Traccia svolta Tipologia A 2, analisi del testo Nedda di Verga prima prova maturità 2022

Traccia svolta Tipologia A 2, analisi del testo Nedda di Verga prima prova maturità 2022: come rispondere alle domande e come fare il commento alla novella

Traccia svolta Tipologia A 2, analisi del testo Nedda di Verga prima prova maturità 2022
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TRACCIA SVOLTA: ANALISI DEL TESTO NEDDA DI VERGA

Traccia svolta Tipologia A, analisi del testo Nedda di Verga prima prova maturità 2022
Fonte: ansa

Una delle due analisi del testo della prima prima prova di maturità 2022 era proprio un testo di Giovanni Verga, che di diritto era già entrato nel totoautore del 2022 a causa dell'importante anniversario dei 100 anni dalla morte. La traccia ufficiale del Ministero dell'Istruzione era composta da 5 domande e dal commento alla novella, in cui si chiedeva agli studenti di approfondire il tema degli ultimi in correlazione al Ciclo dei vinti di Verga. Nei giorni successivi non sono mancate però le polemiche.

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Di seguito la traccia svolta da un nostro tutor.

ANALISI NEDDA DI GIOVANNI VERGA

La novella Nedda di Giovanni Verga viene pubblicata per la prima volta nel 1874, e quindi offerta al pubblico di un’Italia ancora giovanissima e reduce dai turbolenti anni dell’Unificazione. Per la prima volta in un’opera dello scrittore catanese si affacciano i temi e i personaggi che, una volta che sarà definitivamente approdato al Verismo, caratterizzeranno la sua opera. Protagonista della novella è una povera donna siciliana di nome Nedda. Di lei Verga ci dà una descrizione fisica che, allo stesso tempo però, è anche lo specchio della difficile situazione economica e sociale che è costretta a vivere. Il ritratto che l’autore propone, infatti, è quello di una donna la cui personalità è sconvolta dal peso dei lavori usuranti fatti sotto il sole cocente del meridione. Il suo carattere, ruvido e chiuso, è condizionato dalla sua condizione di miseria e d’isolamento, esattamente come lo è il suo aspetto fisico. È su questo che l’autore si concentra in maniera particolare nella sua descrizione, perché è proprio sul corpo che gli effetti del lavoro duro e della costante situazione d’indigenza si fanno avvertire in maniera più evidente e immediata. Verga descrive quindi un volto che avrebbe potuto essere bello e un corpo che avrebbe potuto essere aggraziato se non fossero stati modificati profondamente dalla condizione di miseria, e delle mani che sono invece incallite e ingrossate dalle fatiche dei campi. Il ritratto che ne vien fuori non è netto, ma anzi si muove in maniera vaga proprio giocando su ciò che Nedda avrebbe potuto essere, avrebbe potuto apparire ma, purtroppo non è. La descrizione fisica, però, è solo la porta che apre a un ritratto anche emotivo del personaggio che ha l’obiettivo di farlo apparire più famigliare al lettore: i capelli neri ma arruffati, i denti bianchi come l’avorio, gli occhi vispi, tendenti all’azzurro, ma connotati di tristezza, ogni elemento del viso di Nedda rimanda a un qualche aspetto positivo, a una bellezza che non è soltanto estetica, ma è anche spirituale, ma che si rovina nell’abbrutimento in cui è costretta a vivere.

L’età di Nedda è indefinibile, tanto il suo corpo risente della fatica dei campi, ulteriore elemento che pone il ritratto della protagonista su un piano che, a dispetto della ruvidezza della narrazione, ha una dimensione più simbolica che cronachistica. La vita di Nedda è dura, durissima. Al punto che anche un lavoro usurante come quello della raccolta di olive viene vissuto come un momento leggero, quasi di festa, perché è comunque molto meno pesante degli altri lavori che è costretta a fare. Il ritratto di Nedda si chiude con l’ultima informazione che Verga ci fornisce, cioè sul fatto che la protagonista è figlia di una miseria antica, la stessa che hanno subito quindi sua madre e sua nonna. La descrizione fin qui fornita esula dalla dimensione strettamente fisica per trascendere in una dal valore più nettamente simbolico, con una forte valenza emotiva. E l’allusione alle progenitrici di Nedda, anch’esse assegnate dal destino ad una vita di stenti e miseria, ha proprio la funzione di chiudere il ritratto segnando questa sua valenza sociale: quella di Nedda è una situazione comune, normale nella Sicilia dell’epoca, in cui la povertà si tramanda da generazioni come una malattia che la nuova Italia dovrebbe intervenire e curare. La descrizione delle dinamiche sociali in cui Nedda si trova immersa, e anche la sua profondità psicologica, emergono nella descrizione degli eventi legati alla morte del suo compagno Janu e alla nascita della loro figlia dopo la morte di lui. Janu, come Nedda, ha una vita segnata dalla miseria e dalla costrizione al lavoro; un giorno, pur essendo malato di febbre, va comunque in cantiere, sale su una scala e, colto da un malore, cade rompendosi la testa, una ferita che ne provoca la morte il giorno successivo; la morte di Janu si accompagna alla scoperta della gravidanza. In una società fortemente patriarcale come quella della Sicilia dell’epoca il fatto di essere vedova e incinta comporta l’emarginazione di Nedda da qualunque ambito lavorativo: i suoi vecchi datori di lavoro le ridono in faccia ogni volta che lei cerca da lavorare, l’allontanano e la umiliano. Dinamiche che ci riportano alla triste realtà dei lavori a giornata, e della necessità, per una donna, dell’essere legata a un uomo per essere riconosciuta e avere un qualche sostentamento. Questi due avvenimenti, infatti, segnano definitivamente la vita di Nedda che diventa a tutti gli effetti un’emarginata, costretta a vivere dapprima dei suoi pochi risparmi e poi della carità di uno zio. Una situazione di miseria che trova il suo tragico epilogo quando Nedda partorisce una bambina rachitica: già il fatto di essere una donna avrebbe costituito una grossa difficoltà per farle trovare lavoro, ma il fatto di essere nata con gravi problemi di salute rendeva il tutto insostenibile, e perciò decide di abbandonare la figlia. Questo tragico racconto ha molte caratteristiche che lo possono ricondurre nell’alveo della corrente verista, e infatti molta parte della critica letteraria ha per lungo tempo indicato nella novella Nedda il primo esempio di verismo verghiano.

Effettivamente l’attenzione per gli umili, per le situazioni di estrema povertà, l’ambientazione siciliana e l’uso di un lessico umile, quando non proprio basso, sembrano indirizzare Nedda all’inclusione nella letteratura verista. Dal punto di vista della costruzione della fabula, inoltre, c’è da dire che essa procede, e in questo è paragonabile alle storie del Ciclo dei vinti, verso una totale e irreversibile rovina della protagonista: Nedda, che già parte da una situazione di enorme svantaggio ed emarginazione, viene colpita dal destino fino al punto di perdere tutto, anche quel poco che ha. Tuttavia non si può dire che questa novella possa essere inserita a pieno titolo nel verismo, giacché sono molti i punti che la differenziano da quelli che sono i canoni tipici di questa corrente. Anzitutto il tono fortemente patetico usato da Verga e che contraddice una delle caratteristiche principali del verismo, cioè quella dell’assenza dell’autore che si traduce in un distacco dal racconto, in una non partecipazione dell’autore alle vicende dei protagonisti, cosa che è evidente proprio nei racconti del Ciclo dei vinti. La dimensione sociale è fortemente presente nel Verismo, ma essa non concretizza in una partecipazione patetica dell’autore che, invece, adotta uno stile impersonale. Altra importante distinzione è data dal piano linguistico: Nedda è una novella scritta in italiano, certamente umile come si è detto, privo di toni aulici, ma pur sempre italiano. Nel Verismo invece abbondano i sicilianismi, i regionalismi, le forme dialettali si ibridano con l’italiano, un espediente che cala il lettore nella realtà linguistica dei protagonisti. Perciò si può dire che Nedda sia un introduzione, un preambolo al Verismo verghiano pur senza appartenere pienamente a quell’esperienza.

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