Seconda rivoluzione industriale: tesina

Tesina sulla Seconda rivoluzione industriale per la terza media: spiegazione, protagonisti, collegamenti con le materie per un percorso completo

Seconda rivoluzione industriale: tesina
getty-images

La società industriale

Seconda rivoluzione industriale
Fonte: getty-images

II fenomeno dell'industrializzazione, iniziato nel Settecento, si era esteso nel corso dell'Ottocento a diversi Paesi d'Euro­pa e agli Stati Uniti, delineando le caratteristiche fondamen­tali della società nella quale viviamo ancora oggi.

Se in pre­cedenza i protagonisti dell'economia erano stati l'agricoltura, l'artigianato, le piccole industrie, adesso la base dello sviluppo economico divenne la grande industria. Questo portò a im­portanti mutamenti nella società e nella cultura. I più rilevanti furono i seguenti:

  • lo sviluppo di industrie, commerci e banche accrebbe l'im­portanza della borghesia, che assumeva un peso politico sempre maggiore;
  • con il moltiplicarsi delle fabbriche, si formò una nuova clas­se costituita dagli operai, e che rivendicava migliori condizioni di vita e maggiore partecipa­zione politica;
  • furono quindi fondati partiti e associazioni (come i sindacati) che intendevano tutelare le masse di lavoratori;
  • nacquero teorie che puntavano a dare una spiegazione generale e unitaria dei feno­meni politici ed economici, la più importante delle quali fu il marxismo.

La nascita delle fabbriche

Con la rivoluzione industriale, il lavoro delle macchine iniziò a sostituire quello dell'uomo. Le macchine, naturalmente, erano molto più rapide degli operai: di con­seguenza la produzione aumentò grandemente, mentre diminuiva il costo dei beni prodotti. Si abbassò il livello di capacità tecniche richiesto al lavoratore; i tempi e i ritmi di lavoro dipendevano ormai dalle macchine, che venivano fatte funzionare senza tempi morti; le lavorazioni erano organizzate minimizzando gli sprechi di tempo e di denaro.

Il bisogno di energia, il gran numero di macchine indispensabili alle varie fasi di lavorazio ne del prodotto e la necessità di ridurre il tempo di trasporto dei vari materiali consiglia­vano di concentrare svariati macchinari in un solo luogo: nacque così la fabbrica.

Le fabbriche tendevano a concentrarsi negli stessi luoghi o regioni, perché le pro­duzioni erano collegate. Per esempio, il produttore di filati forniva la materia prima al produttore di tessuti, e far sorgere le due fabbriche lontane l'una dall'altra avrebbe fatto aumentare i costi di trasporto. Talvolta, invece, la concentrazione delle fabbriche era i dovuta alla disponibilità di materie prime: l'industria siderurgica, per esempio, nacque vicino alle miniere di ferro e di carbone. La concentrazione delle industrie determinò la formazione di città e regioni industriali.

Ascolta su Spreaker.

I lavoratori delle fabbriche e la nascita del proletariato

Le fabbriche avevano bisogno di lavoratori. Perciò molti contadini e braccianti abbandonarono le campagne per lavorare in fabbrica: le paghe dell'industria, pur essendo molto basse, rappresentavano comunque un miglioramento e un fattore di stabilità per chi era abituato a vivere di stenti. Gli aspiranti operai, però, erano più numerosi dei posti disponibili. Di ciò approfittarono le prime industrie, che offrivano salari bassi e condizioni di lavoro assai dure, con orari giornalieri di 14/15 ore: il la­voratore che avesse rifiutato tali condizioni, sarebbe stato rimpiazzato facilmente.

In modo simile veniva sfruttato anche il lavoro dei bambini e delle donne.

Questa situazione si protrasse finché i lavoratori non si unirono in organizzazioni, i sindacati, in grado di rappresentarli sul piano politico facendo valere la loro voce.

I lavoratori delle fabbriche furono detti proletari e proletariato la loro classe so­ciale. Più tardi, lo sviluppo impetuoso delle industrie avrebbe richiesto il lavoro anche di operai specializzati (elettricisti, meccanici, carpentieri ecc); insieme con questi proletariato costituì la classe operaia.

Il sistema capitalistico

Per costruire una fabbrica, acquistare macchinari e materie prime, immagazzina­re, trasportare e vendere i prodotti anche a distanza e, infine, per pagare i salari agli operai occorreva molto denaro. Se i prodotti si fossero venduti bene, però, il denaro speso sarebbe rientrato nelle tasche del proprietario della fabbrica in quantità anche maggiore. E il guadagno (con un termine più preciso, il profitto o utile) sarebbe an­dato a chi aveva investito quel denaro. Senza disporre di capitali, ossia di denaro da investire (cioè da impiegare), non era possibile costituire un'azienda. Chi si assumeva il rischio di tale investimento, l'imprenditore, poteva guadagnare moltissimo, poco o addirittura fallire, se non vendeva la mercé o se i clienti non lo pagavano.

Tale sistema economico, fondato sulla disponibilità di un capitale e sul suo investi­mento, fu detto "capitalismo" o "sistema capitalistico". In esso, a possedere gli stru­menti di produzione (fabbriche, macchinari ecc.) erano i privati cittadini, non lo Stato.

Per organizzare e dirigere un'azienda, l'imprenditore poteva anche non possedere personalmente tutti i capitali necessari, ma farseli prestare da altri in modo da finan­ziare l'impresa.

  • Era possibile, per esempio, chiedere un prestito a una banca, restituendolo con gli interessi; il capitalismo portò quindi a un forte sviluppo del sistema bancario.
  • Per finanziarsi, ci si poteva rivolgere anche a privati cittadini, coinvolgendoli nella propria iniziativa. Si svilupparono così le società di capitali, e in particolare le socie­tà per azioni, ancora oggi diffusissime. In questa forma di società o azienda, il capi­tale è diviso in parti dette appunto azioni; ciascun socio, o azionista, ne compra una certa quantità versando il denaro richiesto. Quindi ogni azionista è proprietario di una parte della società. I profitti che la società realizzerà (se e quando li realizzerà) saranno ripartiti tra i soci in proporzione alle azioni possedute (dividendi). Le azioni possono essere acquistate o vendute. Per svolgere queste contrattazioni fu utiliz­zata la Borsa, il luogo dove da tempo si acquistavano e si vendevano le merci in grandi quantitativi.

l'industrializzazione in Europa

II processo di industrializzazione si diffuse gradualmente in tutto il conti­nente europeo, ma non in modo uniforme. L'Inghilterra rimase, per quasi tutto l'Ottocento, il Paese guida dell'industrializzazione.

Essa aveva mantenuto il proprio primato nella tecnologia del ferro e del carbone e nello sviluppo della siderurgia, dell'industria meccanica e tessile; aveva visto l'affermarsi delle macchine a vapore, delle ferrovie e delle loco­motive.

Anche nelle attività economiche collegate con l'industria, come la banca, la finanza o il commercio estero, il primato inglese era rimasto indi­scusso per quasi tutto il secolo.

I ricchi giacimenti di carbone avevano permesso al Belgio e alle regioni settentrionali della Francia di iniziare un processo di industrializzazione già nel primo Ottocento. Proprio in questi Paesi la borghesia e la classe operaia era­no cresciute più rapidamente. L'industrializzazione della Germania era invece decollata solo verso la metà dell'Ottocento (la divisione politica era stata, come anche in Italia, un fattore di ritardo), intorno al bacino della Ruhr (un affluente del Reno). Si trattava di una zona ricca di carbone e assai adatta alla produzione industriale: la materia prima poteva essere trasportata facilmente sulle grandi chiatte che percorrevano il Reno e i suoi affluenti.

Come cambiano le città

Prima della rivoluzione industriale, la maggior parte della popolazione viveva nelle campagne. Con la nascita e lo sviluppo delle fabbriche, prese il via un vasto fenomeno di inurbamento. L'afflusso dalle campagne fece crescere a dismisura alcuni centri urbani.

Nel corso dell'Ottocento Londra, Parigi, Berlino e Vienna divennero importanti tanti città industriali e raddoppiarono la loro popolazione. In molte città fu necessario costruire nuovi quartieri, soprattutto in periferia. In molti casi le mura cittadine furono abbattute e sostituite da viali alberati, come a Torino, Milano o Firenze. Altre città, più isolate e tagliate fuori dall'industrializzazione, riuscirono invece a conservare il loro aspetto medievale: è il caso di Ferrara, Lucca, Siena e, in parte, di Roma.

Per far fronte al massiccio spostamento della popolazione verso le città, i Paesi in­dustrializzati adottarono soluzioni architettoniche e urbanistiche differenti:

  • in Inghilterra i nuovi quartieri operai furono quasi sempre costruiti in periferia, sul modello della piccola casa unifamiliare;
  • in Francia e in Germania, invece, vennero realizzati grandi edifici a più piani, con numerosi appartamenti per piano, come i moderni condomini.

Nel corso dell'Ottocento, in ogni caso, le principali città europee cambiarono aspetto e subirono netti miglioramenti:

  • vennero migliorate le condizioni igieniche con la costruzione di sistemi di fognatura;
  • nelle strade e nelle case vennero introdotte, dapprima, l'illuminazione a gas e, in seguito, quella elettrica;
  • infine, si organizzarono i primi trasporti pubblici, per collegare i vari quartieri delle grandi città. Dai tram trainati dai cavalli si passò presto a quelli elettrici e, sul finire del secolo, a Londra e Parigi entrarono in funzione le prime ferrovie metropolitane, con percorsi in buona parte sotterranei.

Tuttavia, come per l'industrializzazione, anche il fenomeno dell'urbanizzazione avvenne con ritmi e tempi diversi da Paese a Paese. Nazioni come Spagna, Portogallo, Russia e Italia meridionale vennero toccate da tali trasformazioni solo nel XX secolo.

La seconda rivoluzione industriale

1880: seconda rivoluzione industriale
Fonte: getty-images

Lo sviluppo dell'industria era proseguito per tutto l'Ottocento. Nella seconda metà del secolo, tuttavia, tale sviluppo aveva assunto caratteristiche diverse rispetto a quelle che abbiamo visto finora. Gli storici chiamano questa nuova fase "seconda in­dustrializzazione" o seconda rivoluzione industriale. Essa fu caratterizzata da alcuni elementi che la distinguono dalla prima industrializzazione:

  • mentre in precedenza l'industria si era concentrata soltanto in alcune regioni (Europa occidentale e Stati Uniti), essa si diffuse via via in quasi tutto il continente europeo, inclusa l'Italia, e in Giappone;
  • inoltre, le numerose scoperte e innovazioni tecniche resero più agevole l'indu­strializzazione di Paesi come l'Italia o il Giappone, sprovvisti di risorse minerarie ma ricchi di cultura tecnica, capacità professionali e desiderio di emergere. In particolare, l'energia elettrica sostituì il vapore come forza motrice. Nacque poi il motore a scoppio, che con il tempo avrebbe rivoluzionato i trasporti; si perfezionò la produ­zione dell'acciaio e sorsero aziende elettromeccaniche e chimiche.

Le teorie liberiste

I lavoratori della nuova classe sociale, la classe operaia, svolgevano nelle fabbriche un lavoro monotono, scandito dal ritmo delle macchine.

Le condizioni di lavoro era­no durissime: all'inizio gli orari raggiungevano le 14 ore al giorno; l'igiene e la sicurezza erano scarse e spesso si verificavano incidenti, anche mortali. I rumori delle macchine erano fortissimi, il fumo o le esalazioni all'interno delle fabbriche potevano causare intossicazioni e avvelenamenti e frequente era lo sfruttamento del lavoro minorile.

Secondo la teoria liberista, alla quale allora si ispiravano i governi e i capitalisti, il lavoratore non faceva altro che vendere il proprio lavoro come se fosse una merce qualsiasi: il suo salario doveva quindi corrispondere al prezzo della mercé da lui cedu­ta, cioè appunto alla sua forza-lavoro. Ma qual era il prezzo giusto?

Secondo i liberisti, questo doveva essere lasciato, per l'appunto, "libero": come il prezzo di qualsiasi altra merce, il valore del lavoro era determinato dall'andamento del mercato (legge della domanda e dell'offerta). È ovvio che, rispetto ai proprietari di fabbriche, i lavoratori erano in condizioni di inferiorità: nel caso in cui avessero rifiuta­to un lavoro, sarebbero stati subito rimpiazzati con altri operai. Inoltre, gli imprendi­tori avevano tutto l'interesse a pagare il meno possibile gli operai: mantenendo basso il costo del lavoro, infatti, potevano tenere basso il prezzo finale delle loro merci, vendendone di più e realizzando quindi maggiori profitti.

Nuovi diritti dei lavoratori

Per migliorare la propria situazione, gli operai iniziarono a organizzarsi e a riunirsi in apposite associazioni: contrattando uniti le proprie paghe, avrebbe­ro potuto respingere condizioni di lavoro troppo dure.

Le prime organizzazioni operaie autorizzate dalla legge furono le Trade Unions, sorte in Inghilterra nel 1824. Superando faticosamente i divieti che, più o meno a lungo, tutti i governi di ispirazione borghese ponevano alla loro attività, le associazioni di lavoratori si diffusero anche in altri Paesi. Il movimen­to operaio acquisì così la consapevolezza della propria forza.

Nella seconda metà dell'Ottocento, le associazioni dei lavoratori presero la forma di sinda­cati, organizzazioni permanenti che raccoglievano e organizzavano gli operai di una certa industria o di un certo settore. In sintesi, i sindacati chiedevano salari più alti, un miglioramento della sicurezza nelle fabbriche e orari di la­voro meno pesanti.

Per gran parte dell'Ottocento la principale richiesta del movimento ope­raio fu la giornata lavorativa prima di 10 e poi di 8 ore. Tale richiesta venne accolta prima in Inghilterra e poi, più lentamente, nel resto dell'Europa. In alcuni Paesi, tra cui l'Italia, questo traguardo fu raggiunto solo nel Novecento. Sempre l'Inghilterra fu la prima, nel 1831, ad abolire il lavoro notturno e, poco do­po, a limitare e regolamentare il lavoro dei minori.

Tesina sulla Seconda rivoluzione industriale: materiali e collegamenti

Qualche spunto per collegare il fenomeno della Rivoluzione industriale alle altre materie:

Un consiglio in più