Traduzione Ai Familiari, Cicerone, Versione di Latino, Cicerone a Publio Lentulo, Comandante Generale
Traduzione in italiano del testo originale in latino del Libro 01; parte 09, Cicerone a Publio Lentulo Comandante Generale, de Ai Familiari di Cicerone
AI FAMILIARI: TRADUZIONE DEL LIBRO 01; PARTE 09, CICERONE A PUBLIO LENTULO, COMANDANTE GENERALE
La tua lettera mi ha fatto un estremo piacere: da essa ho capito che tu tieni nel debito conto la devozione che ho per te (perché parlare solo di affetto, se il termine stesso di ‘devozione’ solenne e pieno di significato religioso sembra a me poca cosa rispetto alle tue benemerenze verso la mia persona? Quando poi scrivi di essermi grato per certe mie dimostrazioni di stima, lo fai come per un sovrappiù di simpatia, da far diventare addirittura motivo di gratitudine delle espressioni che non potrei in verità tacere senza macchiarmi di una colpa ingiustificabile; comunque, i miei sentimenti nei tuoi confronti ti sarebbero più familiari e più chiari se per tutto il periodo in cui siamo stati separati fossimo invece stati insieme a Roma. Le stesse iniziative che proponi, assolutamente realizzabili e corrispondenti in tutto alle mie più ardenti speranze, ci avrebbero visti entrambi in una posizione di primo piano tanto nel creare correnti di opinione in senato quanto nel gestirne l'attuazione politica concreta (ma su questo argomento ti chiarirò più in là le mie sensazioni e la mia posizione attuale, e al tempo stesso replicherò alle questioni che mi hai sollevato); che certamente io avrei avuto in te un vero amico e un sostenitore pieno di misura e di sensibilità; e tu avresti avuto in me un consigliere forse non del tutto privo di esperienza, e comunque fidato e ben disposto; quantunque al momento io non debba che rallegrarmi per quanto attiene alla tua personale carriera, nonché dell'importante riconoscimento da te ottenuto ai tuoi brillanti successi militari e delle vittorie dei tuoi soldati, con che hai saldamente mantenuto la provincia; ma certo se fossi stato presente avresti potuto raccogliere frutti più copiosi e più immediati della mia riconoscenza. E mi avresti avuto compagno straordinariamente efficace nell'azione di rivalsa su quanti capisci che in parte ti sono ostili a motivo del tuo risoluto schierarti a favore del mio riscatto, in parte ti in vidiano a motivo dell'esito glorioso di quella nobile inizia tiva; e malgrado l'esistenza di quell'ostinato nemico degli amici suoi, che, favorito da te in mille modi, ha continuato a riversare soprattutto su di te il veleno della sua impotenza e si è cosi punito da solo senza che noi intervenissimo; tali e tante sono, infatti, state le sue trame che, una volta rivelate, non soltanto gli hanno fatto perdere completamente la faccia per il futuro, ma neanche gli hanno lasciato un po' di spazio per muoversi. Quanto a te, preferirei avessi maturato le tue esperienze soltanto sulle mie vicende anziché anche sulla tua pelle: e tuttavia nell'amarezza sono contento che tu abbia conosciuto senza pagare un prezzo troppo alto quanto valga l'umana lealtà, cosa che io per me avevo conosciuto versando lagrime e sangue; ma per una valutazione dell'intera faccenda mi sembra oramai venuto il momento di replicare ai tuoi interrogativi.
Scrivi di essere stato informato per lettera che io sono in buoni rapporti con Cesare e con Appio e soggiungi di non avere nulla da obiettare; dichiari poi di voler conoscere le motivazioni che mi hanno indotto a difendere e a giustificare Vatinio; per esporti questo con maggior chiarezza, è necessario che rievochi le ragioni delle mie scelte politiche risalendo un po' indietro nel tempo. In principio, Lentulo, mi figuravo di essere stato restituito, non soltanto alla mia famiglia ma anche alla vita pubblica, grazie alla tua influenza e al tuo generoso comportamento; e poiché ero legato a te da un indescrivibile vincolo di affetto nei tuoi confronti, ero convinto di dover avere per le istituzioni repubblicaneche molto ti avevano aiutato nell'opera di restituzione dei miei diritti civili , a motivo dei loro specifici meriti, quegli stessi sentimenti con i quali in precedenza mi ero messo doverosamente a loro servizio esclusivamente nel comune interesse di tutti i miei concittadini e non per un qualche mio vantaggio privato. Che tali fossero state le mie intenzioni non solo il senato l'ha sentito dalle mie labbra all'epoca del tuo consolato, ma tu stesso l'hai constatato nel corso di nostre conversazioni o scambi di opinione. Pure, già in quei primi momenti molte cose offendevano la mia sensibilità, quando mi accorgevo di fronte alle iniziative da te prese circa il riacquisto delle mie rimanenti prerogative dei rancori nascosti di alcuni o della loro tiepida adesione alla mia causa. E infatti non sei stato sostenuto da quelli che lo avrebbero dovuto fare né a proposito dei miei monumenti votivi né a proposito della violenza inaudita con la quale ero stato cacciato da casa mia insieme con mio fratello; ma addirittura, perdio, perfino per quello che, quantunque mi fosse assolutamente indispensabile a causa del naufragio del mio patrimonio, pure io consideravo un particolare secondario, e cioè il risarcimento deliberato dal senato dei danni da me subiti, non hanno mostrato la buona volontà che mi sarei aspettato; vedendo tutto ciò (e non era tanto difficile accorgersene), non provavo tuttavia tanto amarezza per quello che mi stava succedendo e continuavo comunque a sentire gratitudine per quanto avevano fatto prima. Perciò, nonostante dovessi moltissimo a Pompeo, come tu stesso hai pubblicamente dichiarato e testimonia to, e l'avessi caro non solo per i suoi benefici ma anche per un intrinseco affetto e per una mia certa inalterabile stima per la sua persona, non considerando le sue intenzioni rimanevo saldo sulle mie posizioni politiche originarie. Era ben presente Cneo Pompeo il giorno in cui, venuto lui espressamente a Roma per appoggiare Publio Sestio e uscitosene Vatinio a dire che io, colpito dalla buona sorte e dalla fortuna di Giulio Cesare, cominciavo a mettermi dalla sua parte, ribattei che anteponevo la buona fortuna di Marco Bibulo da Vatinio giudicata agli sgoccioli ai trionfi e alle vittorie di chiunque; e dissi davanti alla medesima persona, in un altro punto, che quelli che avevano impedito a Bibulo di uscire di casa erano gli stessi che mi avevano costretto a lasciare la mia; tutto intero il mio intervento non fu che una requisitoria inflessibile del suo tribunato; e tutto fu detto con la più grande franchezza e con la più grande energia: a proposito della violenza, della politica religiosa, della concessione dei titoli di re; beninteso, non solo durante quel dibattito, ma in continuazione e spes so in senato; anzi, il 5 aprile di due anni fa, consoli Marcellino e Filippo, il senato accettò la mia proposta che per il 15 maggio si mettesse all'ordine del giorno di una seduta plenaria la questione delle terre della Campania; avrei potuto forse in modo più energico sferrare l'assalto alla roccaforte dei loro interessi O con maggiore determinazione dimenticare le mie traversie e richiamare invece alla memoria i tempi della mia iniziativa politica? Espresso da me tale parere, grande agitazione prese tanto coloro cui giustamente spettava di agitarsi, quanto anche coloro da cui mai me lo sarei aspettato.
Passato questo decreto secondo la mia proposta, infatti, Pompeo senza dimostrare verso di me il minimo segno di risentimento partì con destinazione Sardegna e Africa e durante il suo spostamento si incontrò a Lucca con Cesare. Lì Cesare espresse molte la mentele nei confronti delle mie prese di posizione, dal momento che in precedenza aveva già visto a Ravenna anche Crasso, che aveva provveduto a rinfocolarlo contro di me. Era convinzione comune che il mio comportamento avesse molto infastidito Pompeo, la qual cosa io sentii dire non solo da altri, ma specialmente da mio fratello; con lui Pompeo ebbe un colloquio in Sardegna, pochi giorni dopo aver lasciato Lucca e gli disse testualmente: ‘Proprio te volevo vedere, non poteva capitare opportunità migliore: se non fai capire seriamente a tuo fratello Marco come stanno le cose, dovrai saldare tu il debito che hai contratto con me in suo nome’. Insomma, per non farla lunga, manifestò viva rimostranza, ricapitolò le sue benemerenze, fece il punto sulle numerose discussioni avute con lui, mio fratello, circa le azioni di Cesare e sugli impegni che Quinto stesso si era assunto a proposito della mia persona; chiamò a testimone sempre lui, mio fratello, che quello che aveva fatto per salvarmi lo aveva fatto col pieno consenso di Cesare; e al fine di raccomandarmi il rispetto della causa di costui, chiese finalmente che se non volevo o non potevo prenderla in considerazione, mi astenessi almeno dall'attaccarla. Dopo che mio fratello mi ebbe riferito il tutto, e benché Pompeo avesse già spedito Vibullio con istruzioni per me di astenermi totalmente dal toccare la questione della Campania fino al suo ritorno, mi raccolsi in me stesso e avviai per così dire un dialogo diretto con la Repubblica, perché concedesse a me che tanto avevo sofferto e faticato per il suo bene di assolvere il mio dovere, di mostrare un animo riconoscente verso quanti avevano acquistato con me dei meriti, di mantenere fede agli impegni di mio fratello; e perché permettesse a colui che sempre aveva annoverato tra i cittadini esemplari di continuare a essere un uomo onesto. Intanto a proposito di tutte quelle mie famose iniziative che sembravano offendere Pompeo mi venivano riportati i discorsi di ambienti ben determinati (e ti puoi ben immaginare quali): quantunque le loro vedute politiche fossero in perfetta sintonia col mio comportamento, e tali fossero sempre state, andavano tuttavia dicendo di essere soddisfatti che Pompeo fosse scontento di me e che Cesare fosse in procinto di manifestarmi tutta la sua ostilità. Già questo era per me causa di molto rammarico: ma molto più lo era il vedere che questo mio nemico nemico mio, poi! nemico semmai delle leggi, del diritto, della quiete pubblica, della patria, di tutti i cittadini onesti se lo abbracciavano, se lo portavano in palma di mano, se lo coccolavano, se lo baciavano in mia presenza: non certo col risultato di procurarmi un attacco di bile, capacità da me completamente perduta, ma sicuramente perché loro pensavano che mi sarebbe venuto.
A questo punto io, per quanto mi sia potuto umanamente riuscire, valutato ogni aspetto della mia posizione e tirate le somme, ho tracciato il bilancio di tutte le mie riflessioni: e adesso, se ne sono in grado, te lo esporrò succintamente. Se io vedessi lo stato divenuto preda di cittadini senza scrupoli e senza onore, come sappiamo per esperienza che avvenne all'epoca di Cinna e come la storia ci dice anche per qualche altro periodo; non solo lusinghe di ricompense materiali (che poco possono con me), ma neanche il ricatto della paura (che pure riesce a imporsi perfino agli uomini più coraggiosi) potrebbero mai spingermi ad aggregarmi alla loro causa quand'anche straordinariamente grandi fossero i loro meriti nei miei riguardi. Quando Cneo Pompeo era la personalità politica più ragguardevole, un uomo che questa potenza e questa sua gloria aveva conquistato servendo la patria con le imprese più degne e più belle, il prestigio del quale io caldamente avevo sostenuto fino dagli anni giovanili e quindi da pretore e da console avevo contribuito ad arricchire; quando egli con l'autorevolezza dei suoi interventi da un lato, e dall'altro impegnandosi a fondo insieme con te si era spinto ad aiutarmi al punto da considerare il nemico mio mortale suo solo personale avversario politico; ebbene, io non credetti di dover temere la taccia di uomo volubile se in determinate occasioni mi tro vai a esprimere pareri lievemente diversi e a guardare con simpatia all'emergere nella vita pubblica di una personalità di indiscusso valore e alla quale tanto mi sentivo obbligato. In questa visione complessiva dovevo evidentemente far rientrare Cesare, come puoi renderti conto, essendo strettamente congiunti la causa e il prestigio di entrambi. Qui molto poté tanto l'antica amicizia che tu non ignori esistente tra me, mio fratello Quinto e Cesare, quanto la sua stessa affabilità e generosità, di cui in breve tempo dovetti accorgermi e prendere atto sia attraverso un cordiale scambio di corrispondenza sia attraverso suoi espliciti gesti di cortesia. Determinante fu su di me anche l'influenza della stessa situazione politica, che a me sembrava dover escludere uno scontro fra quei due uomini, soprattutto avendo Cesare compiuto una campagna militare prodigiosa e che in effetti energicamente ne rifiutava la contrapposizione. A farmi così concludere concorse poi il peso morale delle garanzie che sulla mia persona Pompeo aveva offerto a Cesare e mio fratello a Pompeo. C'era inoltre da tener conto della verità di quel principio politico generale che il genio di Platone ebbe a formulare così: ‘In uno stato il comportamento dell'insieme dei cittadini si modella su quello dei loro governanti’. Avevo ben fisso nel ricordo che quando fui console furono gittate fin dal 1 gennaio di tali fondamenta al rafforzamento del senato che nessuno poté legittimamente meravigliarsi della grande risolutezza e della grande autorità da esso dimostrate il 5 dicembre. Parimenti ricordavo che, dalla conclusione del mio mandato fino al consolato di Cesare e Bibulo, quando in senato il mio parere aveva gran peso, la solidarietà fra le forze sane del paese non fu praticamente mai incrinata.
In seguito, allorché tu ottenesti da propretore il governo e il comando militare della Spagna citeriore e la repubblica non aveva consoli, ma mercanti di province e fomentatori interessati di sovversione, una sorta di accidente scagliò la mia persona come fosse l'elementochiave del contendere nel bel mezzo della discordia e dei contrasti civili; in tale critica situazione, benché a difendermi si fossero compattamente sollevati con una prova di solidarietà straordinaria, incre dibile, eccezionale sia il senato, sia l'Italia intera, sia uno per uno i cittadini migliori, io non dirò che cosa successe (giacché la colpa, in varia misura, è di molti); solo dirò sinteticamente che non l'esercito, ma i capi mi vennero a mancare. E se in definitiva i responsabili vanno individuati tra coloro che non mi difesero, non minore colpa hanno coloro che mi abbandonarono: e se un'esplicita accusa va mossa a quanti si fecero prendere dal panico, una censura molto più forte deve rivolgersi a quanti ebbero a simulare il panico. E certo comunque che la mia decisione di allora merita il più ampio riconoscimento, in quanto non volli che i miei concittadini, da me salvati e desiderosi di salvarmi, fossero mandati allo sbaraglio privi di guida contro bande di schiavi armati e preferii che risultasse evidente quale grande energia avrebbe potuto sprigionarsi dall'unità delle forze sane se ad esse fosse stato consentito di combattere per me quando ero ancora in piedi considerando la loro capacità di sollevarmi dalla rovina; di questa disponibilità tu stesso non solo ti rendesti conto al momento di avviare le trattative per me, ma fosti altresì fermo e costante sostenitore. nel prosieguo della tua azione (mai avrò a negarlo, ma anzi sempre lo ricorderò e proclamerò con tutto il cuore) ti giovasti dell'appoggio di talune eminenti personalità, più energiche nell'incoraggiare il recupero della mia dignità di quanto esse stesse non fossero state precedentemente nel tutelarla. che se avessero voluto persistere in questa convinzione, insieme con la mia salvezza avrebbero riacquistato tutta la loro autorità; riconfortatisi intatti i cittadini più leali per opera del tuo consolato e stimolati dalla limpidezza e dalla decisione del tuo comportamento, guadagnato alla causa specialmente Pompeo, poiché anche Cesare dopo l'esito prodigioso delle sue campagne militari insignito di speciali ed eccezionali distinzioni unanimemente riconosciutegli dal senato aveva accresciuto il prestigio delle istituzioni, non ci sarebbe potuto essere più spazio per le iniziative sediziose di chicchessia e per chi volesse attentare all'integrità della repubblica. Ma prendi nota, per favore, di come poi si svolsero i fatti. Innanzi tutto quel demone profanatore delle tradizioni religiose delle nostre donne, che non mostrò per i riti della ‘Dea Buona’ più rispetto che per le sue tre sorelle, ottenne l'impunità in grazia dell'atteggiamento remissivo di coloro i quali di fronte alla richiesta rivolta alle pubbliche autorità da un tribuno della plebe di perseguire con il rigore della giustizia i misfatti di un cittadino facinoroso ricusarono di fornire ai posteri un esempio luminoso di come dovesse stroncarsi un'aggressione allo stato; e furono gli stessi che poi tollerarono che un monumento commemora tivo, non mio (giacché non era un mio trofeo di guerra, mia era soltanto l'area messa a disposizione), bensì del senato, fosse macchiato a lettere di sangue col nome di un nemico della patria.
Che questi signori mi abbiano voluto salvo è per me motivo di profonda gratitudine; ma mi piacerebbe che si fossero interessati non solo della mia salute, come i medici, ma, come i massaggiatori degli atleti, del recupero integrale delle forze e del colorito: ora, come Apelle rifinì con arte magistrale la testa e la parte superiore del petto della sua Venere e il resto del corpo lasciò allo stato di abbozzo, così un certo gruppo di persone si mise d'impegno a lavorare alla mia testa e il resto del corpo abbandonò grezzo e incompleto. Fu allora tuttavia che io tradii le aspettative tanto degli invidiosi quanto dei miei avversari dichiarati: che di un uomo di carattere duro e di acceso sentire, a mio giudizio superiore a chiunque altro per generosità e forza d'animo, come fu Q Metello Numidico, il figlio di Lucio Metello, avevano recepito l'idea sbagliata che molti allora se ne erano fatta: sì, è opinione comune che egli dopo il ritorno dal suo volontario esilio fosse un uomo distrutto e finito ma è tutto da dimostrare che chi se ne era andato con estrema determinazione e che lontano se ne era rimasto con eccezionale vivacità di spirito né si era particolarmente preoccupato di ritornare, fosse poi un uomo distrutto in conseguenza proprio di quell'atteggiamento con il quale si era dimostrato, per dignità e fermezza, tanto al di sopra di ogni altro politico del tempo, ivi compreso il celebre, inimitabile Marco Scauro! Ma insomma, quello che secondo il giudizio corrente avevano ritenuto o anche immaginato di Metello, pensavano di poterlo applicare a me, che io sarei stato addirittura prostrato; mentre invece il servire la patria mi aveva infuso un coraggio maggiore di quanto mai ne avessi avuto, essendo stato di palmare evidenza che la repubblica di un solo cittadino, me stesso, non aveva potuto fare a meno; e mentre il risarcimento di Metello avvenne su richiesta ufficiale di un solo tribuno della plebe, il mio fu ottenuto dalla volontà convergente di tutte le istituzioni repubblicane, con la guida del senato, con il seguito dell' Italia, con l' iniziativa formale di otto tribuni , con la tua presidenza di console ai comizi centuriati, con l'impegno solerte di gente di ogni ceto, con la mobilitazione dunque di tutte le forze della nazione. Né io poi mi arrogai alcuna pretesa, né oggi me l'arrogo, che possa con qualche fondamento urtare qualcuno, fosse anche il più maldisposto; mi sforzo unicamente di non mancare in attività, in sostegno morale, in aiuti concreti né agli amici né, addirittura, a quanti non sono con me in relazione diretta. Tale linea politica offende forse quelli che ne notano dal di fuori l'apparente prestigio e non possono intravederne invece le preoccupazioni e le pene; in ogni caso si levano lamentele non dissimulate, come se io, in quei miei interventi in cui rendo a Cesare il riconoscimento che merita mi staccassi dalle mie primitive posizioni.
Al contrario io mi attengo alle decisioni che ti ho enunciato più indietro nonché (e non in ultima istanza) alle considerazioni che cominciavo a esporti. Caro Lentulo, tu non ritroverai i sentimenti dei cittadini migliori inalterati rispetto a quando li lasciasti; quei sentimenti ebbero conforto dal mio consolato, poi subirono degli alti e bassi, poi precipitarono prima della tua elezione a console, poi da te riacquistarono vigore, ora sono affatto trascurati da quelli che dovevano averne rispetto: lo manifestano non solo con i lineamenti del volto e l'espressione del viso sede predisposta facilmente alla finzione , ma anche spesso con i contenuti delle loro deliberazioni tanto in senato quanto nelle corti di giustizia quelli che ai tempi del mio governo si definivano i ‘benpensanti’. E così tutta quanta la condotta di vita e le intenzioni dei cittadini coscienti, quale io voglio essere e desidero essere accreditato, devono oramai cambiarsi radicalmente; è sempre Platone, il filosofo a cui sento di aderire con il maggiore slancio, che prescrive in questi termini: ‘Ci si deve impegnare nell'attività politica nella misura in cui si riesce a ottenere il consenso dei cittadini; è immorale imporsi alla propria patria non meno che al padre o alla madre’. E infatti egli stesso dichiara che il motivo della sua non partecipazione alla vita pubblica fu che, imbattutosi nel popolo ateniese già quasi del tutto in preda alla demenza senile e resosi conto che era possibile governarlo non già facendo appello alla ragione ma solo con la forza, persa la fiducia di poterlo persuadere, ritenne profondamente iniquo imporgli un re gime autoritario. Le mie condizioni erano differenti, giacché né il popolo romano era giunto alle soglie del rimbambimento né le circostanze erano arrivate al punto critico da dover scegliere una volta per tutte se impegnarsi o meno nella politica: avevo perciò le mani legate; ma con gioia accolsi l'opportunità di potere nella medesima occasione difendere un punto di vista vantaggioso per me e conforme a giustizia agli occhi di qualunque cittadino onesto. Vi si aggiunsero talune dimostrazioni di generosità da parte di Cesare nei confronti miei e di mio fratello veramente degne di rispetto e fuori del comune; Cesare sarebbe da sostenere in ogni sua azione e ora che ha mostrato con le sue grandi vittorie quanto il destino gli arrida, dovrei offrirgli il mio plauso anche se non si comportasse con noi come effettivamente si comporta. Vorrei che tu ne fossi convinto: prescindendo da voi, primi artefici della mia salvezza, confesso e sono lieto di confessarlo che non c'è nessuno ai cui buoni uffici mi senta tanto obbligato. Dopo questi chiarimenti, è facile rispondere ai tuoi interrogativi circa Vatinio e Crasso; infatti per quello che scrivi di Appio, come di Cesare, che non hai nulla da obiettare, mi rallegro di vederti d'accordo con le mie decisioni. Quanto al caso di Vatinio, è sopravvenuta una riconciliazione tra di noi per il tramite di Pompeo subito dopo la sua elezione a pretore, benché io mi fossi opposto in senato alla sua candidatura con interventi assai pesanti, non tanto con l'intenzione di colpire lui quanto di difendere Catone e di rendergli l'onore che meritava; solo in seguito ci sono state delle straordinarie premure da parte di Cesare perché io ne assumessi la difesa contro delle accuse di broglio e corruzione.
Ti prego però di non chiedermi su quali convincimenti io fondi le mie giustificazioni, né per questo caso giudiziario né per altri, a meno di non renderti la pariglia quando sarai tornato: benché in realtà nulla mi vieti di replicare anche a distanza; e allora ricordati a chi hai spedito le tue lodi e i tuoi complimenti dai confini del mondo! Non aver timore: sono gli stessi che anch'io apprezzo e apprezzerò in futuro. Ma a difendere Publio Vatinio fui stimolato anche da una certa riflessione, per cui ebbi a dire in tribunale nell'atto di pronunciare la mia arringa che io stavo seguendo all'incirca i consigli che il parassita dell'‘Eunucon di Terenzio offre al soldato: se dirà ‘Fedria, subito tu nomina Panfila; e se dirà: ‘Invitiamo Fedria alla festa’, tu di: ‘Chiamiamo Panfila a cantare per noi’; se ne magnifica la bellezza, tu loda l'altra e replica colpo su colpo, insomma, e indispettiscila. Così chiesi ai giudici, visto che certi nobili personaggi verso i quali avevo un debito di riconoscenza mostravano un'eccessiva simpatia per il mio avversario e in senato davanti ai miei; stessi occhi ora con molta serietà lo prendevano da parte ora affettavano per lui una grande familiarità e un'estrema cordialità di rapporti e considerato perciò che essi avevano un Publio tutto per loro (ossia Publio Clodio), di concedere a me un altro Publio (ossia Publio Vatinio) che mi servisse da schermo per poter sfogare di tanto in tanto il piccolo fastidio che mi dava il loro modo di fare; e non fu solo una battuta occasionale, ma continuo realmente a fare così con una certa frequenza, tra l'approvazione generale. Esaurito il caso di Vatinio, eccoti le informazioni su Crasso. In un periodo in cui eravamo in buoni rapporti (giacché nell'interesse della comune concordia avevo sepolto in un oblio, diciamo così, artificiale tutti i suoi gravissimi affronti) io avrei anche potuto passare sopra la sua improvvisa levata di scudi in favore di Gabinio contro cui si era accanito fino a tre giorni prima, ma purché se ne fosse accollato il peso senza rivolgermi una sequela di insulti. Ma quando mi volle colpire mentre stavo semplicemente affrontando il relativo dibattito senza il minimo intento provocatorio, allora mi inferocii: non solo, credo, per uno scoppio d'ira momentaneo che forse non sarebbe stato nemmeno tanto violento ma perché ad un tratto venne fuori tutto il rancore accumulato dentro di me a seguito del suo continuo comportamento scorretto nei miei confronti, che io ritenevo di aver lasciato interamente svanire, ma di cui evidentemente mi ero tenuto in corpo un avanzo senza rendermene conto. Sempre nello stesso periodo certi personaggi, e ancora i medesimi che spesso indico con un'allusione e non nomino, mentre andavano dicendo di aver beneficiato moltissimo della mia liberazione e che allora finalmente ero sembrato loro reintegrato nella vita politica con la grinta di un tempo, e mentre questo scontro con Crasso mi stava procurando un notevole vantaggio anche agli occhi degli estranei, si dichiaravano contemporaneamente molto soddisfatti che lui mi fosse diventato nemico e che anche gli altri due (a Crasso legati da un patto d'azione) non sarebbero conseguentemente mai diventati miei amici.
Queste chiacchiere tendenziose mi venivano riferite da persone degne della massima stima; intanto Pompeo si era sforzato come non mai di rappacificarmi con Crasso e Cesare per lettera dimostrava di essere estremamente rammaricato di questo nostro scontro: così ebbi l'opportunità di cogliere l'occasione propizia che non solo la congiuntura ma il mio naturale stesso mi offrivano; e Crasso, come se la nostra riconciliazione avesse avuto solennemente a testimone il popolo romano, se ne partì per la sua provincia praticamente dal focolare di casa mia, giacché dopo aver fissato un appuntamento risolutivo, venne a cena con me nella villa di mio genero Crassipede; ed ecco spiegato il motivo per cui su intensa sollecitazione di chi sai ho preso in senato le sue parti rispettando l'impegno d'onore che mi ero assunto: questo è l'episodio di cui scrivi di avere ricevuto notizia. Adesso hai tutti gli elementi per comprendere le motivazioni che mi hanno indotto a difendere ogni specifica causa in ogni specifica circostanza e hai la dimensione esatta della posizione che occupo (per quel che mi compete) nel quadro politico generale; ma una cosa vorrei che ti fosse definitivamente chiara: il mio pensiero e la mia valutazione dei fatti sarebbero stati identici se avessi avuta completa e assoluta libertà di movimento. Non mi sognerei difatti minimamente né di mettermi a combattere contro forze tanto soverchianti né di scalzare (ammesso che fosse possibile) dalla loro attuale situazione di primato i nostri concittadini più rappresentativi né di persistere nelle idee di una volta quando il mondo è tutto cambiato e diversi sono i sentimenti della gente che vale; ma anzi riterrei comunque di dovermi adeguare ai tempi. Mai è stata favorevolmente giudicata negli uomini di stato più eminenti la pretesa di rimanere sempre ancorati alla stessa visione dei rapporti politici; ma è evidentemente come quando si naviga: I'abilità consiste nel manovrare a seconda delle condizioni meteorologiche, anche se ciò dovesse far perdere di vista il porto; e se questo si può raggiungere modificando la velatura, sarebbe da idioti mantenere a tutto rischio e pericolo la rotta prefissata piuttosto che cambiare e arrivare finalmente dove si vuole. Allo stesso modo, premesso che per tutti noi che abbiamo delle responsabilità pubbliche il principio fondamentale deve restare quello che ho ripetuto un'infinità di volte: dignità nel rispetto delle libertà reciproche, noi dobbiamo non già dire sempre le stesse cose, ma guardare sempre allo stesso obiettivo. E dunque, secondo il principio già stabilito poche righe più in su, avessi pure il più ampio spazio possibile in ogni direzione,nel mio comportamento politico non sarei diverso da quel che ora sono. E siccome a pensarla così mi ci spingono tanto i favori degli uni quanto le offese degli altri, mi risulta facile formarmi e manifestare delle opinioni che credo più confacenti sia ai miei propri interessi sia insieme a quelli della repubblica; inoltre tanto più apertamente e frequentemente faccio così, e in quanto mio fratello Quinto fa parte dello stato maggiore di Cesare, e in quanto non c'è stata una minima mia parola non dico iniziativa rivolta a favorire Cesare che egli non abbia accolto con espressioni di riconoscenza così calorose da convincermi della buona fede della sua gratitudine per me.
Perciò io usufruisco di tutta la sua influenza, che è enorme, e delle sue risorse, di cui capisci l'entità, come se fossero mie; e non mi pare che avrei potuto sventare in maniera diversa le manovre di un pugno di delinquenti a me ostili se non avessi ora integrato quei sussidi di cui ho sempre goduto con la benevolenza di chi oggi detiene il potere. A queste conclusioni sarei ugualmente arrivato (questa è almeno la mia sensazione) se ti avessi avuto al mio fianco; conosco infatti la sobrietà e la moderazione del tuo carattere, conosco i tuoi sentimenti, pieni di amicizia per me quanto privi di acrimonia per gli altri e al contrario nobili e generosi quanto contemporaneamente schietti e leali. Ho visto certuni comportarsi con te come tu li hai potuti vedere comportarsi con me; quel che ha turbato me sicuramente avrebbe turbato anche te. Tuttavia in qualunque circostanza f'utura avessi io la possibilità di consultarti, tu sarai la guida autorevole di ogni mio atteggiamento: tu che ti curasti della mia salvezza, sarai ugualmente il tutore della mia dignità di cittadino. Ti garantisco che mi avrai compagno e alleato per ogni tuo intervento, per ogni tua presa di posizone, per ogni tuo proponimento, insomma per ogni cosa; e per tutto il resto della mia vita sono fermamente intenzionato a fornirti ogni giorno di più l'opportunità di compiacerti con te stesso delle meravigliose prove di amicizia che mi hai dato. Mi chiedi di inviarti i miei lavori, quelli scritti dopo la tua partenza: ci sono alcuni discorsi, che darò a Menocrito per la consegna; ma non sono poi tanti, non aver paura! Ho anche scritto vedi bene che tendo in qualche modo a staccarmi dall'oratoria, per ricorrere invece a generi letterari più pacifici, che mi attraggono moltissimo, come già a cominciare dagli anni della mia prima gioventù; ho dunque scritto, alla maniera di Aristotele (per lo meno l'intenzione era quella) tre libri in forma di discussione e di dialogo sul tema dell'oratore, che ritengo non saranno privi di utilità per il tuo figliolo; evitano infatti la precettistica ordinaria e abbracciano tutta la teoria della retorica dei classici, ivi compresi Aristotele e Isocrate. Ho scritto anche in versi tre libri di carattere autobiografico (titolo: ‘I miei tempi’) che ti avrei spedito già da un pezzo se li avessi giudicati degni di pubblicazione: essi infatti sono e saranno testimonianza imperitura dei meriti tuoi verso me e della mia devozione. Ma mi facevo scrupolo, non già di nominare chi avrebbe poi potuto ritenersi diffamato (e in fatti in questo senso mi sono comportato con moderazione e diplomazia), ma di non poter citare una per una le infinite persone verso le quali ho un debito di riconoscenza per quanto hanno fatto. Ad ogni modo questi libri così come sono provvederò a farteli recapitare se troverò qualcuno a cui affidarli in tutta tranquillità. Questo aspetto della mia vita quotidiana lo offro interamente a te: quanto riuscirò a ottenere dalla letteratura e dagli studi, mio diletto antico, lo presenterò con tutta l'anima al tuo giudizio critico, che è sempre stato appassionato di queste cose.
Quanto a quello che mi scrivi sulle tue questioni familiari e quanto alle specifiche raccomandazioni che mi fai, me ne preoccupo a tal segno che ogni sollecitazione mi pare inutile: anzi, mi dispiace veramente che torni a chiedermene. Circa l'affare di mio fratello Quinto, tu mi scrivi di non aver potuto concludere nulla l'estate scorsa per la malattia che ti ha impedito di passare in Cilicia e che invece ora pensi di poterlo avviare definitivamente a conclusione: ebbene sappi che la natura di quest'affare è tale che mio fratello è convinto che con l'aggiunta di quel pezzo di terra gli avrai rimesso insieme il patrimonio. Vorrei che mi tenessi informato con la massima confidenza e con la maggiore frequenza possibili di tutto quel che ti succede e degli studi e dei progressi di scuola di Lentulo tuo, che è anche mio; e credi pure che nessuno mai è stato per un altro più caro e più gradito amico di quanto tu lo sei per me e che farò in modo che non solo tu te ne accorga, ma che tutto il mondo, che tutte le prossime generazioni lo comprendano. Appio prima lo andava dicendo in conversazioni private, poi ha detto apertamente in senato che se gli avessero consentito di far passare ai comizi delle curie una legge di ratifica della sua autorità proconsolare, avrebbe sottostato con il suo collega al regolare sorteggio per l'assegnazione delle rispettive province a fine mandato; se di questa legge non se ne fosse fatto nulla, avrebbe raggiunto un accomodamento con il collega e sarebbe stato il tuo successore nel governo della tua attuale provincia; ha aggiunto che per un console la sanzione di una legge curiata serviva, ma non era necessaria; concludendo infine che essendogli in ogni caso stata assegnata una provincia per decreto del senato, in forza della legge di Silla sull'ordinamento delle amministrazioni provinciali, egli a suo tempo avrebbe senz'altro mantenuta completa la propria autorità proconsolare fino al giorno in cui avesse rimesso piede dentro Roma. Ignoro che cosa ti scrivano i vari tuoi familiari e conoscenti stretti: so solo che i pareri divergono. C'è chi pensa che tu abbia tutto il diritto di mantenere la carica perché non si sta provvedendo alla tua successione per il tramite di una legge curiata; e c'è anche chi pensa che, se tu te ne vai, abbia comunque la possibilità giuridica di lasciare a un tuo rappresentante la responsabilità del governo della provincia. Io per me sono convinto, non tanto sul piano strettamente giuridico (benché non mi paia neppure che ci sia posto per troppi dubbi), quanto del fatto che sarebbe conforme all'elevatezza della tua posizione, alla tua statura di uomo politico, a quella tua generosità alla quale so bene che fai ricorso con estrema disponibilità, trasmettere senza alcuna dilazione le consegne al tuo successore, soprattutto perché non potresti contestargli la sua avidità senza incorrere tu stesso a tua volta nel medesimo sospetto.
Ritengo ad ogni modo mio dovere entrambe le cose: sia esprimerti la mia opinione, sia difendere eventualmente in futuro il tuo operato. Avevo già terminato di scrivere tutte le pagine che precedono, quando ho ricevuto la tua lettera sul problema degli appalti per la riscossione delle imposte: in essa non ho potuto fare a meno di apprezzare la tua obiettività. Mi piacerebbe che per una qualche fortunata combinazione tu fossi riuscito a non scontrarti con gli interessi o con le ambizioni di quel ceto che hai sempre onorato con il tuo comportamento. Certamente non desisterò dal difendere il tuo punto di vista; tuttavia tu ben conosci la tradizione di questa gente; sai con quanta tenacia osteggiarono più di mezzo secolo fa lo stesso illustre Q Muzio Scevola, quando era al governo dell'Asia; il consiglio mio, comunque, è che tu, se puoi trovare la strada giusta, o ti riconcilii o ti ammorbidisca questo ceto equestre; sarà magari una cosa difficile, ma mi sembra all'altezza della tua più che matura esperienza.