Traccia svolta Tipologia A 2 su Sciascia ed Il giorno della civetta | prima prova maturità 2019

Traccia svolta dai tutor di Studenti.it sulla tipologia A2 su Sciascia ed Il giorno della civetta proposta dal Miur per la prima prova della maturità 2019

Traccia svolta Tipologia A 2 su Sciascia ed Il giorno della civetta | prima prova maturità 2019
ansa

TRACCIA SVOLTA SU SCIASCIA ED IL GIORNO DELLA CIVETTA

1. Sintetizza il contenuto del brano, individuando quali sono le ricostruzioni del capitano e le posizioni degli interlocutori.
Il brano riporta il dialogo, avvenuto in caserma, tra il capitano Bellodi, protagonista del romanzo, e i familiari e soci di Salvatore Colasberna, piccolo imprenditore edile, ucciso per non aver ceduto al ricatto della mafia.
Le ricostruzioni del capitano muovono da uno scetticismo riguardo alle lettere anonime. Sono troppe e le informazioni che forniscono sono insensate. Per dare inizio alle indagini, sostiene, «la traccia buona» è un’altra: il lavoro della vittima, l’imprenditoria edile e le spietate leggi della concorrenza. Bellodi non ha prove, ma sostiene di avere informazioni sicure riguardo al funzionamento di un’associazione illecita, che fornisce alle ditte protezione, informazioni, supporto materiale e logistico e che estromette, eventualmente con la violenza, chi non si piega alle regole del gioco.

Sciascia
Fonte: ansa

Sebbene Bellodi offra ai suoi interlocutori la possibilità di intendere fra le righe il significato della sua ricostruzione («voi mi capite», «voi capite»), la posizione dei familiari e dei soci della vittima rimane sempre la medesima, evasiva e costantemente volta a non fornire alcuna collaborazione dialogica. Tuttavia, questa evasività assume forme diverse durante dialogo. Dapprincipio, ha un accento possibilista rispetto alle ipotesi inconsistenti avanzate dalle lettere anonime («Cose da pazzi», «Può essere»). Bruscamente, non appena il capitano introduce la questione degli appalti, assume le fattezze di un’esplicita negazione («Non può essere»). Infine, si conclude con una dichiarazione di ignoranza («di queste cose non sappiamo niente») che delegittima la pertinenza delle ricostruzioni di Bellodi negandogli addirittura lo statuto di diceria («Non le ho mai sentite queste cose»).

2. La mafia, nel gioco tra detto e non detto che si svolge tra il capitano e i familiari dell’ucciso, è descritta attraverso riferimenti indiretti e perifrasi: sai fare qualche esempio?
La prima allusione che Bellodi fa all’associazione mafiosa ne fornisce un ritratto significativo. Si tratta di «gente che non dorme mai», di persone cioè costantemente dedite a traffici e scambi, ma anche solite vivere la notte, agire non viste, al di fuori dello spazio pubblico. Questa gente fornisce dei servizi (protezione, supporto, informazioni, controllo) e agisce sistematicamente. Perciò è un’associazione, e non un gruppo informale. Bellodi lascia così intendere che l’azione della mafia sia orientata a uno scopo, dotata di un vasto raggio e di una certa struttura organizzativa. Le ditte che si affidano ai servizi di questa associazione fanno a loro volta consorzio, come satelliti dell’azione malavitosa. Chi non si piega a questa dinamica rimane escluso dal gioco ed è costretto o a rientrarvi o ad uscirvi definitivamente.

3. Nei fratelli Colasberna e nei loro soci il linguaggio verbale, molto ridotto, è accompagnato da una mimica altrettanto significativa, utile a rappresentare i personaggi. Spiega in che modo questo avviene.

Il linguaggio di Giuseppe Colasberna, unico interlocutore di Bellodi nel brano considerato, è estremamente laconico.

Le risposte sono brevi e secche. In realtà, anche da un punto di vista mimico-espressivo gli interlocutori rimangono evasivi. Pochi sguardi, rari gesti. Lo dimostra ulteriormente l’espressione scelta da Sciascia per indicare, complessivamente, il loro atteggiamento espressivo («il fratello e i soci fecero mimica»). La laconicità di questa mimica è comunque significativa di un atteggiamento consensuale all’interno del gruppo e fortemente diffidente verso l’esterno, in particolare verso il capitano. Prima di rispondere verbalmente i soci e il fratello della vittima si consultano rapidamente, ma solo con attraverso lo sguardo. Le risposte sono quindi previste e predeterminate, pronte ad essere recitate alla minima occhiata. Quando Giuseppe Colasberna fa professione di ignoranza riguardo alle ricostruzioni del capitano, i soci annuiscono concordi «con facce stralunate», a rimarcare la loro completa estraneità alle informazioni appena ricevute, se non, addirittura, l’assurdità di queste. In conclusione, i soci danno segno di «approvazione» alle risposte fornite da Colasberna, rinsaldando il chiuso atteggiamento del gruppo.

 

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4. A cosa può alludere il capitano quando evoca «qualche fatto» che serve a persuadere tutte le aziende ad accettare la protezione della mafia?
Il capitano allude probabilmente a qualche episodio di intimidazione. Per convincere le aziende a pagare il pizzo in cambio della “protezione”, infatti, la mafia ricorre a minacce e atti di violenza.

5. La retorica del capitano vuole essere persuasiva, rivelando gradatamente l’unica verità possibile per spiegare l’uccisione di Salvatore Colasberna, attraverso quali soluzioni espressive (ripetizioni, scelte lessicali e sintattiche, pause ecc.) è costruito il discorso?
Il capitano procede nel suo discorso per gradi. Non svela subito quel che sa. Presenta le diverse ipotesi una alla volta, aspettando di vedere le reazioni dei suoi interlocutori e forse sperando che si contraddicano tra loro. Concede loro degli appigli, per poi subito confutarli. Forse è stato un errore – dice. «Può essere» risponde Giuseppe Colasberna. «Non può essere», risponde il capitano, spiegando poi perché e introducendo rapidamente l’elemento che gli interessa: gli appalti e gli interessi delle ditte. Così facendo coglie alla sprovvista gli interlocutori che subito negano: «Non può essere», confermandogli così di aver colto nel segno, di aver individuato la «traccia buona». Da allora in poi, infatti, Colasberna e i soci continueranno a negare di saperne qualcosa, ma mostreranno segni di crescente agitazione (le «facce stralunate») apparendo così sempre meno credibili. Più che persuaderli, il capitano vuole coglierli in fallo e perciò adotta la strategia retorica di non svelare da subito quel che sa e di attendere che reagiscano, in modo via via più confuso.

Interpretazione
Se nel brano si contrappongono effettivamente una cultura dell’onestà e della trasparenza (come si dice oggi) da una parte e una cultura dell’omertà, dall’altra, quel che è interessante notare nel dialogo tra il capitano e Giuseppe Colasberna è che per smascherare i comportamenti omertosi occorre saperne sfruttare la logica.

Il capitano mostra una certa astuzia retorica: dice e non dice, anche lui è capace – forse addirittura meglio dei suoi interlocutori – di nascondere quel che sa per volgere il discorso a proprio vantaggio. Sa parlare il loro linguaggio e non oppone all’omertà una ingenua onestà o sincerità, bensì una perizia discorsiva.
Tuttavia, nel brano non si contrappongono solo l’onestà e l’omertà e il capitano non è solo un retore. Egli oppone all’evasività delle risposte di Colasberna un argomentare rigoroso basato sull’indizio probante (la «traccia buona») e un atteggiamento razionalista (esemplificato nella frase «Sì che può essere […] e vi dirò perché e come»). Il capitano non ha prove, ma è capace di costruire un argomento razionale sulla base di informazioni sicure. Accanto all’opposizione tra trasparenza e inganno, allora, si può leggere nel brano di Sciascia anche una contrapposizione di stampo illuminista tra la ragione pubblica e gli interessi privati.

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