Test Architettura 2018-2019: quiz di Logica e Cultura generale

Domanda 18 di 22

Brano 1: Uno dei più chiari indicatori del declino del ruolo medievale dei pigmenti come esibizione di opulenza è l’uso dell’oro. La doratura è chiaramente non naturalistica: la foglia d’oro stesa su una superficie piatta non assomiglia affatto a un oggetto d’oro tridimensionale. L’Alberti avverte che il suo aspetto cambia a seconda di come riflette la luce: «…si può uedere anchora, posto l’oro in una tavola piana, come parecchie superficie, lequali bisognaua rappresentare chiare, et lucide, paiono oscure a chi le guarda. Alcune altre, lequali perauentura deueuano essere più ombrose si mostrino più ripiene di lumi». Egli esorta quindi il pittore a rendere le superfici dorate, come i broccati, usando pigmenti e abilità, non il metallo…«essendo maggiore ne i colori la marauiglia, et la lode dell’artefice». È affascinante seguire il declino della doratura durante il XV secolo. Un curioso esempio di transizione tra i fondi oro medievali e il successivo uso più naturalistico dell’oro è costituito dalla Conversione di sant’Uberto (seconda meta del XV secolo) della bottega del Maestro della Vita della Vergine di Colonia. Qui si trova un “cielo” dorato, giustapposto a un tentativo di paesaggio naturalistico (benché il pittore non condivida affatto l’attenzione minuziosa di Leonardo per la natura e sembri aver appreso la prospettiva aerea – l’azzurramento delle colline in lontananza – da un manuale). Nella Madonna con quattro santi (1446) del veneziano Antonio Vivarini in collaborazione con Giovanni d’Alemagna, per l’aureola della Madonna e in parte per il broccato dei manti viene usato l’oro, ma il trono e le pareti tappezzate sono resi con pigmenti gialli, in modo così abile che l’occhio ne è quasi ingannato. La maestria dell’artista sta già prendendo il sopravvento sul valore dei materiali. Nell’Adorazione dei Magi (1510-1515) di Vincenzo Foppa, alle corone dei re è ancora attribuita la doratura esaltata dalla velatura rossa, ma il resto segue lo stile rinascimentale. E l’Annunciazione con sant’Emidio (1486; tav. 5.6) di Carlo Crivelli offre una prospettiva ineccepibile, quasi pedante, e un uso ricco e variato del colore… tuttavia il fascio di luce che dal cielo colpisce la fronte della Vergine è in foglia d’oro; qui il carattere non naturalistico della doratura serve a ricordare che il raggio celeste è ultraterreno. È come il colpo di coda del Medioevo, prima che l’esperienza umana sostituisse l’autorità divina come guida e mentore dell’artista. Man mano che i materiali perdevano la loro connotazione simbolica, le scelte coloristiche del pittore divenivano puramente finanziarie. I listini prezzi delle spezierie – i principali fornitori di pigmenti all’inizio del XVI secolo – forniscono una valida indicazione del perché alcuni colori fossero preferiti ad altri. Nel 1471, a Firenze, Neri di Bicci pagò della buona azzurrite due volte e mezzo più di un buon verde («verde-azzurro», probabilmente malachite), una buona lacca rossa e una fine lacca gialla («arzicha»). Il giallolino (da lui chiamato «giallo tedescho», probabilmente giallo di piombo/stagno) costava dieci volte meno dell’azzurrite, e la biacca addirittura cento volte meno; l’oltremare, a sua volta, era dieci volte più caro dell’azzurrite. Le differenze di prezzo erano quindi enormemente maggiori di quelle che un pittore troverebbe oggi… senza dubbio con un’incidenza proporzionale sulla scelta dei colori. (PHILIP BALL, Colore. Una biografia, Milano, 2001).