Totò Riina: chi è, cosa ha fatto e come fu arrestato

Totò Riina, noto come il capo dei capi: la storia del famoso boss mafioso, dalla guerra di mafia alle stragi, fino all'arresto

Totò Riina: chi è, cosa ha fatto e come fu arrestato
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Totò Riina: chi era il capo dei capi: dalla guerra di mafia all'arresto

Totò Riina
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Totò Riina, all’anagrafe Salvatore Riina, è stato il capo assoluto di Cosa nostra dal 1982 al 1993, anno del suo arresto. Mafioso e terrorista, si ritiene sia stato di fatto in controllo delle famiglie fino alla morte, tramite il reggente Bernardo Provenzano. Soprannominato il capo dei capi e la belva, è considerato il più pericoloso e sanguinario mafioso di sempre.

Chi era Toto Riina

Nato a Corleone il 16 novembre 1930, Totò Riina ha visto morire il padre Giovanni e il fratello minore Francesco in un’esplosione. Deceduti a causa di un vecchio ordigno americano dei tempi della guerra. Una tragedia consumatasi a causa del tentativo di aprire l’oggetto, al fine di rivenderne metallo e polvere da sparo.

Disturbato, abituato a ingegnarsi per sopravvivere e privo di una figura paterna, da giovane Totò Riina si è avvicinato alla figura di Luciano Liggio. Questi era un ben noto malavitoso locale, affiliato a Michele Navarra, vero e proprio boss della zona. È stata questa la scelta che ha segnato la sua vita. Un bivio che ha di fatto contraddistinto la storia moderna italiana.

Violento come pochi, a 19 anni ha ucciso un suo coetaneo, tale Domenico Di Matteo, nel corso di una rissa. Ciò gli è valso la sua prima incarcerazione, con condanna (scontata in parte) a 12 anni. Nel 1974, a 44 anni, ha sposato la sorella minore del mafioso Leoluca Bagarella. Il suo nome era Ninetta Bagarella, divenuta poi madre dei suoi quattro figli: Maria Concetta, Giovanni, Giuseppe e Lucia.

L'ingresso in Cosa Nostra

La condanna a 12 anni viene scontata in parte e nel 1956 è stato liberato. Due anni dopo, nel 1958, prende parte alla sanguinosa guerra scatenata dal suo mentore Luciano Liggio. Questi ha eliminato il boss Navarra, scagliandosi poi contro tutti i suoi ex uomini. Al suo fianco una banda assetata di sangue, soldi e potere, della quale faceva ovviamente parte Totò Riina.

Il nuovo arresto di quest’ultimo non tarda ad arrivare. Nel 1963 viene prelevato a Corleone, finendo per alcuni mesi all’Ucciardone, dove conosce Gaspare Mutolo. Devono però liberarlo per insufficienza di prove e, ancora al fianco di Liggio, si trasferisce a Bitonto, in provincia di Bari.

L’ordinanza di custodia cautelare viene emessa dal tribunale di Palermo per Riina e Liggio ma soltanto il primo torna a Corleone. Arrestato e sottoposto a misura di soggiorno obbligato a San Giovanni in Persiceto. Una volta scarcerato, con fogli di via obbligatorio, non si è mai recato nel luogo indicato. Di fatto dà inizio alla sua latitanza.

Sempre più un personaggio importante in Cosa Nostra, fa parte del gruppo di esecutori materiali della strage di Viale Lazio nel 1969. Una punizione contro il boss Michele Cavataio. Assapora il potere ed è chiaramente il vice di Liggio, che gli consente di sostituirlo in varie occasioni al “triumvirato” provvisorio con i boss Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti. Ha con loro discusso dei metodi per riuscire a limitare gli scontri tra famiglie.

Totò Riina è sempre stato un sanguinario pronto a sporcarsi le mani.

Nel 1971 è esecutore materiale dell’omicidio di Pietro Scaglione, procuratore. Prende parte inoltre a dei sequestri ordinati da Liggio, come quello di Antonino Caruso, figlio dell’industriale Giacomo Caruso, a scopo estorsivo. Il 1974 è l’anno della sua consacrazione. Diventa reggente della cosca di Corleone in seguito all’arresto di Liggio.

Le guerre di mafia

Nella prima parte degli anni ’80 è stato proprio Totò Riina a dare l’ordine di uccidere Giuseppe Panno, al tempo capo della cosca di Casteldaccia. In seguito è stato ucciso anche il boss Salvatore Inzerillo. Tutto parte del suo piano di presa del potere assoluto. I due erano infatti connessi a Bontate, il che ha portato alla seconda guerra di mafia.

Un bagno di sangue, caratterizzato da più di 200 morti. Mafiosi uccisi soprattutto nella fazione Badalamenti-Bontate-Inzerillo. Un trionfo assoluto che porta nel 1983 all’insediamento di una nuova Commissione, stavolta composta soltanto da capimandamento legati a Riina e Provenzano. Alla guida c’è il capo dei capi, che guarda oltre Cosa Nostra e mira alla politica. Si lega ad alcune figure dello Stato, divenendo loro braccio armato, ma non solo. Nel 1979 viene ucciso Michele Reina, segretario provinciale della Democrazia Cristiana. Nel 1980 invece viene ammazzato Piersanti Mattarella, presidente della Regione (fratello del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella). Nel 1982 invece la stessa sorte è toccata a Pio La Torre, segretario regionale del PCI.

Gli attentati

Era lunga la lista dei nemici da uccidere, nella quale rientravano anche i giudici Falcone e Borsellino, legati al maxiprocesso. Questa fase della nostra storia è nota come la “stagione delle stragi”. Nel mirino nemici di ogni sorta, da mafiosi a politici ritenuti non rispettosi dei patti stabiliti. Tutto è deciso da Riina, nonostante il disaccordo di alcuni nomi importanti di Cosa Nostra.

Tra i legami politici ben noti c’erano quelli con Vito Ciancimino e Salvo Lima. Quest’ultimo è stato ucciso nel 1992. Sorte toccata poco dopo a Ignazio Salvo. Fondamentale il pentito Tommaso Buscetta nello svelare alcuni segreti delle cosche mafiose.

Riina il sanguinario è però pronto a tutto per mettere a tacere chiunque possa remargli contro in maniera dolorosa. Dà così il via alle ritorsioni contro le famiglie dei pentiti, senza risparmiare donne e bambini.

L'arresto

Il 15 gennaio 1993 Totò Riina è stato arrestato dalla squadra speciale dei Ros, guidata da Sergio De Caprio, per tutti Capitano Ultimo. Il covo del capo dei capi è stato svelato dal collaboratore Balduccio Di Maggio, che ha parlato di una villa con palme, a Palermo, in una strada incrociata con via Bernini.

Di fatto la sua latitanza è durata più di 20 anni, a partire dal 1969. Bloccato in auto con il suo autista, Salvatore Biondino. A marzo 1993 ha fatto la sua prima apparizione pubblica dopo l’arresto, impegnato in un’udienza per gli omicidi Mattarella, Reina e La Torre.

L’operazione che ha condotto al suo arresto era stata denominata “operazione belva”. In 30 anni sono stati svariati i dubbi sollevati in merito alle modalità e alle ore successive l’arresto.

La presa in consegna di Riina è avvenuta senza spargimenti di sangue. In seguito, però, è stato consigliato a Luigi Patronaggio, procuratore di turno, e Gian Carlo Caselli, nuovo designato giunto a Palermo, di non recarsi nella casa del boss.

Si sperava di riuscire a beccare altri suoi fedelissimi. Una teoria azzardata, a dir poco, considerando come tutt’Italia sapesse dell’arresto poche ore dopo, già alle 11.25 del mattino. Di fatto l’abitazione è stata perquisita soltanto il 3 febbraio 1993, da quel 15 gennaio. Tutto era sparito, compreso il contenuto della cassaforte e di una stanza segreta con accesso tramite una botola.

La condanna

Totò Riina ha sempre negato tutto, anche solo di far parte di Cosa Nostra, figurarsi di dirigerla. Rinchiuso in carcere, presso l’Asinara in Sardegna, da dicembre 1995. Trasferito poi ad Ascoli Piceno, dov’è rimasto per tre anni in regime di carcere duro. Nel 2001 gli è stato poi revocato l’isolamento, consentendogli contatti con altri detenuti nell’ora di libertà.

Nel 1994, raggiunto da un giornalista, ha minacciato l’allora procuratore capo di Palermo, Giancarlo Caselli, così come altri rappresentanti delle istituzioni e del mondo della cultura. Tutti complici, a suo dire, di un complotto comunista. Ha trascorso in totale 24 anni in carcere, in seguito a una somma di condanne pari a 26 ergastoli.

Gli ultimi anni

Gli ultimi anni di vita sono stati trascorsi in condizioni fisiche precarie, a dir poco. I suoi avvocati hanno a lungo tentato di far valere ciò per ottenere condizioni migliori. Si era certi, però, che a capo di Cosa Nostra ci fosse ancora lui, e che dunque sarebbe stato estremamente rischioso consentirgli di vivere al di fuori di un penitenziario. Nel 2017 i suoi avvocati hanno fatto richiesta al tribunale di sorveglianza di Bologna per il differimento della pena. L’obiettivo era quello di ottenere gli arresti domiciliari. La motivazione alla base era il suo stato di salute precario. A luglio di quell’anno il tribunale ha negato tale possibilità. Trasferito presso l’ospedale Maggiore di Parma, è stato sottoposto a due interventi chirurgici, per poi entrare in coma l’11 novembre.

La morte

Totò Riina è morto il 17 novembre 2017, alle ore 3.37. Aveva 87 anni, compiuti il giorno precedente, in stato di totale incoscienza. In seguito al decesso, la Procura di Parma ha disposto l’autopsia del corpo, così da escludere eventuali casi di omicidio colposo o doloso. Stabilità la morte per cause naturali, Totò Riina è stato trasferito a Corleone, dov’è sepolto.

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