Tema sull'antisemitismo

Esempio di tema svolto sull'antisemitismo: il razzismo contro gli ebrei e la Shoah

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Per antisemitismo si intende l’ostilità verso il popolo ebreo organizzata in un movimento politico-ideologico. L’antisemitismo trova la base in diverse motivazioni: religiose, culturali, razziali, nazionalistiche ed economiche. Esso ebbe inizio nel 1933 ed è durato fino al 1945;  Adolf Hitler, che era il dittatore della Germania, era convinto che esistesse una razza superiore: la razza ariana. “I non ariani”, in particolare gli ebrei, dovevano essere sterminati. Ci fu il divieto di matrimonio tra ebrei e tedeschi, il boicottaggio dei loro negozi e l’obbligo di portare un segno di riconoscimento (la stella di Davide) cucita sui vestiti in modo che gli ariani potessero evitarli. Pur pazzesche che possono sembrare, queste idee conquistarono molta gente, che trovarono negli ebrei le persone sulle quali sfogare la propria rabbia.

La persecuzione contro gli ebrei

Nel 1933 Hitler iniziò la persecuzione contro gli ebrei: la gestapo, polizia nazista ideata per preservare l’insolazione degli ebrei, scovò e uccise migliaia di ebrei. Hitler, in questo modo, sperava di sfavorire la riproduzione degli ebrei e quindi la loro estinzione. Così scatenò, in tutta la Germania, azioni violente contro tutti gli ebrei, crudelissima fu la  “notte dei cristalli”. Hitler decise di deportare gli ebrei non uccisi nei campi di concentramento, luoghi dove venivano deportati ebrei e antinazisti in genere. Questi erano anche detti lager ed erano diversi dalle carceri per due motivi: in primo luogo i prigionieri non erano sottoposti ad un regolare ed imparziale giudizio, in secondo luogo vi erano rinchiusi a tempo indeterminato.

Quella di costruire i lager non fu un’idea improvvisa; Hitler, infatti, li fece costruire già quando salì al potere, il 30 gennaio 1933 e vennero chiamati KZ. In questi campi di concentramento furono deportati uomini pregiudicati, zingari, omosessuali, disabili, prostitute e tutti quelli considerati incompetenti. Queste persone venivano usate come cavie scientifiche e mediche. Quando nel 1942 Hitler non seppe più cosa farsene attuò la “soluzione finale”, cioè lo sterminio dei deportati. Tra i 6 milioni di ebrei uccisi c’era una ragazzina di nome Anne Frank che scrisse un diario mentre era nascosta in una soffitta per non essere catturata. Nel suo diario, che lei chiamava Ketty, descrive la triste vita di chi, in preda al panico, sotto i bombardamenti, non poteva né parlare, né camminare. Il padre, l’unico sopravvissuto, fece pubblicare quel diario per non far dimenticare la follia nazista.

Cos'è la Shoah

Shoah significa “sterminio”, termine col quale si indica la persecuzione e il programmatico genocidio degli ebrei europei da parte del regime nazista nel corso della Seconda Guerra Mondiale. Per indicare l’evento è comunemente, anche se impropriamente, usato il termine olocausto (greco holókauston, composto di hólos, "tutto, intero" e kaustós, "bruciato": bruciato completamente), che originariamente defiiva il rito religioso in cui l'offerta veniva distrutta dal fuoco. Come conseguenza delle idee nazionaliste e razziste proclamate da Hitler nel Mein Kampf (1925), il regime nazista, sin dall'inizio, adottò contro gli ebrei misure di discriminazione sistematica, formalizzate in seguito nelle leggi di Norimberga (5 settembre 1935).

Secondo l'ideologia antisemita e razzista del regime, ebreo era chiunque risultasse avere tre o quattro nonni osservanti della religione ebraica, indipendentemente dalla effettiva partecipazione alla vita della comunità ebraica; mezzo-ebreo era chi aveva due nonni osservanti o era sposato con un ebreo; chi aveva un solo nonno ebreo veniva designato come mischlinge (meticcio).

Ebrei, mezzi ebrei e mischlinge, in quanto non ariani, erano soggetti a leggi e prescrizioni discriminatorie. Dal 1933 al 1939 Partito nazista, enti governativi, banche e imprese private misero in atto un'azione comune volta a emarginare gli ebrei dalla vita economica del paese.

I non-ariani vennero licenziati dalla pubblica amministrazione; gli avvocati e i medici ebrei persero i clienti ariani; le ditte di proprietà ebraica furono liquidate o acquisite da non-ebrei a prezzi molto inferiori al valore reale; i ricavi ottenuti dal trasferimento delle imprese dagli ebrei ai nuovi proprietari (la cosiddetta "arianizzazione" dell'economia) furono assoggettati a speciali tassazioni; gli ebrei impiegati in ditte liquidate o arianizzate persero il lavoro.

Obiettivo dichiarato del regime nazista prima della seconda guerra mondiale era spingere gli ebrei all'emigrazione. Nella notte tra l'8 e il 9 novembre 1938 (la notte dei cristalli), come rappresaglia all'assassinio a Parigi di un diplomatico tedesco da parte di un giovane ebreo, in Germania furono incendiate tutte le sinagoghe e infrante le vetrine dei negozi di proprietà ebraica, mentre nei giorni successivi le SS arrestarono e deportarono migliaia di ebrei.

Molti ebrei tedeschi e austriaci decisero di abbandonare il paese senza ulteriori indugi; centinaia di migliaia di persone trovarono rifugio all'estero, ma altrettante si videro costrette o scelsero di rimanere. Nel 1938 anche il re d'Italia Vittorio Emanuele III ratificò leggi razziali antiebraiche, volute, sul modello di quelle tedesche, dal regime fascista di Mussolini. Ne conseguì un esodo, quantitativamente assai più modesto, di cittadini italiani di origine ebraica e di quanti, come il fisico Enrico Fermi, avevano un coniuge ebreo.

La soluzione finale

A un mese dall'inizio delle operazioni in Unione Sovietica, il numero due del Reich, Hermann Göring, inviò una direttiva al capo dei servizi di sicurezza, Reinhard Heydrich, incaricandolo di organizzare una "soluzione finale" della questione ebraica in tutta l'Europa occupata o controllata dalla Germania. A partire dal settembre 1941 gli ebrei tedeschi furono costretti a portare ben visibile, cucita sugli indumenti o su una fascia da tenere al braccio, una stella gialla; nei mesi seguenti decine di migliaia di ebrei furono deportate nei ghetti in Polonia e nelle città sovietiche occupate. Fu poi la volta delle deportazioni nei campi di concentramento (Lager), alcuni già esistenti prima della guerra, altri appositamente costruiti a partire dal 1941, soprattutto in Polonia, e adibiti alla funzione di campi di sterminio. Vi confluirono gli ebrei provenienti non solo dai ghetti vicini (300.000 dal solo ghetto di Varsavia), ma anche da tutti i paesi europei occupati dai nazisti.

Bambini, vecchi e tutti gli inabili al lavoro venivano condotti direttamente nelle camere a gas; gli altri invece erano costretti a lavorare in officine private o interne ai campi e, una volta divenuti inadatti alla produzione per le terribili fatiche e privazioni subite, venivano eliminati.

La maggior parte delle deportazioni ebbe luogo tra l’estate e l’autunno del 1942, dopo che nel gennaio dello stesso anno erano stati precisati (nella conferenza di Wannsee, presso Berlino) i termini della soluzione finale. I casi di resistenza alle deportazioni furono rarissimi.

Nell'aprile del 1943 gli ultimi 65.000 ebrei di Varsavia tentarono di opporsi alla polizia, entrata nel ghetto per la retata finale, ma vennero massacrati nel corso degli scontri, che si protrassero per tre settimane. Benché le deportazioni creassero problemi di ordine politico, amministrativo e logistico in tutta l’Europa, anche nei paesi governati da regimi collaborazionisti, come la Slovacchia e la Croazia, si procedette al rastrellamento degli ebrei da deportare nei campi di sterminio. Il governo collaborazionista francese di Vichy emanò direttive antisemite ancor prima che vi fosse una richiesta tedesca in tal senso. Una certa riluttanza a collaborare con i nazisti nella soluzione finale fu dimostrata dal governo ungherese e da quello rumeno, sino a quando godettero di un margine di autonomia (1944). La Bulgaria si rifiutò di consegnare i propri cittadini ebrei ai tedeschi. Nella Danimarca occupata, la popolazione si impegnò per mettere in salvo i compatrioti ebrei, imbarcandoli verso la neutrale Svezia e sottraendoli così alla morte.

I campi di concentramento e la fine della guerra

In Italia il governo fascista, che pure aveva spontaneamente introdotto leggi "a difesa della razza", rifiutò di collaborare con l'alleato nazista fino al 1943, quando, dopo l’armistizio dell’8 settembre nell’Italia centrale e settentrionale occupata dai tedeschi si instaurò il governo della Repubblica sociale italiana. Molti ebrei italiani furono internati in centri di raccolta, come quello di Fòssoli, vicino a Carpi, e poi avviati ai campi di sterminio: frequenti ma isolati furono gli episodi di resistenza civile o militare che ostacolarono l’attuazione delle direttive governative.

I beni dei deportati (conti bancari, proprietà immobiliari, mobili, oggetti personali) vennero sistematicamente confiscati dal governo tedesco. Il trasferimento nei campi di sterminio avveniva generalmente in treno. La polizia pagava alle ferrovie di stato un biglietto di sola andata di terza classe per ciascun deportato: se il carico superava le 1000 persone, veniva applicata una tariffa collettiva pari alla metà di quella normale. I treni, composti da vagoni merci sprovvisti di tutto, persino di buglioli e prese d'aria, viaggiavano lentamente verso la destinazione e molti deportati morivano lungo il tragitto.

Le destinazioni più tristemente famose, fra le tante, furono Buchenwald, Dachau, Bergen-Belsen, Flossenburg (in Germania), Mauthausen (in Austria), Treblinka, Birkenau, Auschwitz (in Polonia). Quest'ultimo era il più grande tra i campi di sterminio; vi trovarono la morte oltre un milione di ebrei, molti dei quali furono prima usati come cavie umane in esperimenti di ogni tipo. Per una rapida eliminazione dei cadaveri, nel campo vennero costruiti grandi forni crematori.

Nel 1944 il campo fu fotografato da aerei da ricognizione alleati a caccia di obiettivi industriali; i successivi bombardamenti eliminarono le officine, ma non le camere a gas. Al termine della guerra, si poté calcolare che nei campi di sterminio avevano trovato la morte più di sei milioni di ebrei, oltre a slavi, zingari, omosessuali, testimoni di Geova e comunisti.

Nel dopoguerra il ricordo della Shoah ebbe un peso essenziale nella formazione di un ampio consenso, attorno al progetto di costituire in Palestina uno stato ebraico che potesse accogliere i sopravvissuti alla tragedia: il futuro stato di Israele.

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