Tesina di terza media sui diversi volti della maschera
I diversi volti della maschera: percorso tematico multidisciplinare in storia, letteratura e scienze per la tesina dell'esame di terza media
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Tesina di terza media sui diversi volti della maschera
Nel mio percorso tematico ho scelto di approfondire il tema della maschera perché penso che sia un elemento inscindibile dall’esperienza umana: siamo tutti costantemente frammentati in mille maschere che nascondono il nostro “vero sé” che noi non consideriamo degno di essere mostrato agli altri, tanto da preferire una sorta di abito di circostanza che può fare e dire ciò che al volto è proibito.
Altre volte non siamo noi a nasconderci “dietro una maschera” ma sono gli altri a modellarci addosso identità a noi estranee, poiché la concezione che questi hanno di noi non coincide con il nostro vero essere. In ogni modo l’uomo è un essere che vaga tra la maschere di se stesso alla ricerca di un’immagine migliore di sé, alla ricerca di qualcosa che innalza barriere dentro di sé.
La mia scelta è stata quindi determinata da un’esperienza che io sento di vivere quotidianamente: indossare una maschera è la cosa più normale del mondo, nonostante spesso non ce ne accorgiamo. Non siamo mai la stessa persona e ogni persona che ci è accanto vive una diversa sfaccettatura della nostra personalità. Interpretiamo moltissimi ruoli diversi, pur senza fingere, perché ognuno di noi è fatto di tante persone: io ora sono una studentessa, quando tornerò a casa sarò figlia e sarò sorella, quando uscirò con gli amici sarò amica, e sarò molto altro. Alla fine della giornata, quando sarò sola con me stessa, io sarò tutte quelle maschere insieme e in quella poliedricità la mia personalità si annullerà.
Insomma noi siamo come dice Luigi Pirandello, “Uno, nessuno e centomila” maschere pronte per essere usate, quando invece di nasconderci dovremmo lottare per conquistare o meglio riconquistare il nostro “flusso continuo” e cioè quello che scorre dietro la maschera.
Pirandello e la sua poetica delle maschere
La maschera progressivamente scomparve dalle scene dei teatri e divenne metafora di un atteggiamento non autentico che l’uomo assume in determinate circostanze, spesso sotto la pressione delle convenzioni sociali.
Il concetto di maschera come “travestimento del reale” nell’uomo caratterizza la visione pirandelliana: secondo Pirandello, scrittore, narratore e drammaturgo vissuto a cavallo tra l’800 e il 900, tutta la realtà è vita, è un flusso che scorre senza avere una forma, è un perpetuo movimento vitale. Tutto ciò che si stacca da questo flusso e assume forma distinta, si rapprende, si irrigidisce e inizia, secondo Pirandello, a morire.
L’uomo allo stesso modo si stacca dall’universale assumendo forma individuale, costringendosi entro una maschera con la quale si presenta a se stesso e agli altri. La forma blocca la spinta anarchica delle pulsioni vitali, paralizza la vita: questa invece continua a fermentare sotto la forma in cui noi ci rissiamo ma riesce ad emergere nolo nel momenti di malattia, di notte o negli intervalli in cui noi non siamo coinvolti nel meccanismo dell’esistenza.
Secondo Pirandello è vero il mare, è vera la montagna, è vero un sasso e anche un filo d’erba ma non l’uomo sempre mascherato senza volerlo e senza saperlo in quanto si figura come bello, buono, generoso, grazioso ecc, e questo fa molto ridere a pensarci.
Non esiste però solo la forma e quindi la maschera che l’io da a se stesso ma nella società ogni io da delle forme a tutti gli altri: le istituzioni sociali impongono all’uomo dei ruoli modellando sul suo volto delle maschere che non gli appartengono e che limitano fortemente la sua spontaneità e la sua autenticità.
Il soggetto è costretto a vivere nella forma ma si riduce ad una maschera fittizia che si limita a recitare la parte che la società esige da lui e che egli stesso si impone in base ai suoi ideali morali: non sono più possibili eroi o persone ma solo maschere e personaggi. Il personaggio ha davanti a se solo due strade: o sceglie l’ipocrisia, l’adeguamento passivo al suo essere una maschera oppure si “guarda vivere” , diventa una maschera nuda che vive consapevolmente e ironicamente la scissione tra vita e forma. I personaggi di Pirandello scelgono la seconda strada, sono sempre solitari e parlano con se stessi, è come se uscissero da se stessi per vedersi dal di fuori per meglio comprendere il contrasto tra la vera vita e la maschera.
Ognuno di noi indossa quindi una maschera e continuerà a farlo fino a quando questa non diventerà una sorta di “maschera di piombo” dalla quale l’uomo cercherà di liberarsi in ogni modo: nella società però l’unico modo per evitare l’isolamento è il mantenimento della maschera, quando un personaggio cerca di rompere la forma viene allontanato, rifiutato, non può più trovare posto nella massa in quanto viene visto come un elemento di disturbo per quel vivere apparentemente rispettabile. Quando la persona si libera dal suo personaggio tutti pensano che quella diversità è dovuta ad una forma di follia che scatena il riso in tutti: ma quella follia non è altro che un sussulto di libertà nato da un disagio e solo la follia permette all’uomo la possibilità di scoprire che rifiutando il mondo si può scoprire se stessi.
Uno, nessuno e centomila
Parlando di maschera è inevitabile far riferimento a Uno, Nessuno e Centomila, uno dei romanzi più famosi di Pirandello uscito nel 1926 e considerato da lui stesso come il “romanzo più amaro di tutti”.
Già il titolo dell’opera costituisce una chiave di lettura fondamentale: il protagonista, Vitangelo Moscarda, passa dal considerarsi unico per tutti (Uno) a concepire che egli una semplice costruzione artificiale, un nulla (Nessuno) attraverso la presa di coscienza delle diverse maschere che via via l’individuo assume nel suo rapporto con gli altri (Centomila): in questo modo la realtà perde la sua oggettività e si sgretola nell’infinito vortice del relativismo, si sgretola nelle infinite maschere che l’uomo si appresta ad indossare durante la sua vita.
La sua consapevolezza nasce da un evento apparentemente insignificante: la moglie, Dida, gli fa notare una leggera pendenza del suo naso di cui egli non si era mai avveduto e ciò lo conduce a scoprire che l’immagine che lui ha di se non coincide con quella che gli altri hanno di lui: Moscarda si rende conto di essere vivo nelle persone che lo circondano in centomila forme differenti estranee da se, diverse dalla maschera con la quale lui prima inconsciamente si mostrava agli altri. Il personaggio è “uno” quando viene messa in evidenza la maschera che lui si dà, è “nessuno” quando la propria maschera assume una dimensione per se e un’altra per ciascuno degli altri, è “centomila” quando viene messa in evidenza la maschera che gli altri gli danno.
Da quel momento la vita di Vitangelo cambierà: quella frase buttata lì per caso è stata come un cerino acceso gettato su un cumulo di esplosivo e da quel momento nella sua vita solo una cosa ha importanza: Chi è in realtà Vitangelo Moscarda? Ci sono tanti Moscarda quanti sono quelli che lo vedono e quanti sono i momenti della sua esistenza: ogni persona è diversa a seconda di chi la guarda.
La consapevolezza di essere vivo nelle persone intorno in centomila forme differenti suscita in lui orrore ma nello stesso tempo il fortissimo desiderio di distruggere quelle maschere che gli altri hanno modellato sul suo volto e questo lo farà apparire pazzo agli occhi degli altri: la follia infatti in Pirandello è lo strumento di contestazione per eccellenza delle forme fasulle della vita sociale.
Con il tentativo di liberarsi dalle maschere inizia la serie di pazzie di Moscarda che lo portano, alla fine, a dover accettare una nuova ennesima maschera, quella dell’adultero e scontare per essa una pena pesante e immeritata.
Ma è proprio in questa sconfitta che il protagonista trova una sorta di vittoria, un’alternativa alle finzioni della commedia sociale: se all’inizio dell’opera la consapevolezza di non essere nessuna aveva suscitato nel protagonista smarrimento alla fine egli rinuncia deliberatamente all’identità e al nome che ne è l’insegna, abbandonandosi gioiosamente al fluire indistinto ed incoerente di stati in perenne trasformazione ed identificandosi in ogni istante con le cose che lo circondano, con un albero, con una nuvola, con il libro che leggeva o con il vento che beveva, senza più fissarsi in alcuna “maschera”.
Ascolta su Spreaker.La maschera nella storia
Anche nella storia possiamo riscontrare personaggi che, nella loro politica, hanno preferito indossare una maschera diversa a seconda delle occasioni e non mostrare chiaramente la propria personalità e le proprie posizioni
Uno di questi è Giovanni Giolitti (1842-1928), famoso politico italiano più volte Presidente del Consiglio: la sua permanenza a capo del governo è una delle più lunghe nella storia politica dell’Italia unita.
Giolitti fu denominato dai giornali dell’epoca come “Giovanni bifronte” (con riferimento a Giano, il Dio romani dalla doppia faccia) per la politica adottata durante il suo governo.
Famosa è la vignetta satirica dove Giolitti viene rappresentato nelle due maschere principali della sua vita politica: a sinistra si presenta nelle vesti di primo ministro apprezzato dal ceto politico liberale con guanti, giacca, scarpe di vernice e cappello a cilindro. A destra invece, su sfondo rosso, è raffigurato come un leader socialista con il cappello, le scarpe e il foulard delle classi popolari.
Giolitti venne più volte giustamente accusato di trasformismo, di presentarsi in modo differente a seconda dell’occasione politica: la “maschera borghese” con i liberali e la “maschera popolare” con i socialisti.
Il trasformismo
La prassi politica del trasformismo, già utilizzata precedentemente, agli inizi del ‘900 fu utilizzata da Giolitti per aprire la maggioranza liberale ai socialisti.
Analizzando le maschere di Giolitti troviamo un volto aperto e democratico nell’affrontare i problemi del nord e un volto corrotto, spregiudicato e senza scrupoli per trarre vantaggio dalla situazione del Sud.
Per quanto riguarda il nord Giolitti non impedì gli scioperi ma fece in modo che si svolgessero in modo regolare sotto il controllo delle autorità competenti, migliorò le norme che riguardavano il lavoro, tutelò le donne che lavoravano per quanto riguarda la maternità e ricostruì la cassa nazionale per l’invalidità al Sud invece, dove i fenomeni malavitosi erano già attivi dai tempi dei Borboni, sfruttò la situazione a suo favore, controllò le elezioni politiche per fai eleggere uomini a lui fedeli, impedì agli avversari di tenere comizi elettorali, falsificò i risultati elettorali e arrivò addirittura a collaborare con la malavita per ottenere voti: oltre a non combatterla, la finanziò con dei soldi a fondo perduto che venivano intercettati soprattutto dalla criminalità organizzata.
Proprio per questo “tacito patto” Giovanni Giolitti fu accusato pubblicamente sul giornale “La voce” da un deputato socialista di origini meridionali, Gaetano Salvemini, di essere un ministro della malavita : l’accusa venne ritenuta eccessiva, anche se lui non si difese mai da questa, e quindi successivamente ritirata ma rifletteva proprio l’uso che Giolitti faceva delle oligarchie meridionali per mantenere il suo potere.
Che Giolitti non fosse un personaggio “limpido” si poteva intuire fin dalla sua prima comparsa al governo quando nel 1892 fu Presidente del Consiglio per soli 11 mesi: lui, da liberale, indossò la “maschera popolare” e consentì ai socialisti i sindacati (lo fa per rafforzare il governo borghese ma i liberali iniziano ad avere qualche ripensamento su Giolitti in quanto aveva concesso troppi diritti ai partiti opposti).
Quando tornò al governo, tra il 1901 e il 1914, concesse altri diritti ai più deboli come ad esempio il suffragio universale maschile nel 1913.
Dopo che il “Giolitti socialista” tradì ancora una volta il suo partito, perse la sua fiducia, ma questo aveva subito pronta una contromossa: il patto Gentiloni, per recuperare (nei collegi incerti) i voti e mantenere la maggioranza liberale nonostante il suffragio universale maschile che aveva concesso.
Giolitti però, con l’obiettivo di accontentare tutti, aveva in realtà deluso tutti sia nazionalisti che socialisti e anche i liberali (il suo stesso partito) lo allontanano: così “Giolitti bifronte” è costretto a rinunciare alla carica di Presidente del Consiglio nel ’14.
Tra il 20 e il 21 i liberali, dopo le dimissioni di Nitti, richiamarono Giolitti al governo: sarà un governo di un anno, ma sarà soprattutto un governo molto travagliato, poiché la sua politica ancora una volta non è chiara e forze troppe eterogenee di quel governo saranno la causa della sua caduta.
Giolitti è quindi un personaggio che durante tutta la sua carriera politica sacrificò la sua vera personalità per mascherarla a seconda delle occasioni, pur di mantenere il potere nelle sue mani: non sono maschere che la società gli ha imposto, ma maschere che lui stesso si è cucito addosso per raggiungere gli obiettivi che si era prefissato.
I neuroni a specchio e l’importanza dell’apprendimento
Dal punto di vista scientifico le varie maschere che noi indossiamo durante la giornata e quindi durante tutte le nostre attività sono fondamentali per una forma di “conoscenza” che avviene grazie all’azione di neuroni speciali che per le loro caratteristiche sono stati chiamati “neuroni a specchio”.
La scoperta del funzionamento di questi neuroni avvenne fortuitamente negli anni Novanta ad opera di un gruppo di studiosi dell’Università di Parma coordinati dal prof. Rizzolatti: sì osservò infatti che nel momento in cui un ricercatore aveva teso a mano per afferrare delle arachidi, l’EEG di uno dei macachi osservati registrasse un aumento di potenziali in corrispondenza dell’area F5, lo stesso aumento di potenziale registrato quando erano gli stessi macachi ad afferrare le arachidi. Fu così che i ricercatori scoprirono un gruppo di neuroni fino ad allora sconosciuti che, nel caso delle scimmie, si attivano ogni qualvolta percepiscono movimenti o anche suoni riconducibili all’azione del rompere le noccioline.
Come funzionano i neuroni a specchio
Un’azione compiuta da un altro fa risuonare nell’interno di chi osserva l’azione i neuroni che si attiverebbero se fosse stato lui stesso ad agire. Queste cellule sono appunto chiamate “neuroni a specchio”.
I neuroni a specchio hanno rilevato una sorta di “conoscenza senza conoscenza” in quanto agiscono in modo pre - comunicativo: questi si attivano prima che l’uomo ne sia cosciente, prima che attivi qualsiasi ragionamento, qualsiasi fase cognitiva e quindi qualsiasi forma di conoscenza.
Questi permettono di innescare nell’uomo, come nelle scimmie, processi di imitazione e di comunicazione senza la consapevolezza di questo: è necessaria la “maschera” dell’uomo e non l’attivazione di quello che c’è dietro, quel meccanismo che fino alla scoperta dei neuroni a specchio era l’unico responsabile dell’apprendimento.
Rizzolatti scrive: “l’attivazione dei neuroni a specchio è in grado di generare una rappresentazione motoria interna (atto potenziale) dell’atto osservato, dalla quale dipenderebbero la possibilità di apprendere via imitazione”.
Con la conoscenza dei neuroni a specchio arriviamo a comprendere molte cose: fin dalla prima infanzia “intuiamo” le emozioni delle persone che ci circondano, un neonato (senza attivare alcun processo cognitivo) risponde al sorriso della madre con una reazione spontanea e diretta a un qualcosa che proviene da una “maschera”.
Sotto certi aspetti quindi la comprensione delle emozioni altrui non avviene a livello di coscienza ma ad un livello istintivo e immediato come se il nostro essere “risuonasse alla stessa vibrazione dell’altro”: tutto questo avviene in modo automatico senza mediazione della coscienza come se disponessimo di un canale di comunicazione privilegiato sincronizzato sulle emozioni altrui.
Questo semplice meccanismo molto semplice è alla base della vita di ogni essere umano e in base a questo è possibile interagire con il mondo, capire e prevedere l’azione che qualcun altro sta compiendo, percepire le emozioni e provocarne altre come reazione in base ad un meccanismo di “imitazione della maschera che abbiamo di fronte”: una recente scoperta ha appurato che grazie a questi neuroni noi impariamo a parlare.
L’azione dei neuroni a specchio è riscontrabile nei momenti più semplici della nostra giornata: noi guardiamo un film commovente e istintivamente ci viene da piangere, la nostra squadra del cuore segna e noi incoscientemente esplodiamo con un urlo di gioia, scoppiamo a ridere semplicemente perché la persona che c’è seduta di fronte sta ridendo: noi riflettiamo le azioni degli altri senza far intervenire particolari meccanismi cognitivi e razionali.
In conclusione questo semplice meccanismo a riflessione controlla i processi più sofisticati della nostra vita: la comprensione delle azioni, intenzioni e emozioni e altrui, l’apprendimento e il linguaggio.
Dal punto di vista sperimentale la scoperta dei neuroni a specchio potrebbe aprire molte strade interessanti per l’apprendimento scolastico e cambiare in parte il ruolo dell’insegnante impegnando vie di comunicazione meno legate a processi cognitivi che passino attraverso canali più emotivi come la voce, la mimica e la gestualità permettendo così una comprensione più diretta e immediata, legata direttamente alla maschera di una persona.
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