Tema sul peccato di gola nella Divina Commedia
Tema sul peccato di gola nella Divina Commedia: ecco come Dante Alighieri affronta il tema nel canto VI dell'Inferno
Indice
Tema sul peccato di Gola nell'Inferno di Dante
Nella Divina Commedia di Dante Alighieri, il peccato di gola è uno di quelli che vengono puniti nell'Inferno. Questo peccato, che consiste nell'eccessiva ricerca di piacere attraverso il cibo, è spesso associato ad altri vizi come la lussuria e l'avarizia. In questo tema, analizzeremo come Dante affronta il peccato di gola nell'Inferno, esplorando le descrizioni delle punizioni riservate ai peccatori e le riflessioni del poeta sulla natura di questo peccato. Siamo nel sesto canto dell'Inferno della Divina Commedia.
Svolgimento
I dannati costretti a perire in eterno le pene infernali nel terzo cerchio, nella loro vita terrena, hanno impiegato tutte le loro forze ed energie nella ricerca dei cibi più prelibati e succulenti, hanno commesso di peccato di Gola. Questo, per Dante, è uno dei peccati che più induce l’uomo a distruggere la sua dignità, lo rende come passivo al resto del mondo, lo costringe a trasformarsi in un avaro egoista interessato solo a possedere ciò che meglio appaghi i piaceri del suo ventre. I peccatori di gola sono coloro che hanno anteposto le prelibatezze del cibo di fronte ad ogni altro aspetto della realtà, tralasciando i principi della giustizia e del rispetto per gli altri.
Nulla può fungere da ostacolo, la sola meta da raggiungere per questi peccatori è la sazietà e l’ingordigia, infatti questo peccato è alla radice della cupidigia perché nasconde in se altri peccati come quello dell’avarizia, dell’egoismo, della superbia, dell’individualismo che nascono dai comportamenti di questi peccatori che sono come ossessionati dal cibo e dalla buona tavola. La loro pena infernale è quella di essere costretti a rotolarsi in un fango putrido e maleodorante colpiti da una pioggia gelida, custode di questo cerchio è Cerbero, un gigantesco e spaventoso cane a tre teste che li tormenta in eterno. Il dannato protagonista in questo canto è Ciacco, uomo politico che rispecchiava i suoi eccessi personali sul popolo che da lui era amministrato, consapevole della sua tremenda colpa si rende come un portavoce del suo peccato. Ciacco parla a Dante facendogli delle rivelazioni in merito al futuro di Firenze, poi fa un’affermazione che lascia scorgere l’invidia che prova nei confronti di Dante per il “dolce mondo” (usa questa espressione) al quale lui non potrà più fare ritorno, così gli domanda di ricordarlo “alla memoria degli altri” quando avrà terminato il suo viaggio, un po’ come un ultimo desiderio.
Ciacco, nel suo percorso terreno, aveva trascurato il presupposto fondamentale che alla salvezza si arriva solo se si conduce una vita in accordo con un ordine morale, che parte dalle singole azioni quotidiane. Riflettendo sulla condizione attuale del mondo, non si può fare a meno di notare quanto questa colpa sia ancora presente. Le abitudini e le necessità umane possono essere mutate nel corso del tempo, ma il comportamento con cui cerchiamo di soddisfarle rimane lo stesso: ossessivo, egoista, intrattabile.
Ci estraiamo dal mondo solo per conquistare denaro, fama e sesso, e il "dio Denaro" diventa spesso l'unico fine della nostra vita. Quante persone, quante società, quante nazioni sono crollate nella tremenda tagliola dell'economia a causa dell'ingordigia e della golosità di pochi uomini potenti? I capi di società e di stato, preoccupati solo per il proprio potere e la propria ricchezza, hanno spesso dimenticato il bene del proprio popolo. In questo tema, analizzeremo come la critica morale di Dante alla colpa di gola sia ancora rilevante per la nostra comprensione del ruolo dell'avidità e dell'eccesso nella vita umana, e come la sua opera possa aiutarci a riflettere sulle conseguenze della ricerca sfrenata del potere e del denaro.
Conclusione
Il famelico desiderio del denaro ci ha scagliati uno contro l’alto, ci ha indotto a lanciare anche contro i nostri figli armi che ci trasformano, ci rendono mutanti. Questo “dio” estremamente venerato nell’epoca moderna ci ha portato anche, proprio come “la gola” di cui parla Dante, a compiere altre e azioni talvolta maligne anche se a noi appaiono come tanti altri desideri da realizzare che ci avvicinino sempre di più al tanto bramato denaro; come lo sfruttamento della prostituzione o la prostituzione stessa e la ricerca continua del successo che ci sembrano comodi aiuti da sfruttare per arrivare al nostro traguardo incuranti delle conseguenze sugli altri, anche sui nostri cari. Coloro che hanno anche una piccolissima parte di coscienza in più sono addirittura costretti a selezionare e scegliere con cura tutto ciò che comprano, che consumano, per cercare di non aumentare il potere di coloro che sfruttano il prossimo per il solo piacere di sentirsi sazi, sazi di soldi spremuti dai muscoli di piccoli lavoratori sfruttati, defraudati anche della loro vita.
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