Tema svolto sull'arte
Tema sull'arte: che cos'è e quale ruolo può svolgere nella vita delle persone? Tema svolto sull'arte con esempi
Indice
Traccia per un tema sull'arte
Che cos’è l’arte e che ruolo può svolgere nella vita delle persone?
Che cos'è l'arte?
L’arte è una di quelle cose che, anche se sappiamo cos’è, non sapremmo definire esattamente se qualcuno ce lo chiedesse. Non è difficile fare esempi di opere d’arte: Guernica, il Requiem di Mozart, l’Amleto, i Prigioni di Michelangelo; o esempi di arti, come l’arte drammatica, la musica o le arti figurative. Eppure, che cos’è propriamente l’arte?
I più direbbero che la Commedia di Dante è un’opera d’arte, mentre un articolo sullo scioglimento dei ghiacciai pubblicato sul giornale no. Ma entrambi sono testi scritti. Qual è la differenza? Cosa rende la Commedia un’opera d’arte? Il disegno che ho fatto stamani mentre parlavo al telefono non è un manufatto artistico, è uno scarabocchio. Perché? E cosa dire del brano composto dalla giovane musicista mia vicina di casa? È un’opera d’arte? Forse no. Quando e come i suoi brani potranno essere riconosciuti come tali? Quando saranno celebri e riprodotti da altri? È la fama che fa l’arte? Il valore economico? O il tipo particolare di esperienza vissuta dagli artisti e da chi frequenta il loro lavoro?
Quelli che oggi consideriamo grandi artisti dell’antichità, come Fidia, lo sculture greco, non erano considerati tali dai loro contemporanei. O almeno, non nello stesso modo in cui noi consideriamo artisti Bertolt Brecht e Maria Callas. Nel Medioevo, si chiamavano “arti liberali” la grammatica, la retorica e la dialettica (il Trivio), l’aritmetica, la geometria, la musica e l’astronomia (il Quadrivio), insegnate all’Università nella Facoltà di Arti. Chi direbbe più che l’aritmetica è un’arte? Usiamo dire “Sei un artista!”, rivolgendoci a qualcuno che sa fare qualcosa bene o in modo originale, o a chi fa qualcosa di bello. Intendiamo l’arte come espressione della creatività o del genio, ma non è sempre stato così.
La discussione su cosa è arte e cosa non lo è ha una lunga storia e non è ancora finita. Possiamo addirittura immaginare che non finirà mai. Per il momento, quindi, propongo di lasciarla da parte. Dedichiamoci, invece, a discutere il ruolo dell’arte nella vita delle persone, nella vita quotidiana. Per fare ciò, non è necessaria una precisa definizione di arte, ci si può limitare a prendere per buona quella vaga idea di arte da cui ho preso le mosse e fare riferimento a ciò che tutti diremmo senza dubbio essere arte.
L'arte nella vita quotidiana
L’arte può fare parte integrante della nostra vita, in modi diversi. C’è chi impara a suonare uno strumento, per riprodurre i brani della musica che ama o per suonare con gli amici. C’è chi canta, anche in modo non professionale. C’è chi si iscrive a un corso di disegno, chi ama andare a vedere le opere d’arte custodite nei musei della propria città.
C’è chi è appassionato di cinema o di teatro, chi legge molto (o poco, ma comunque gli piace). Alcuni dipingono i muri della propria città, altri amano andare a ballare e conoscono i più diversi tipi di danza. C’è chi scrive racconti, o un diario, e chi legge fumetti.
Nella vita di ciascuno, queste pratiche artistiche possono svolgere un ruolo importante, addirittura decisivo, e a volte inaspettato. Ciò vuole forse dire che “siamo tutti un po’ artisti”? Non lo so, ma è senz’altro vero che l’arte, nelle forme più diverse, più far parte integrante della vita.
Primo Levi e il Canto di Ulisse
Un buon esempio per spiegare ciò che intendo sono le pagine di Se questo è un uomo dedicate al Canto di Ulisse. Primo Levi è nel Lager, in un insolito momento di “libertà”. Deve percorrere un chilometro a piedi con Jean, per andare alle cucine a prendere il rancio. Jean vorrebbe imparare l’italiano: «Io sarei contento di insegnargli l’italiano: non possiamo farlo? Possiamo. Anche subito, una cosa vale l’altra, l’importante è non perdere tempo, non sprecare quest’ora».
Levi racconta l’attimo in cui gli è improvvisamente venuto in mente il Canto di Ulisse, il senso di necessità e la fretta con cui lo ha recitato a Jean, interrompendosi per cercare di tradurlo in francese, per spiegarlo, o perché non ricordava più alcune terzine. L’urgenza e la presenza dei versi in quel momento sono tali che Levi può scrivere “darei la zuppa di oggi per ricordarmi il verso che mi sfugge”! E possiamo immaginare cosa volesse dire nel Lager rinunciare a un piatto di zuppa.
Nel recitare i versi danteschi, Levi non fa sfoggio di erudizione, né si limita a insegnare a Jean qualche parola di italiano, né solamente trova conforto nella poesia. Durante quella breve camminata, i versi di Dante prendono una nuova vita, assumono un significato che prima non avevano. Levi li conosce a memoria, è probabile che li avesse letti, riletti e ruminati negli anni. Ma in quel momento accade qualcosa di nuovo. Non solo nel senso che capisce qualcosa di quei versi che non aveva mai afferrato prima. C’è anche questo, ma c’è molto di più.
«“…Ma misi me per l’alto mare aperto”.
Di questo sì, di questo sono sicuro, sono in grado di spiegare a Pikolo, di distinguere perché “misi me” non è “je me mis”, è molto più forte e più audace, è un vincolo infranto, è scagliare se stessi al di là di una barriera, noi conosciamo bene questo impulso». […]
«“…Acciò che l’uom più oltre non si metta”.
“Si metta”: dovevo venire in Lager per accorgermi che è la stessa espressione di prima, “e misi me”».
Non si tratta solo di una nuova interpretazione, di una diversa comprensione del testo. Si tratta dell’assoluta attualità del verso di Dante rispetto alla vita di Levi («dovevo venire in Lager per accorgermi»). È come se Primo Levi stesse riscrivendo la Commedia. In quel momento, i versi sono suoi, sono nuovi. È lui l’artista. Perciò scrive:
Ho fretta, una fretta furibonda. Ecco, attento Pikolo, apri gli occhi e la mente, ho bisogno che tu capisca:
Considerate la vostra semenza:
Fatti non foste a viver come bruti,
Ma per seguir virtute e conoscenza.
Come se anch’io lo sentissi per la prima volta: come uno squillo di tromba, come la voce di Dio. Per un momento ho dimenticato chi sono e dove sono».
Nella Lettera a Francesco Vettori, Machiavelli scrive la stessa cosa: «non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro». Certo, le due situazioni sono incomparabili. Machiavelli era al sicuro, seduto nel suo scrittoio, Levi era nel Lager. Machiavelli racconta di una pratica quotidiana, Levi descrive un’urgenza improvvisa. Eppure, le due esperienze sono affini: leggendo, ripetendo, immaginando un’opera d’arte che conosciamo e che abbiamo fatto nostra, siamo artisti («tutto mi trasferisco in loro»).
Ciò accade solo con le opere d’arte che ci riguardano, indipendentemente dal loro genere di appartenenza, che sia letteratura, musica, poesia o qualunque altro. Levi descrive esattamente questa esperienza:
«Pikolo mi prega di ripetere. Come è buono Pikolo, si è accorto che mi sta facendo del bene. O forse è qualcosa di più: forse, nonostante la traduzione scialba e il commento pedestre e frettoloso, ha ricevuto il messaggio, ha sentito che lo riguarda, che riguarda tutti gli uomini in travaglio, e noi in specie».
L’intero passaggio di Machiavelli è questo: «Venuta la sera, mi ritorno a casa ed entro nel mio scrittoio; e in sull’uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui huomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e ch’io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandarli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro humanità mi rispondono; e non sento per quattro hore di tempo alcuna noia, sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte: tutto mi transferisco in loro» (Lettera a Francesco Vettori).
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