Tema su Luigi Pirandello e la sua poetica: traccia e svolgimento
Ecco il tema su Luigi Pirandello e la sua poetica: documenti e spunti di riflessione, il tema delle maschere, introduzione, svolgimento e conclusione
Indice
Tema su Pirandello: riflessione iniziale
Luigi Pirandello è uno dei pilastri della nostra letteratura, annoverabile tra gli scrittori di rara profondità filosofica come Dante, Leopardi e Montale, per la sua costante ricerca di una dimensione onnicomprensiva dell’esistenza. Nell’autore di Girgenti, la letteratura si fa strumento conoscitivo e contemplativo del fallimento: è come se, attraverso l’invenzione letteraria, che recita la vita, scoprissimo il fallimento della filosofia ammalatasi di un relativismo senza precedenti:
«Lungi dall’essere, come per tanto tempo il buon senso di molti ignoranti ha creduto, un velleitario filosofo del sofisma, un dilettante ad oltranza del paradosso, egli era il più cosciente testimone, oltre che la vittima prima, del fallimento della filosofia, il più sofferente denigratore della logica, colui che più d’ogni altro ha denunziato il ridicolo e immorale paradosso, l’utilitario tranello, della ragione tradizionale» (Arcangelo Leone De Castris, Storia di Pirandello, 1971).
Il fatto è che nel presente di Pirandello vedeva «crollo storico degli antichi ideali», e tutte le parole che inneggiavano a un valore e a obiettivi comuni, «libertà, umanità, giustizia», erano come dei «sepolcri imbiancati», dei «guardaroba dell’eloquenza». Nel periodo Postmoderno abbiamo ancora davanti a noi la coscienza della fragilità di tutti gli ideali, poiché li abbiamo visti fallire. Solo il nulla sembra essersi fatto più forte e, in esso, l’arroganza dell’uomo.
Dunque, non molto diverso, forse, il nostro mondo del terzo millennio, in cui abbiamo fatto della fragilità dei valori e del loro relativismo un sistema perennemente sul punto di assumere una nuova forma. Dalla società rigida che crollava in quegli anni, a una «società liquida» (per dirla con Bauman) che è diventata una trappola ben peggiore, poiché cangiante e sfuggente.
Tema su Pirandello: spunti e ricerca delle fonti
Pirandello mette in crisi il nostro modo di guardare la realtà: ci costringe a riflettere e a giudicare i fenomeni che accadono; ci costringe a osservare bene i volti di chi ci circonda, per vedere se non siano maschere; in sostanza, Pirandello riesce, oggi come allora, a coinvolgere il lettore in un arduo percorso filosofico che contempla il relativismo e la coscienza del buio cosmico cui non c’è scampo. All’uomo davvero in cerca della Verità non resta che l’arma dell’umorismo, l’unica che contempla la compresenza degli opposti nella mutua trasformazione di comico e tragico. (Sarebbe questo il principio del 'grottesco')
Così Pirandello incontrò il teatro che gli permise di riprodurre allo specchio la realtà deformata del mondo; e giocare sempre più con questo materiale altamente sensibile. Il suo teatro è ancora oggi pieno di successo perché sfrutta la dinamica dello smascheramento. Il metateatro è stato poi il punto di rilievo della sua carriera al punto da valergli il premio Nobel «per il suo audace e ingegnoso rilancio dell’arte drammatica e scenica» (1934)
Le realtà che si specchia fino a perdere il principio unitario della sua rappresentazione – la verità che si smarrisce infinitamente a perdita d’occhio, come uno specchio davanti allo specchio.
Tutto perché la riflessione toccasse le corde più profonde dell’ansia filosofica dell’uomo. In Sei personaggi in cerca d’autore leggiamo:
«Abbiamo tutti dentro un mondo di cose: ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole ch'io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmente le assume col senso e col valore che hanno per sé, del mondo com'egli l'ha dentro? Crediamo di intenderci; non ci intendiamo mai!»
L’uomo pare vivere vite diverse descritte con parole diverse. In questo guazzabuglio infinito, l’uomo pirandelliano scopre la sua solitudine. Pirandello trova invece che in tale disarmonia si possa scavare di continuo. La realtà lo richiede per il fatto stesso di essere complessa. Scrive Ciro Sorrentino:
La riflessione pirandelliana, seria e pungente, dopo aver svelato il tragico nulla, dissimulato dall'immagine a volte buffa degli eventi, si sofferma sulle incoerenze e sulle dolorose disarmonie della realtà, che, in definitiva, proiettano l'uomo in una pressante e dolorosa inquietudine. Ed è naturale che Pirandello - pienamente convinto che "fare della letteratura, per gioco dello spirito, par cosa stranamente vana" - ascolti il lamento dell'uomo e scriva per denunciare l'indissolubile conflitto tra l'essere e l'apparire, la desolazione e lo stato di abbandono in cui affonda la vita quotidiana. In questa convinzione critico-letteraria, la dialettica, spesso esasperata, e il paradosso, come espressione dell'antinomia degli eventi, si inseriscono come i procedimenti conoscitivi e gli espedienti comunicativi più congeniali per indagare la realtà e svelare i profondi e dolorosi drammi di tante creature tormentate dall'impossibile bisogno di fuggire "la pena del vivere così". (Ciro Sorrentino, Introduzione a Pirandello)
Nessuna religione, nessuna filosofia, nessun credo. In ogni sua pagina, spesso malcelata dalla pungente ironia del saggio, v’è una continua, incessante analisi della realtà, scomposta al punto da deformare tutte le gerarchie di valore che comunemente ci diamo che lo spingono a credersi uno; un uno che, per essere tale, diventa quasi schizofrenico. Ma a volte lo preferiamo al dubbio lacerante, così togliamo i punti di domanda e ci affezioniamo all’immagine di noi, immagine che non è vera, immagine che è già ombra di sé. È quanto ricaviamo da una delle sue novelle più drammatiche, La trappola:
"E che vista, che vista assumono gli oggetti della camera! Sono come sospesi anch'essi in una immobilità attonita, che v'inquieta.
Dormivate con essi lì attorno.
Ma essi non dormono. Stanno lì, così di giorno, come di notte.
La vostra mano li apre e li chiude, per ora. Domani li aprirà e chiuderà un'altra mano . Chi sa quale altra mano... Ma per loro è lo stesso. Tengono dentro, per ora, i vostri abiti, vuote spoglie appese, che hanno preso il grinzo, le pieghe dei vostri ginocchi stanchi, dei vostri gomiti aguzzi. Domani terranno appese le spoglie aggrinzite d'un altro.
Lo specchio di quell'armadio ora riflette la vostra immagine, e non ne serba traccia; non serberà traccia domani di quella d'un altro.
Lo specchio, per sé, non vede. Lo specchio è come la verità."
La visione di Pirandello è sub specie aeternitatis, cioè dal punto di vista dell’eternità. Sarebbe come vedersi da una distanza siderale. Ora, nell’immensità spazio-temporale descritta da Leopardi nell’Infinito c’era una consolazione. Partendo dallo stesso principio, Pirandello vuole capire che per capire davvero il meccanismo della realtà – la sua maschera – occorre abbandonare le nostre piccole certezze. Ad esempio l’idea supponente di sapere cosa sia la verità. La verità qui si fa negativa, sfuggente.
Mi piace collegare il passo "Ma per loro è lo stesso. Tengono dentro, per ora, i vostri abiti, vuote spoglie appese, che hanno preso il grinzo, le pieghe dei vostri ginocchi stanchi, dei vostri gomiti aguzzi" alla poesia Museo di Wislawa Szymborska:
Museo
Ci sono piatti, ma non appetito
Fedi, ma non scambievole amore
da almeno trecento anni.
C’è il ventaglio – e i rossori?
C’è la spada – dov’è l’ira?
E il liuto, non un suono all’imbrunire.
«Ti par che io farnetichi?», dice a seguire al suo immaginario interlocutore. Mette in crisi come Leopardi. Tutto il suo ragionamento parte dall’incoerenza tra ciò che appare e ciò che è causando lo «Strappo nel cielo di carta», citando Il fu Mattia Pascal, celebre romanzo sulla crisi dell’io: povere quelle marionette che se ne accorgono, beate quelle il cui cielo è senza strappi (ossia non colgono l’incoerenza della realtà). La dissezione più importante basilare è proprio quella tra forma e sostanza, tra maschera e volto, tra personaggio e persona.
Tuttavia, questa dissezione nasce dalla domanda filosofica per eccellenza: «Che cos’è la verità?», che richiama uno dei passi più affascinanti del Vangelo di Giovanni, quando Pilato interroga Cristo, e chiede: «Quid est veritas?» . Gli scrittori-filosofi tentano una risposta universale a questa domanda, anche di fronte alla consapevolezza del fallimento. Come in Leopardi, anche la realtà di Pirandello si ottenebra, la verità assume l’aspetto dell’«arido vero» di Leopardi; eppure il buio diventa la sede più autentica della verità (A questo proposito, leggi bene sempre la novella La trappola, strettamente legata alla Lanterninosofia.). E il dolore dell’uomo?
L’uomo pirandelliano si accorge del cieco meccanismo della società, basato sul mantenimento di una finzione disumana, così come del fallimento di tutte le filosofie positive. Egli urla, nel più fondo silenzio della sua anima, insicuro di riuscire a trovare una soluzione. E intanto vive e vede il mondo con occhi nuovi, come Ciaula che scopre la luna o come il ragioniere Belluca che scopre il potere di immaginare.
E tanti, tanti personaggi delle sue opere urlano il desiderio struggente di vivere. Possono cambiare le società, ma non il desiderio di realizzazione che ciascun uomo porta dentro di sé.
Ma tutto suo è l'intimo dolore e lo strazio indicibile, quando, di fronte alla caduta di ogni relazione spaziale e nesso temporale, non può che approdare alla constatazione di un relativismo conoscitivo e psicologico senza soluzione, alla sostanziale incomunicabilità tra gli uomini, alla convinzione che la realtà si riduce ad una temporanea proiezione del nostro io. Eppure allo sconforto reagisce, e fuggendo l'insensata "trappola" del vivere quotidiano, si rifugia, con una scelta del tutto singolare, nella dimensione dialettica e drammatica del suo ragionare e parla della vita con la distaccata e dolente ironia del saggio, che, ponendosi fuori dal tempo storico, osserva le vicende umane con imparziale e lucida logica. Questa la storia dolorosa dell'uomo che, attraverso la lente flettente dell'umorismo, Pirandello scorge negli aspetti anomali e bizzarri della vita, svelandone le sensazioni risibili e pietose; e questo l'esercizio artistico che, nel linguaggio raziocinante e polemico di una innumerevole serie di personaggi, tradisce una tensione lirica, variamente significata nel grido lacerante di denuncia e di condanna della coscienza. (Sorrentino, Introduzione a Pirandello).
L’uomo si trova a vagare così nel buio cosmico, una volta che ha coscienza di essere sperduto nell’universo, preda di una società che appare del tutto insensata. Questa visione emerge con chiarezza proprio nel Fu Mattia Pascal, con l’idea della «lanterninosofia». Qui Pirandello, attraverso la consueta figura del personaggio-filosofo (nello specifico Anselmo Paleari) illustra come il buio sia un concetto immaginario e mostra come l’uomo da sempre abbia tentato di porre riparo a questo buio, illudendosi della piccola cappa di luce prodotta dai suoi sogni e dai suoi valori: come una lanternina o come un lanternone , a seconda della grandezza di essi. Ma la verità è nel buio. Leggiamo proprio il passo:
E questo sentimento della vita per il signor Anselmo era appunto come un lanternino che ciascuno di noi porta in sè acceso; un lanternino che ci fa vedere sperduti su la terra, e ci fa vedere il male e il bene; un lanternino che projetta tutt’intorno a noi un cerchio più o meno ampio di luce, di là dal quale è l’ombra nera, l’ombra paurosa che non esisterebbe, se il lanternino non fosse acceso in noi, ma che noi dobbiamo pur troppo creder vera, fintanto ch’esso si mantiene vivo in noi. Spento alla fine a un soffio, ci accoglierà davvero quell’ombra fittizia, ci accoglierà la notte perpetua dopo il giorno fumoso della nostra illusione, o non rimarremo noi piuttosto alla mercé dell’Essere, che avrà soltanto rotto le vane forme della nostra ragione?
Leggiamo il passo della descrizione di questi lanternoni ne Il fu Mattia Pascal:
— Ah, bene... Ma poichè lei ha l’occhio offeso, non ci addentriamo troppo nella filosofia, eh? e cerchiamo piuttosto d’inseguire per ispasso le lucciole sperdute, che sarebbero i nostri lanternini, nel bujo della sorte umana.
Io direi innanzi tutto che son di tanti colori; che ne dice lei? secondo il vetro che ci fornisce l’illusione, gran mercantessa, gran mercantessa di vetri colorati. A me sembra però, signor Meis, che in certe età della storia, come in certe stagioni della vita individuale, si potrebbe determinare il predominio d’un dato colore, eh?
In ogni età, infatti, si suole stabilire tra gli uomini un certo accordo di sentimenti che dà lume e colore a quei lanternoni che sono in termini astratti: Verità, Virtù, Bellezza, Onore, e che so io... E non le pare che fosse rosso, ad esempio, il lanternone della Virtù pagana? Di color violetto, color deprimente, quello della Virtù cristiana. Il lume d’una idea comune è alimentato dal sentimento collettivo; se questo sentimento però si scinde, rimane sì in piedi la lanterna del termine astratto, ma la fiamma dell’idea vi crepita dentro e vi guizza e vi singhiozza, come suole avvenire in tutti i periodi che son detti di transizione.
Non sono poi rare nella storia certe fiere ventate che spengono d’un tratto tutti quei lanternoni. Che piacere! Nell’improvviso bujo, allora è indescrivibile lo scompiglio delle singole lanternine: chi va di qua, chi di là, chi torna indietro, chi si raggira; nessuna più trova la via: si urtano, s’aggregano per un momento in dieci, in venti; ma non possono mettersi d’accordo, e tornano a sparpagliarsi in gran confusione, in furia angosciosa: come le formiche che non trovino più la bocca del formicajo, otturata per ispasso da un bambino crudele. Mi pare, signor Adriano, che noi ci troviamo adesso in uno di questi momenti. Gran bujo e gran confusione! Tutti i lanternoni, spenti. A chi dobbiamo rivolgerci? Indietro, forse? (Pirandello, Il Fu Mattia Pascal)
Ecco finalmente che ritorna l’idea di una dimensione cosmica e infinita, come se guardassimo il mondo da una distanza siderale, persi nello spazio profondo dove domina soltanto quel buio che dovrebbe invece consolarci perché non sappiamo comprenderlo appieno. O lo vediamo solo con spavento, come fosse un baratro in cui tutto viene dimenticato per sempre. Prosegue però Paleari:
E se tutto questo bujo, quest’enorme mistero, nel quale indarno i filosofi dapprima specularono, e che ora, pur rinunziando all’indagine di esso, la scienza non esclude, non fosse in fondo che un inganno come un altro, un inganno della nostra mente, una fantasia che non si colora? Se noi finalmente ci persuadessimo che tutto questo mistero non esiste fuori di noi, ma soltanto in noi, e necessariamente, per il famoso privilegio del sentimento che noi abbiamo della vita, del lanternino cioè, di cui le ho finora parlato? Se la morte, insomma, che ci fa tanta paura, non esistesse e fosse soltanto, non l’estinzione della vita, ma il soffio che spegne in noi questo lanternino, lo sciagurato sentimento che noi abbiamo di essa, penoso, pauroso, perché limitato, definito da questo cerchio d’ombra fittizia, oltre il breve àmbito dello scarso lume, che noi, povere lucciole sperdute, ci projettiamo attorno, e in cui la vita nostra rimane come imprigionata, come esclusa per alcun tempo dalla vita universale, eterna, nella quale ci sembra che dovremo un giorno rientrare, mentre già ci siamo e sempre vi rimarremo, ma senza più questo sentimento d’esilio che ci angoscia?
Il limite è illusorio, è relativo al poco lume nostro, della nostra individualità: nella realtà della natura non esiste.
Noi, — non so se questo possa farle piacere — noi abbiamo sempre vissuto e sempre vivremo con l’universo; anche ora, in questa forma nostra, partecipiamo a tutte le manifestazioni dell’universo, ma non lo sappiamo, non lo vediamo, perchè purtroppo questo maledetto lumicino piagnucoloso ci fa vedere soltanto quel poco a cui esso arriva; e ce lo facesse vedere almeno com’esso è in realtà!
Ma nossignore: ce lo colora a modo suo, e ci fa vedere certe cose, che noi dobbiamo veramente lamentare, perbacco, che forse in un’altra forma d’esistenza non avremo più una bocca per poterne fare le matte risate. Risate, signor Meis, di tutte le vane, stupide afflizioni ch’esso ci ha procurate, di tutte le ombre, di tutti i fantasmi ambiziosi e strani che ci fece sorgere innanzi e intorno, della paura che c’ispirò! —
È forse proprio questa liberazione dall’angoscia della morte, dalla rigidità del senso cui tutto sembra avviarci, che Pirandello fa la sua proposta di essere persone lucide e, in certo qual modo, incoerenti. È uno snodo importante poiché tra le righe contiene uno degli ammonimenti più forti all’umanità: è il ricordo di essere umili, consci che noi abitiamo l’universo più che la Terra e che non sappiamo molto di quel accade intorno a noi nelle distanze siderali.
Questa infinita solitudine dell’uomo sulla Terra e nelle società fittizie che essa crea sono uno spunto per ragionare anche oggi sull’orizzonte esistenziale che ciascuno pone davanti a sé. La parola chiave è sempre umiltà e incoerenza del tutto, che diventa lo spunto per un mistero più grande che tutto avvolge. Noi compresi. «La vita è originale», diceva quel Zeno Cosini ne La coscienza di Zeno, di Svevo. Ma davvero saremmo filosoficamente pronti a una inettitudine problematica, a rinunciare alla società nella quale viviamo e lavoriamo?
Vitangelo Moscarda, protagonista pirandelliano di Uno, nessuno e centomila invita a sparire nell’Essere, a confondersi in un anonimato creativo e mistico. Una follia agli occhi di molti. Non si tratta forse di una soluzione da adottare in via letterale, quanto piuttosto di una soluzione del nostro spirito affinché possa mantenere intatta in noi la predisposizione al perenne cambiamento della realtà, affinché possa lasciarci nel mistero e nella curiosità, affinché ci disamoriamo della nostra maschera sociale per cogliere scaturigini di verità nell’essenza di ciò che ci circonda. Forse per essere nuovamente umili e pieni di leciti dubbi.
Dell’anonimato in campo artistico parò a lungo il celebre pianista canadese Glenn Gould di cui riporto due frasi celebri:
«Occorre consentirgli [all'artista] di operare in segreto, per così dire, senza che egli debba preoccuparsi, o meglio ancora rendersi conto, delle presunte esigenze del mercato, le quali esigenze, se accolte con sufficiente indifferenza da un numero sufficiente di artisti, finirebbero semplicemente con lo scomparire».
«Non è che io sia asociale, ma credo che se un artista vuole utilizzare il cervello per un lavoro creativo, ciò che si chiama autodisciplina – che non è altro che un modo per sottrarsi alla società – sia assolutamente indispensabile».
Sono due frasi molto in accordo con il finale pirandelliano.
Leggiamo il testo:
Nessun nome. Nessun ricordo oggi del nome di jeri; del nome d'oggi, domani. Se il nome è la cosa; se un nome è in noi il concetto d'ogni cosa posta fuori di noi; e senza nome non si ha il concetto, e la cosa resta in noi come cieca, non distinta e non definita; ebbene, questo che portai tra gli uomini ciascuno lo incida, epigrafe funeraria, sulla fronte di quella immagine con cui gli apparvi, e la lasci in pace non ne parli piú. Non è altro che questo, epigrafe funeraria, un nome. Conviene ai morti. A chi ha concluso. Io sono vivo e non concludo. La vita non conclude. E non sa di nomi, la vita. Quest'albero, respiro trèmulo di foglie nuove. Sono quest'albero. Albero, nuvola; domani libro o vento: il libro che leggo, il vento che bevo. Tutto fuori, vagabondo.
Ascolta su Spreaker.L'ospizio sorge in campagna, in un luogo amenissimo. Io esco ogni mattina, all'alba, perché ora voglio serbare lo spirito cosí, fresco d'alba, con tutte le cose come appena si scoprono che sanno ancora del crudo della notte, prima che il sole ne secchi il respiro umido e le abbagli. Quelle nubi d'acqua là pese plumbee ammassate sui monti lividi, che fanno parere piú larga e chiara nella grana d'ombra ancora notturna, quella verde piaga di cielo. E qua questi fili d'erba, teneri d'acqua anch’essi, freschezza viva delle prode. E quell'asinello rimasto al sereno tutta la notte, che ora guarda con occhi appannati e sbruffa in questo silenzio che gli è tanto vicino e a mano a mano pare gli s’allontani cominciando, ma senza stupore a schiarirglisi attorno, con la luce che dilaga appena sulle campagne deserte e attonite. E queste carraie qua, tra siepi nere e muricce screpolate, che su lo strazio dei loro solchi ancora stanno e non vanno.
E l'aria è nuova. E tutto, attimo per attimo, è com'è, che s’avviva per apparire. Volto subito gli occhi per non vedere piú nulla fermarsi nella sua apparenza e morire. Cosí soltanto io posso vivere, ormai. Rinascere attimo per attimo. Impedire che il pensiero sí metta in me di nuovo a lavorare, e dentro mi rifaccia il vuoto delle vane costruzioni. // La città è lontana. Me ne giunge, a volte, nella calma del vespro, il suono delle campane. Ma ora quelle campane le odo non piú dentro di me, ma fuori, per sé sonare, che forse ne fremono di gioja nella loro cavità ronzante, in un bel cielo azzurro pieno di sole caldo tra lo stridío delle rondini o nel vento nuvoloso, pesanti e cosí alte sui campanili aerei.
Pensa alla morte, a pregare. C'è pure chi ha ancora questo bisogno, e se ne fanno voce le campane. Io non l'ho piú questo bisogno, perché muoio ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non piú in me, ma in ogni cosa fuori.
Leggere Pirandello riporta continuamente i drammi dell’uomo in una duplice dimensione: quella piccola e umana, quella intravista dall’eterno. Ne deriva una lezione di umiltà, di imprevedibilità e al tempo stesso di desiderio di immensità e di grandezza. Eppure la lezione più grande resta proprio l’umiltà, almeno finché si resta nella dimensione del buio, una delle maschere dell’Essere.
Alla lezione pirandelliana collego sempre una riflessione dell’astronomo Carl Edward Sagan perché ben ci lascia intendere di quanto sia immenso il cosmo che ci circonda e quanta arroganza ci sia nel dire «La verità è». A proposito del Pale Blue Dot , il pallido puntino di luce che è la Terra fotografata dalla sonda Voyager (sei miliardi di chilometri di distanza), dice:
…da questo distante punto di osservazione, la Terra può non sembrare di particolare interesse. Ma per noi, è diverso. Guardate ancora quel puntino. È qui. È casa. È noi. Su di esso, tutti coloro che amate, tutti coloro che conoscete, tutti coloro di cui avete mai sentito parlare, ogni essere umano che sia mai esistito, hanno vissuto la propria vita. L'insieme delle nostre gioie e dolori, migliaia di religioni, ideologie e dottrine economiche, così sicure di sé, ogni cacciatore e raccoglitore, ogni eroe e codardo, ogni creatore e distruttore di civiltà, ogni re e plebeo, ogni giovane coppia innamorata, ogni madre e padre, figlio speranzoso, inventore ed esploratore, ogni predicatore di moralità, ogni politico corrotto, ogni "superstar", ogni "comandante supremo", ogni santo e peccatore nella storia della nostra specie è vissuto lì, su un minuscolo granello di polvere sospeso in un raggio di sole.
La Terra è un piccolissimo palco in una vasta arena cosmica. Pensate ai fiumi di sangue versati da tutti quei generali e imperatori affinché, nella gloria e nel trionfo, potessero diventare per un momento padroni di una frazione di un puntino. Pensate alle crudeltà senza fine inflitte dagli abitanti di un angolo di questo pixel agli abitanti scarsamente distinguibili di qualche altro angolo, quanto frequenti le incomprensioni, quanto smaniosi di uccidersi a vicenda, quanto fervente il loro odio. Le nostre ostentazioni, la nostra immaginaria autostima, l'illusione che noi si abbia una qualche posizione privilegiata nell'Universo, sono messe in discussione da questo punto di luce pallida. Il nostro pianeta è un granellino solitario nel grande, avvolgente buio cosmico.
(Questo passo è davvero pirandelliano. Il palco del teatro e poi le illusioni, le maschere che via via l’uomo ha dato a sé stesso, l’insensatezza delle virtù come la gloria e l’onore per cui l’uomo ha sparso fiumi di sangue.
E poi «la nostra immaginaria autostima». Di cosa dovremmo essere orgogliosi? Eppure – e qui forse si sopravanza Pirandello – eppure è qui che abbiamo le nostre chances di essere vivi e realizzati. Non in un’altra parte. Occorre quindi essere persone umili e il più possibili generose, «vivere generosamente», come dice Borges nel suo Testamento poetico letterario).
Nella nostra oscurità, in tutta questa vastità, non c'è alcuna indicazione che possa giungere aiuto da qualche altra parte per salvarci da noi stessi. La Terra è l'unico mondo conosciuto che possa ospitare la vita. Non c'è altro posto, per lo meno nel futuro prossimo, dove la nostra specie possa migrare. Visitare, sì. Colonizzare, non ancora. Che ci piaccia o meno, per il momento la Terra è dove ci giochiamo le nostre carte. È stato detto che l'astronomia è un'esperienza di umiltà e che forma il carattere. Non c'è forse migliore dimostrazione della follia delle vanità umane che questa distante immagine del nostro minuscolo mondo. Per me, sottolinea la nostra responsabilità di occuparci più gentilmente l'uno dell'altro, e di preservare e proteggere questo pallido puntino blu, l'unica casa che abbiamo mai conosciuto. (Carl Edward Sagan, da Pale Blue Dot)
Siamo quindi non solo sul palco della terra, ma anche su quello del cosmo. Come personaggi di Pirandello ci troviamo a recitare a soggetto, improvvisando, dandoci da soli delle istruzioni. Eppure i lanternoni ci sono ancora, le guerre esistono sotto una forma inedita. Si combatte ancora per una minuscola porzione di quel puntino; si fa del male; si resta attaccati alle proprie verità, restando sordi alla bellezza di chi porta una storia diversa e un diverso punto di vista. Continuiamo spesso a confezionare una verità e ci adeguiamo a modelli di vita scelti senza libertà e coscienza. Persino perpetuare la specie può essere un meccanismo infernale: nascere, crescere, morire. Infinitamente. Ha senso?
Amico mio, sono contento di non aver conosciuto mia madre. Forse, se l'avessi conosciuta, questo sentimento feroce non sarebbe nato in me. Ma dacché m'è nato, sono contento di non aver conosciuto mia madre. // Vieni, vieni; entra qua con me, in quest'altra stanza. Guarda! // Questo è mio padre. // Da sette anni, sta lì. Non è più niente. Due occhi che piangono; una bocca che mangia. Non parla, non ode, non si muove più. Mangia e piange. Mangia imboccato; piange da solo; senza ragione; o forse perché c'è ancora qualche cosa in lui, un ultimo resto che, pur avendo da settantasei anni principiato a morire, non vuole ancora finire. // Non ti sembra atroce restar così, per un punto solo, ancora preso nella trappola, senza potersi liberare?//
Egli non può pensare a suo padre che lo fissò settantasei anni addietro per questa morte, la quale tarda così spaventosamente a compirsi. Ma io, io posso pensare a lui; e penso che sono un germe di quest'uomo che non si muove più; che se sono intrappolato in questo tempo e non in un altro, lo debbo a lui! // Piange, vedi? Piange sempre così.
.. e fa piangere anche me! Forse vuol essere liberato. Lo libererò, qualche sera, insieme con me. Ora comincia a far freddo; accenderemo, una di queste sere, un po' di fuoco... Se ne vuoi profittare...
No, eh? Mi ringrazii? Sì, sì, andiamo fuori, andiamo fuori, amico mio. Vedo che tu hai bisogno di rivedere il sole, per via.
Rivedere il sole significa illudersi: e noi amiamo l’illusione, perché è tipica dell’uomo. Rifiutare l’idea che ci stiamo illudendo. Questo dà la forza di andare avanti in un tacito patto che facciamo a noi stessi. I lanternini e lanternoni di prima. Tutto questo ancora accade, perché Pirandello osservava una realtà non troppo diversa dalla nostra. E, dopotutto, l’uomo è mai stato tanto diverso da sé stesso? «Dove troverò gli uomini diversi dagli uomini?», scrive Foscolo nell’Ortis.
Eppure non possiamo negare che qualcosa di questo mistero resti positivo. Sta a noi far diventare l’occasione di vivere una trappola, auto-destinandoci a una non-vita, come criceti che girano a vuoto, destinati al Nulla, oppure tentare la via di una ricerca più ardua che ci darà la forza di staccarci da quel puntino e contemplare anche altre dimensioni, alti mondi, altri spazi, altri tempi e sentirci parte di un disegno più grande, così grande che per vederlo dobbiamo chiudere gli occhi e immaginare. È questa, dopotutto, è la sfida più attuale e più umana che possiamo porre davanti a noi.
La scaletta per un tema su Luigi Pirandello
Una struttura ci vuole. Usa le prime righe del tuo tema come introduzione, per poi esporre l’argomento ed approfondirlo criticamente, fino a tirare le tue conclusioni. Dunque:
- Introduzione.
- Esponi il tema “la notte nell’immaginario”, cercando di far capire al lettore la linea che vorrai dare al tuo elaborato.
- Approfondisci il tema declinandolo secondo le varie sfumature che sei in grado di cogliere.
- Crea delle prospettive per interpretare la notte a seconda dei vari contesti.
- Conclusioni.
Stesura del tema su Pirandello
Ora che hai scelto letto tutti i documenti e fatto una scaletta per non uscire fuori tema, è arrivato il momento della stesura. Segui queste indicazioni di seguito.
Introduzione
A seconda del tuo gusto puoi scegliere di fare riferimento a un particolare avvenimento inerente al tema, oppure letteralmente “fondere” l’introduzione e la presentazione dell’argomento. Scegli bene anche lo stile da utilizzare: se procedi a frasi brevi, darai risalto all’aspetto più emozionale; con periodi più lunghi, invece, porrai l’attenzione sul ragionamento.
Presentazione dell’argomento
Scegli bene come presentare la tua tesi sull’argomento. L’importante è far capire al lettore in che modo parlerai della notte. Scegli una linea precisa, per non cadere in una mera elencazione di visioni diverse. Crea dinamismo nel tuo tema.
Elaborazione dell’argomento
All’interno degli articoli che trovi nei commenti, puoi trovare tante strade per interpretare correttamente il fenomeno: ricordati di citarli. Una volta che avrai inquadrato il fenomeno da tanti punti di vista, proponi delle soluzioni che abbiamo buon senso: che siano cioè attuabili.
Conclusioni del tema su Pirandello
Sei adesso alle conclusioni. Rileggi bene il tuo testo. Sei riuscito a riattualizzare la figura di Pirandello? Sei riuscito a citarne la poetica in modo da renderla ancora problematica? Controlla bene. Quindi poi chiudere indicando una prospettiva sia letteraria sia filosofica all’opera di Pirandello oggi.
Tracce svolte per la maturità
Preparati alla prima prova della maturità con le nostre tracce svolte:
- Marie Curie e le donne nella scienza
Tema svolto per i 150 anni dalla nascita di Marie Curie che approfondisce la sua biografia e il rapporto, ancora oggi controverso, delle donne con la scienza - Tema svolto sul linguista Tullio De Mauro
Tema svolto sul rapporto tra lingua e cultura: Tullio De Mauro e la sua eredità di linguista e studioso - Tema svolto sui trattati di Roma
Elaborato svolto in occasione dei 60 anni della fondazione dell'Europa - Tema svolto sulla compassione
Traccia per interrogarsi sul ruolo della compassione nella società attuale, se esiste ancora e con quali mezzi si esprime oggi - La Brexit, un evento che ha cambiato l'Unione Europea
Leggi il tema svolto con le riflessioni e gli spunti per comprendere l'evento, i motivi che lo hanno favorito e le conseguenze future - Il fenomeno degli Youtuber è in costante crescita
Tema espositivo-argomentativo che parte dalla nascita di Youtube per arrivare a una riflessione sul fenomeno che non sembra arrestarsi - Le stragi di civili durante le guerre
Tema svolto per la traccia di attualità, tutte le riflessioni sul delicato argomento per la prima prova scritta
Un aiuto in più per i tuoi temi
Essere in grado di scrivere un buon tema alle Medie e alle Superiori è fondamentale per poter comunicare efficacemente, sviluppare le proprie capacità cognitive, prepararsi al mondo dell'università e del lavoro, migliorare la propria creatività. Saper scrivere bene, infatti, racconta molto di sé e per questo motivo è importante saperlo fare nel migliore dei modi. Ecco qualche strumento che può tornarti utile:
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