirono durante la mia questura quando fu introdotto il culto ideo della Gran Madre. Banchettavo, dunque, con i miei compagni con moderazione, è vero, ma si faceva sentire un certo ardore giovanile; col passare degli anni, poi, di giorno in giorno tutto si calma. E infatti misuravo il diletto di questi conviti non tanto dal piacere dei sensi quanto dalla compagnia e dal conversare tra amici. Bene i nostri antenati chiamarono con-vivio lo stare insieme degli amici a banchetto poiché comporta una comunione di vita, meglio dei Greci che lo definiscono ora bere in compagnia ora mangiare in compagnia, mostrando così di apprezzare di più ciò che, in questi casi, vale molto di meno. In realtà, proprio per il piacere della conversazione amo anche i lunghi banchetti e non solamente in compagnia dei miei coetanei - ormai ne restano ben pochi -, ma anche delle persone della vostra età e di voi, e sono molto riconoscente alla vecchiaia di aver accresciuto in me il desiderio di conversare e di aver eliminato quello di mangiare e bere .Se poi c'è chi si diverte anche a mangiare e bere - non si pensi che ho dichiarato, senza mezzi termini, guerra al piacere, di cui forse esiste un limite naturale - credo che la vecchiaia, anche nei confronti di simili piaceri, non sia insensibile. A me, anzi, piacciono i magisteri conviviali, istituiti dagli antenati, e quel conversare con le coppe in mano che, secondo tradizione, parte dall'ospite d'onore, e mi piacciono le coppe, come nel Simposio di Senofonte, piccole e stillanti, e il fresco d'estate e, al contrario, il sole o il fuoco d'inverno, tutte soddisfazioni che ho l'abitudine di prendermi in Sabina dove, ogni giorno, riempio di vicini il convito che prolunghiamo, più che si può, sino a notte fonda con discorsi di vario genere. Nei vecchi, però, quel titillamento dei piaceri non è un granché. - vero, ma non ne sentono neppure la mancanza: del resto non pesa quel che non si rimpiange.
Bene rispose Sofocle a chi gli chiedeva se, alla sua età, godesse ancora dei piaceri di Venere: Gli dèi me ne guardino! esclamò Sono felice di esserne scampato come a un padrone zotico e furioso. Per chi desidera simili cose, risulta forse odioso e pesante esserne privo, ma per chi se ne è tolto completamente la voglia è più piacevole esserne privo che goderne. Tuttavia non si può dire che ne sia privo chi non ne sente la mancanza. Quindi, sostengo, il non sentir mancanza è condizione più piacevole Se la verde età gusta di più questi piaceri, primo gode di inezie, come ho detto, secondo gode di cose di cui la vecchiaia, pur non avendone in eccesso, non è priva del tutto. Come chi siede in prima fila si diverte di più allo spettacolo di Turpione Ambivio, ma si diverte anche chi siede in ultima, così la giovinezza, che guarda i piaceri da vicino, gode più intensamente, ma anche la vecchiaia, che li contempla da lontano, si diletta quanto basta. Invece com'è prezioso per l'animo che ha preso congedo, per così dire, dal piacere dei sensi, dall'ambizione, dalle rivalità, dalle inimicizie, da tutte le passioni, starsene con se stesso e, come si dice, vivere con se stesso! Se poi trova, diciamo così, di che alimentarsi nello studio e nella cultura, niente è più piacevole di una vecchiaia libera da impegni. Vedevamo Caio Galo, amico di tuo padre, Scipione, struggersi nello sforzo di misurare quasi il cielo e la terra. Quante volte la luce del giorno lo sorprese a tracciare disegni iniziati di notte, quante volte la notte quando aveva iniziato al mattino! Come gli piaceva predirci con largo anticipo le eclissi di sole e di luna! E non è lo stesso per interessi più leggeri, ma pur sempre profondi? Che gioia provava Nevio per la sua Guerra Punica! Che gioia Plauto per il Truculento e per lo Pseudolo! Ho visto anche Livio, ormai vecchio: allestì un dramma sei anni prima della mia nascita, quando erano consoli Centone e Tuditano, e visse sino alla mia giovinezza. E la passione per il diritto pontificale e civile mostrata da Publio Licinio Crasso o dal nostro Publio Scipione, eletto pontefice massimo proprio in questi giorni? Tutti gli uomini che ho ricordato li abbiamo visti, da vecchi, accendersi per queste attività. Prendiamo Marco Cetego, a ragione definito da Ennio midollo della Persuasione, con che passione lo vedevamo esercitarsi nell'eloquenza anche da vecchio! E allora, quali piaceri procurati da festini, giochi e prostitute sono paragonabili a questi piaceri? Voglio dire, appunto, all'amore del sapere che cresce di pari passo con l'età nelle persone di senno e di cultura Ecco perché è degno di lode il versetto, che ho già citato, in cui Solone afferma di invecchiare imparando ogni giorno molte cose, Non può esistere piacere più grande di quello intellettuale. Vengo ora ai piaceri dei contadini, per me fonte di incredibile diletto, piaceri che, per nulla ostacolati dalla vecchiaia, mi sembrano particolarmente conformi alla vita del saggio.
I contadini hanno un conto aperto con la terra che mai ricusa il loro dominio e mai restituisce senza interessi il capitale ricevuto, ma lo rende talvolta a un tasso minore, per lo più maggiore. vero che mi delizia non solo il profitto, ma anche la forza e l'essenza della terra stessa. quando ha accolto nel suo grembo ammorbidito e smosso il seme gettato, prima lo racchiude al buio, come accecato, da cui occatio è detta l'operazione dell'erpicatura, poi, scaldatolo col suo fiato e con il suo abbraccio, lo dilata e fa germogliare da esso un qualcosa di verde, un'erbetta che, salda sulle fibre delle radici, cresce poco a poco e, ergendosi sullo stelo nodoso, è stretta in pellicole come se giungesse a pubertà; quando se ne libera, dischiude un frutto disposto a mo' di spiga e contro le beccate degli uccelli più piccoli si difende con il baluardo delle reste. E dovrei ricordare come nasce, si pianta e cresce la vite? Non posso saziarmi di questo piacere - ve lo dico perché conosciate la pace e il divertimento della mia vecchiaia -: non parlerò della forza intrinseca di tutti i prodotti della terra, forza capace di generare tronchi e rami così grandi da un così piccolo grano di fico o dal vinacciolo del chicco d'uva o dai minuscoli semi delle altre piante e alberi; magliuoli, talee, tralci, barbatelle, polloni non riempiono chiunque di piacere e di ammirazione? Prendiamo la vite che per natura tende a cadere e, se non viene sostenuta, si abbatte a terra, ebbene, per reggersi, si intreccia con i suoi viticci, come fossero mani, a tutto ciò che trova; se poi serpeggia in un tortuoso ed erratico propagarsi, l'agricoltore, potandola col falcetto, la frena per impedirle di metter su una foresta di tralci e di spandersi troppo in ogni direzione. E così, all'inizio della primavera, nelle parti risparmiate spunta, quasi alle giunture dei tralci, la cosiddetta gemma da cui nascendo si mostra il grappolo che, ingrossandosi con l'umore della terra e il calore del sole, dapprima è molto aspro al gusto poi, con la maturazione, si addolcisce; rivestito di pampini, non manca del giusto calore e al tempo stesso si difende dall'eccessiva vampa del sole. Cosa può essere più ricco di profitto, cosa più bello a vedersi di questa pianta? Della vite non solo l'utilità, come ho già detto, ma anche la semplice coltivazione e la natura mi danno gioia: e poi le file dei pali di sostegno, fissarne le cime, legare e propagginare le viti, potare alcuni tralci, come ho detto, lasciar crescere gli altri. Perché dovrei ricordare irrigazioni, sterri e rivangature dei campi con cui si accresce la fertilità del suolo? Perché dovrei trattare dell'utilità della concimazione? Ne ho parlato nel libro che ho scritto sull'agricoltura; il dotto Esiodo non ne ha fatto parola scrivendo sulla coltivazione dei campi, ma Omero, vissuto, credo, molte generazioni prima, rappresenta Laerte intento a coltivare e concimare il suo campo per tentare di lenire il dolore dovuto alla mancanza del figlio.
La campagna, del resto, non solo è rigogliosa di messi, prati, vigneti e alberi, ma anche di giardini, frutteti, pascoli per il bestiame, sciami di api e ogni varietà di fiori. E al piacere di piantare si aggiunge quello di innestare, l'invenzione più ingegnosa dell'agricoltura. Potrei proseguire parlando delle numerosissime gioie della campagna; credo però di essermi dilungato troppo. Vorrete con tutto ciò perdonarmi: mi sono lasciato prendere dalla passione per la vita contadina e poi la vecchiaia è per costituzione una buona chiacchierona - lo confesso perché non sembri che la scuso di ogni difetto. Ecco perché Manlio Curio, dopo aver trionfato sui Sanniti, sui Sabini e su Pirro, scelse per i suoi ultimi anni questo stile di vita. E quando contemplo la sua villa, che non dista molto dalla mia, non mi stanco mai di ammirare la continenza dell'uomo e la severità dei tempi. Curio sedeva al focolare quando vennero i Sanniti a portargli una gran quantità d'oro Li cacciò via perché, disse, non gli sembrava onesto possedere l'oro, ma comandare su chi ne possedeva. Un animo così grande poteva forse non rendergli piacevole la vecchiaia? Ma vengo ai contadini per non allontanarmi da me stesso. In quel tempo i senatori, cioè dei vecchi, passavano la vita in campagna se è vero che Lucio Quinzio Cincinnato stava arando quando ricevette la notizia della sua nomina a dittatore; per ordine di Cincinnato, dittatore, il comandante della cavalleria Caio Servilio Ahala prevenne il complotto di Spurio Melio che aspirava alla tirannide e lo uccise. Curio e gli altri vecchi venivano convocati in senato dalle loro case di campagna; per cui furono detti corrieri i messi che li andavano a chiamare. Allora, era forse da compatire la vecchiaia di uomini che passavano il tempo a coltivar la terra? Personalmente, dubito che esista vecchiaia più felice: non solo per la funzione che svolge, in quanto l'agricoltura è utile a tutto il genere umano, ma anche perché procura il diletto, di cui ho parlato, e la profusione di tutto quel che serve al sostentamento degli uomini e anche al culto degli dèi e, dal momento che alcuni non riescono proprio a fare a meno di questi beni, eccoci riconciliati con il piacere. In realtà, un padrone abile e attivo ha sempre rifornite la cantina, l'orciaia e la dispensa, tutta la sua villa è ricca e ha in abbondanza maiali, capretti, agnelli, galline, latte, formaggio e miele. E poi c'è l'orto che i contadini stessi chiamano seconda dispensa. A rendere più piacevole questa vita anche nel tempo libero contribuisce la caccia agli uccelli e all'altra selvaggina. E dovrei ricordare ancora il verde dei prati, le file degli alberi, la bellezza delle vigne o degli oliveti? Taglierò corto: niente può essere più ricco di profitto o più bello a vedersi di un campo ben coltivato E a goderne, la vecchiaia non solo non è un ostacolo, ma anzi uno stimolo e un incitamento: dove, infatti, questa età può scaldarsi meglio al sole o al fuoco, oppure, viceversa, prendere il fresco salutare dell'ombra o dell'acqua? I giovani si tengano pure armi, cavalli, lance, clava e palla, cacce e corse; a noi vecchi lascino, tra molti giochi, gli astragali e i dadi, e dei due quelli che vogliono, perché la vecchiaia non ne ha bisogno per essere felice.
I libri di Senofonte sono utilissimi sotto molti aspetti: leggeteli con attenzione, vi prego, come state già facendo. Con quanti argomenti loda l'agricoltura nel libro relativo all'amministrazione del patrimonio intitolato Economico! E, perché capiate che nulla gli sembrava degno di un re quanto l'agricoltura, Socrate, in quel libro, racconta a Critobulo un episodio Quando lo spartano Lisandro, uomo di eccezionale valore, si recò a Sardi a portare a Ciro i doni degli alleati, Ciro il giovane, re dei Persiani di straordinaria intelligenza e gloria militare, lo trattò con grande affabilità e cortesia e, tra le altre cose, gli mostrò un parco coltivato con cura. Lisandro apprezzava molto l'altezza degli alberi, la loro disposizione a scacchiera, la terra lavorata e ripulita, la soavità dei profumi che esalavano dai fiori e disse di ammirare non solo la cura ma anche la maestria dell'uomo che aveva disegnato e disposto ogni cosa Ciro rispose: Ma sono stato io a disegnare tutto, Mie sono le file, mia la disposizione, addirittura molti di questi alberi li ho piantati di mia mano. Al che Lisandro guardò la porpora, l'eleganza della persona e l'abbigliamento persiano, prezioso di oro e gemme, ed esclamò: Hanno ragione, Ciro, a dirti felice, perché la tua fortuna si congiunge alla virtù. Questa è dunque la fortuna di cui possono godere i vecchi; l'età non ci impedisce di conservare sino all'ultima ora della vecchiaia il gusto di svolgere altre attività e soprattutto l'agricoltura. Sappiamo che Marco Valerio Corvino continuò a occuparsene sino a cento anni vivendo nei campi e coltivandoli in età già avanzata; tra il suo primo e il suo sesto consolato trascorsero quarantasei anni; così, tutto lo spazio di tempo fissato dai nostri antenati per raggiungere l'inizio della vecchiaia fu da lui impiegato nella carriera politica; e l'ultimo periodo della sua esistenza fu più felice di quello di mezzo perché maggiore era la sua autorità, ma minori gli impegni gravosi. Il coronamento della vecchiaia è proprio l'autorità.Quanta ne aveva Lucio Cecilio Metello, quanta Aulo Attilio Calatino a cui è dedicato l'epitaffio: I più convengono nel dire chequest'uomo fu il primo del suo popolo. Conoscete tutti il carme inciso sul sepolcro. Era a buon diritto influente, dunque, uno sui cui meriti l'opinione pubblica concordava. Che uomo abbiamo visto, poco tempo fa, in Publio Crasso, il pontefice massimo, che uomo, dopo, in Marco Lepido, investito dello stesso sacerdozio! Che dire di Paolo o dell'Africano o, come ho già fatto prima, di Massimo? La loro autorità si manifestava non solo nella parola, ma anche in un cenno. La vecchiaia, specie di chi ha ricoperto cariche pubbliche, ha un'autorità così grande da superare tutti i piaceri della giovinezza. Ricordatevi però che, in tutto il mio discorso, intendo lodare solo la vecchiaia che poggia sulle fondamenta della giovinezza. Ne consegue che, come ho avuto occasione di dire con il consenso di tutti, la vecchiaia costretta a difendersi a parole è infelice.
non sono i capelli bianchi o le rughe che riescono a conquistare di colpo l'autorità, ma è la vita passata, vissuta con onore, a raccogliere alla fine i frutti dell'autorità.Sono infatti un'attestazione di rispetto gesti in apparenza insignificanti e comuni come ricevere il saluto, essere cercati, vedere che ti cedono il passo o che si alzano in piedi, essere accompagnati e riaccompagnati, essere consultati, abitudini che da noi e in altri paesi si osservano con tanto più riguardo quanto più i costumi sono giusti. Dicono che lo spartano Lisandro, di cui ho appena fatto menzione, ripetesse che Sparta era la più nobile dimora degli anziani: in nessun altro paese, infatti, si dà tanta importanza all'età, in nessun altro paese la vecchiaia riceve più onori. Anzi, a proposito, si tramanda un episodio Ad Atene, in occasione dei giochi, un uomo di una certa età era entrato nel teatro gremito di folla, ma i suoi concittadini non gli lasciarono il posto in nessun settore. Quando si avvicinò agli Spartani, che, in qualità di ambasciatori, sedevano in posti riservati, si alzarono tutti, così si racconta, e lo fecero sedere tra di loro. Tutto il pubblico decretò loro un lungo applauso Allora uno Spartano disse che gli Ateniesi sapevano quel che era bene, ma non lo volevano fare Nel vostro collegio vigono molte e nobili consuetudini, ma la migliore, e fa al caso nostro, è questa: si ha diritto di precedenza nel voto in base all'età e gli àuguri più anziani non solo hanno la priorità rispetto a chi ricopre magistrature più alte, ma anche rispetto a chi detiene il potere supremo. E allora, quali piaceri del corpo si possono paragonare ai privilegi dell'autorità? Chi ne ha goduto magnificamente, secondo me ha recitato bene sino alla fine la propria parte sulla scena della vita senza fare fiasco all'ultimo atto come un guitto inesperto. Ma i vecchi sono intrattabili, inquieti, irascibili e difficili; a dire il vero, anche avari - Sì, ma si tratta di difetti del carattere, non della vecchiaia. E poi l'intrattabilità e le altre mancanze di cui ho parlato hanno una scusa, non voglio dire legittima, ma almeno in un certo senso ammissibile: i vecchi si sentono trascurati, guardati dall'alto in basso, presi in giro; aggiungiamo che ogni offesa risulta insopportabile in un corpo fragile. Tutti questi difetti, però, si attenuano vuoi con le buone abitudini vuoi con l'educazione. Come nella vita, lo si può vedere in teatro nei fratelli che sono protagonisti degli Adelfi: quanta asprezza in uno e quanta gentilezza nell'altro! Così vanno le cose: come non tutti i vini, non tutti i caratteri inacidiscono col tempo. Approvo la severità nei vecchi, ma in giusta misura, come in ogni situazione; l'asprezza nient'affatto. Quanto all'avarizia senile non capisco a cosa miri: ci può essere comportamento più assurdo che voler aumentare le provviste da viaggio quando si è quasi arrivati? Rimane il quarto motivo che, più degli altri, sembra angosciare e tenere in affanno la nostra età: l'avvicinarsi della morte, che certamente non è lontana dalla vecchiaia.
Infelice il vecchio che, in un'esistenza tanto lunga, non è riuscito a capire che la morte va disprezzata! Bisogna tenerla in nessun conto, se porta all'annientamento dell'anima, o addirittura desiderarla, se conduce l'anima in un luogo di vita eterna, proprio impossibile trovare una terza possibilità. Allora, perché dovrei temere se, dopo morto, non sarò infelice o se sarò persino beato? E poi chi è così folle, per quanto giovane sia, da avere l'assoluta certezza di vivere sino a sera? Anzi, è proprio la giovinezza a essere esposta al pericolo di morire molto più della vecchiaia: i ragazzi contraggono malattie più facilmente, si ammalano in modo più grave, vengono curati con maggior difficoltà; quindi in pochi arrivano alla vecchiaia. Se così non fosse, si vivrebbe meglio e con più saggezza, perché riflessione.ragione e buon senso sono prerogative dei vecchi e senza i vecchi non sarebbe mai esistito lo stato. Ma ritorno alla morte incombente: perché farne un capo d'accusa della vecchiaia quando vedete che la condivide con la giovinezza? 68 Ho capito con la perdita del mio ottimo figlio e tu, Scipione, con la morte dei tuoi fratelli destinati agli onori più alti, che la morte è comune a ogni età. Ma il giovane spera di vivere a lungo, mentre il vecchio non può sperare la stessa cosa. - Folle speranza, la sua. cosa c'è di più stupido di prendere l'incerto per certo, il falso per vero? - Ma il vecchio non ha nemmeno di che sperare. Ecco perché si trova in una condizione migliore del giovane Quel che il giovane spera, lui lo ha già ottenuto; il giovane vuole vivere a lungo, lui ha vissuto a lungo. Anche se, o buon dio, cosa significa a lungo nella natura umana? Prendi l'esistenza più lunga che ci sia, aspettiamoci di vivere quanto il re dei Tartessi - a Cadice ci fu un certo Argantonio che, come leggo, regnò ottant'anni e ne visse centoventi -; non mi sembra però nemmeno duraturo quel che presenta una fine. Quando la fine arriva, allora il passato è volato via; rimane solo quanto hai conseguito con la virtù e le azioni giuste Se ne vanno le ore, i giorni, i mesi, gli anni: non torna più indietro il tempo passato ed è impossibile conoscere il futuro Ciascuno deve accontentarsi del tempo che gli è concesso di vivere. L'attore, del resto, per aver successo, non ha bisogno di recitare il dramma sino alla fine: gli basta suscitare l'applauso in qualunque scena appaia; così i saggi non devono necessariamente arrivare all'applaudite. Il breve tempo dell'esistenza è lungo abbastanza per vivere bene e con dignità; se poi si prolungasse, non bisogna affliggersi più di quanto i contadini si affliggono perché, passata la dolcezza della primavera, arriva l'estate e l'autunno. La primavera rappresenta quasi la giovinezza e mostra i frutti del domani, le altre stagioni invece sono fatte per la mietitura e la raccolta dei frutti.
Il frutto della vecchiaia, come ho detto più volte, è il ricordo e l'abbondanza dei beni conseguiti in passato. Tutto quel che avviene secondo natura, poi, va riposto tra i beni: e cosa c'è di più naturale, per i vecchi, della morte? Anche ai giovani capita di morire, ma allora la natura si oppone alla morte con una strenua resistenza Quando muoiono i giovani, secondo me è come se la forza di una fiamma venisse domata da un gran getto d'acqua, ma quando muoiono i vecchi, allora è come se un fuoco, già consumato, si spegnesse da solo senza l'intervento di nessuna forza esternaE come i frutti, se acerbi, si strappano a fatica dagli alberi, ma se sono maturi e cotti dal sole cadono da soli, così è una forza esterna a strappare la vita ai giovani, ai vecchi è la maturità E io amo tanto questa maturità che, più mi avvicino alla morte, e più mi sembra quasi di veder terra e di dover entrare finalmente in porto dopo lungo navigare. La vecchiaia, poi, non ha un termine preciso, e da vecchi si vive bene finché si possa adempiere e far fronte ai propri doveri nel disprezzo della morte. Ecco perché la vecchiaia è più coraggiosa della giovinezza e più forte, come disse del resto Solone in risposta al tiranno Pisistrato, che gli aveva chiesto in cosa confidasse per opporsi a lui con tanta audacia: Nella vecchiaia, avrebbe risposto. Ma la fine migliore della vita si ha quando, sana la mente e attivi i sensi, è la natura stessa a disfare l'opera che ha messo insieme. Come una nave, come un edificio vengono demoliti più facilmente da chi li ha costruiti, così l'uomo viene disfatto meglio dalla medesima natura che lo ha composto; ogni composizione si disgrega a fatica se nuova, ma con facilità se antica. Per questo i vecchi non devono attaccarsi avidamente a quel breve residuo di vita, né abbandonarlo senza motivo. Pitagora vieta che si diserti dal proprio posto di guardia nella vita senza un ordine del comandante, cioè del dio. C'è un distico di Solone il sapiente in cui dice di non volere una morte priva del dolore e del pianto degli amici; vuole, credo, esser caro ai suoi. Ma forse si esprime meglio Ennio: Nessuno mi onori con le lacrime e celebri le mie esequie con il pianto. Ritiene che non si debba piangere la morte perché è seguita dall'immortalità. Può darsi che ci sia una sensazione di morire, ma dura poco, specie in un vecchio Dopo la morte, comunque, la capacità di sentire o è desiderabile o non esiste affatto. Ma si deve riflettere fin da giovani su questo: non dobbiamo preoccuparci della morte. Senza tale riflessione nessuno può vivere sereno. Che si debba morire, infatti, è sicuro, non è sicuro se proprio oggi. Come potrà colui che teme la morte, che incombe a ogni istante, mantenere la propria fermezza di spirito Non è il caso di spendere, credo, troppe parole sull'argomento: mi basta ricordare non dico Lucio Bruto, che fu ucciso nel liberare la patria, non i due Deci, che spronarono i cavalli a morte volontaria, non Marco Attilio, che andò al supplizio per non tradire la parola data al nemico, non i due Scipioni, che vollero sbarrare la strada ai Cartaginesi persino con il proprio corpo, non tuo nonno, Lucio Paolo, che nella vergogna di Canne pagò con la morte la temerarietà del collega, non Marco Marcello, la cui vita neppure il più crudele dei nemici osò privare dell'onore della sepoltura, ma le nostre legioni, come ho scritto nelle Origini, spesso partite con animo acceso e fiero per una meta da cui pensavano di non tornare mai più.
Allora, quel che disprezzano i giovani, non solo ignoranti, ma anche zotici, spaventerà dei vecchi pieni di cultura? In conclusione, come almeno mi sembra, la sazietà di tutte le inclinazioni porta alla sazietà della vita. L'infanzia ne ha di precise: le rimpiangono forse i ragazzi? Anche la giovinezza ne ha: le ricerca forse l'età adulta, detta di mezzo? E poi ci sono quelle dell'età adulta: anch'esse non si cercano più in vecchiaia. Ci sono infine certe inclinazioni della vecchiaia: dunque, come tramontano le inclinazioni delle età precedenti, così tramontano anche le inclinazioni senili; arrivato questo momento, la sazietà della vita porta con sé il tempo maturo della morte. Non vedo perché dovrei tacervi la mia idea della morte dal momento che mi sembra di giudicare meglio quanto più mi avvicino a essa. Credo che i vostri padri, il tuo, Scipione, e il tuo, Lelio, uomini molto in vista e miei cari amici, vivano ancora, e addirittura l'unica vita degna di chiamarsi tale. Infatti, finché siamo oppressi dalla prigione del corpo, adempiamo a un dovere di necessità, a una pesante incombenza: questo perché l'anima, celeste, dalla sua dimora altissima è stata sprofondata e quasi sepolta in terra, luogo contrario alla natura divina e all'eternità. Ma, secondo me, gli dèi immortali hanno disseminato le anime nei corpi umani perché ci fossero dei custodi della terra che, contemplando l'ordine delle cose celesti, lo imitassero vivendo con misura e coerenza. E non solo la logica del ragionamento mi ha indotto a crederlo, ma anche la riconosciuta autorità dei maggiori filosofi.