AD BRUTUM: TRADUZIONE DEL LIBRO 01; PARAGRAFO 15
Hai Messala.
Dunque, scritte queste lettere in maniera così accurata, posso proseguire al punto da esplicitare che cosa succeda e che cosa ci sia nello stato in maniera più approssimativa di quanto ti dirà lui che conosce benissimo tutte le cose e può ripetertele e raccontarle forbitissimamente? Vedi, Bruto, di considerare (sebbene non è necessario che io ti scriva le cose che ti sono note; ma tuttavia non posso passare sotto silenzio una grande eccellenza in tutte le cose), vedi di non credere che per onestà, costanza, zelo, attenzione allo stato ci sia qualcosa di simile, al punto che l’eloquenza, in cui eccelle in maniera straordinaria, sembra avere a malapena uno spazio di lode in lui; sebbene in questa appare di più la saggezza stessa, al punto che si esercitò con intenzione seria e molti artifici nella sincerissima arte di dire.
Tanto grande è la sua applicazione e tanto spesso fa nottate nello studio da sembrare che non debba essere considerata enorme la stima per l’intelligenza che in lui è grandissima.
[2] Ma sono spinto dall’amore.
Lo scopo di questa lettera non è quello di lodare Messala, soprattutto a Bruto a cui è nota non meno che a me la sua virtù e ancor più noti questi stessi studi che io lodo.
E pur sopportando a stento che lui si allontani da me, mi solleva questa sola cosa, il fatto che, venendo a te come ad un altro me stesso da una parte assolve a un dovere, dall’altro consegue la massima lode.
Ma basta con questi discorsi.
[3] Vengo ora, dopo un lungo intervallo a quella epistola in cui rimproveravi me, che attribuivo molti onori, una sola cosa, il fatto di essere troppo esagerato e quasi prodigo nel dispensare cariche.
Tu pensi questo; un altro, forse, il fatto che sono troppo duro nell’avversare e nella pena, se non per caso tu pensi entrambe le cose.
E se è così desidero che ti sia ben nota la mia opinione su entrambe le cose; non solo per usurpare un detto di Solone, che fu sia il più sapiente dei sette saggi e il solo, fra i sette, scrittore di leggi.
Quello disse che lo stato è contenuto da due principi, dal premio e dalla pena.
Certo, c’è la misura di entrambe le cose come di tutte le altre e una certa medierà nell’una e l’altra tipologia.
Ma non è mia intenzione parlare in questo luogo di una cosa tanto importante; [
4] non reputo estraneo confidarmi che cosa io abbia seguito in questa guerra nell’emettere giudizi.
Dopo la morte di Cesare e le vostre memorabili Idi di marzo, Bruto, non dimenticasti che cosa io dissi, di essere stato emarginato da voi e che sulla repubblica pendeva una grandissima tempesta.
Tramite voi era stata scacciata una grande pestilenza, era stata monellata una grande macchia del popolo romano, e invero vi furono impartiti onori divini, ma lo strumento del regno fu affidato a Lepido e Antonio, di cui l’uno è piuttosto inaffidabile, l’altro piuttosto cattivo, l’uno e l’altro timorosi di pace, nemici dell’ozio.
A loro che ardevano dal desiderio di sconvolgere lo stato non avevamo una difesa che poteva essere opposta; infatti la città si era risvegliata, unanime nel mantenere la libertà, [
5] io fui forse troppo netto, allora, voi, forse più saggi, vi allontanaste da quella città che avevate liberato e rifiutaste l’Italia che vi offriva i suoi aiuti.
Così vedendo che la città era gestita dai nemici della patria e che né tu né Cassio potevate essere al sicuro lì e che quella era stata oppressa da Antonio con le armi, pensai che mi conveniva andar via; la città oppressa dagli empi, tolta ogni possibilità di aiuto, è un brutto spettacolo.
Ma lo stesso animo che è sempre fisso al bene della patria non potè tollerare che io mi allontanassi dai suoi pericoli.
Così in mezzo alla navigazione achea, avendomi riportato in Italia, in quei giorni dei venti etesii, l’austro, quasi dissuasore del mio progetto, ti vidi a Velia e me ne rammaricai profondamente.
Infatti ti allontanavi, Bruto, ti allontanavi, perché i nostri Stoici dicono che ai sapienti non è lecito andar via.
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6] Quando venni a Roma, subito mi opposi alla violenza e alla follia di Antonio.
E avendolo aizzato contro di me, comincia a tessere piani quasi alla Bruto (infatti queste cose sono caratteristiche della vostra schiatta) per liberare la repubblica.
Devono essere omesse le lunghe cose che restano; riguardano infatti me; dico solo che quel Cesare adolescente, per mezzo del quale ancora esistiamo, se vogliamo dire il vero, fluì dalla fonte dei miei consigli.
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7] Bruto, non furono ottenuti da me nessun tipo di onori se non dovuti, nessuno se non necessari.
Non appena infatti cominciammo a richiamare la libertà, non avendoci ancora la divina virtù di Decimo Bruto stupito al punto da poter conoscerla, ed essendo ogni presidio in quel ragazzo che aveva stornato Antonio dalla nostra testa, quale onore non gli sarebbe dovuto essere concesso? Eppure, io gli attibuii allora una piccola lode di parole, decretai anche l’imperio; cosa che, sembrasse esagerato a quell’età tuttavia era necessario per chi aveva l’esercito.
Quale esercito esiste senza un capo.
Filippo decretò la statua, prima Servio, e poi anche Servilio una maggiore velocità di candidatura.
Niente allora sembrava abbastanza.
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8] Ma non so come si trovano più facilmente uomini benigni nella paura che grati nella vittoria.
Io, dunque, liberato Decimo Bruto, essendo quel giorno sorto favorevolissimo per la città ed essendo per caso il compleanno di Bruto, decretai che il nome di Bruto fosse scritto nei fasti a quel giorno, e in ciò seguii l’esempio degli antenati che attribuirono questo onore ad una donna, a Larenzia, sull’altare di cui voi pontefici siete soliti fare il sacrificio nel Velabro.
E io, mentre concedevo questo a Bruto volevo che fosse nota nei fasti la data eterna di una grandissima vittoria.
E in quel giorno mi accorsi che in senato ci sono più invidiosi che grati.
In quegli stessi giorni profusi, se così vuoi dire, onori nei confronti dei morti, Irzio e Pansa e anche Aquila.
E chi può biasimare ciò se non chi, messa da parte la paura, sarà dimentico del pericolo antico? [
9] Si aggiungeva al gradito ricordo del beneficio la motivazione che potesse essere d’esempio anche ai prossimi.
Volevo mostrare gli ammonimenti eterni dell’odio pubblico contro nemici crudelissimi.
Sospetto che ciò sia da te approvato meno di quanto fu approvato dai tuoi famigliari, uomini famosi, validi, certo, ma duri nei confronti della repubblica il fatto che fosse lecito a Cesare entrare come se facesse una ovazione.
Mi sembra che io non abbia capito nulla in maniera più attenta di questa guerra (ma forse sbaglio e tuttavia non sono tale che le mie cose mi piacciano sempre).
Non bisogna spiegare perché sia così affinché non sembri che io sia stato più calcolatore che grato.
Di questa cosa ho parlato abbastanza, perciò vediamo altre cose.
Ho decretato onori a Decimo Bruto, li ho decretati a Lucio Planco.
Sono certo belle teste che sono stimolate dalla glria, ma anche il senato è stato saggio perché usa qualunque cosa, solamente onesta ritenga poter essere addotta per giovare allo stato.
Ma siamo criticati nei confronti di Lepido a cui, dopo aver fatto erigere una statua nei rostri, proprio noi gliela togliemmo.
Noi intendemmo richiamarlo dalla pazzia con l’onore.
La stoltezza di quell’uomo davvero dappoco vinse la nostra prudenza, e tuttavia accadde tanto male nell’innalzare la statua di Lepido quanto bene nel toglierla.
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10] Ho detto a sufficienza molte cose sugli onori; ora bisogna dire poche cose riguardo alla pena.
Infatti ho arguito dalle tue lettere che tu volevi che fosse lodata la tua clemenza nei confronti di quelli che hai vinto in guerra.
Credo certo che da te non ci venga nulla se non in maniera saggia; ma tuttavia omettere la pena del delitto (cioè ciò che si chiama perdonare), anche se in altre situazioni è tollerabile, in questa guerra lo considero pernicioso.
Infatti nel nostro stato non ci fu nessuna guerra civile fra tutte quelle che ci furono a mia memoria, in cui, qualunque delle due parti abbia vinto, tuttavia ci sarebbe stato una qualche forma di repubblica.
Non potrei dire facilmente quale repubblica staremo per abitare se vincitori di questa guerra, se vinti certamente non ci sarà mai nessuna repubblica.
Ho proposto dunque sentenze severe contro Antonio, le ho proposte severe contro Lepido e non tanto per vendicarmi quanto per scoraggiare con la paura nel presente i cittadini scellerati dall’attaccare la patria e nel futuro a porre un documento affinché nessuno voglia imitare una simile follia.
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11] Eppure questa opinione non è stata più mia che di tutti gli altri.
E in essa sembra che sia crudele il fatto che giunse una punizione ai figli che non fecero nulla.
Ma è cosa antica e propria di tutte le città, se certo anche i figli di Temistocle patirono la povertà, e se questa stessa pena punisce i cittadini condannati in giudizio, avremmo potuto essere più miti contro i nemici? Perché può lamentarsi di me uno che, se avesse vinto, avrebbe creduto che fosse necessario essere più duro nei miei confronti? Hai la spiegazione delle mie opinioni riguardo a questa questione, almeno della carica e della pena; infatti credo che tu abbia già sentito che cosa io pensi e creda riguardo alle altre cose.
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12] Ma queste cose non sono così importanti, è veramente necessario questo, Bruto, che tu venga quanto prima in Italia con l’esercito.
C’è una grandissima attesa di te.
E quindi, se attraccherai in Italia, ci sarà la venuta incontro a te di tutti.
Se avremmo vinto, noi che avevamo già vinto in maniera certo meravigliosa se Lepido non avesse voluto rovinare tutte le cose e morire lui stesso con i suoi, abbiamo bisogno della tua autorità per rimettere a punto un certo modo di essere della città; se anche ora c’è ancora battaglia, c’è la massima speranza tanto nella tua autorevolezza quanto nelle forze del tuo esercito.
Ma affrettati, per gli dei! Sai quanta importanza sia nel momento opportuno, quanto nella velocità.
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13] Spero che tu saprai dalle lettere di tua madre e di tua sorella quanto bene mi occupo dei figli di tua sorella.
E in questa situazione io ho maggior rispetto della tua volontà che mi è carissima piuttosto che, come sembra a qualcuno che io faccia, della mia coerenza.
Ma io preferisco essere e sembrare coerente in nulla più che nel volerti bene.