Tema su Primo Levi e La ricerca delle radici

La ricerca delle radici: tema sull’antologia che raccoglie gli autori che sono stati fondamentali per la formazione e la produzione letteraria di Primo Levi.

Tema su Primo Levi e La ricerca delle radici
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TEMA SU PRIMO LEVI E LA RICERCA DELLE RADICI

Primo Levi
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Autore di Se questo è un uomo e La tregua, opere incentrate sul suo passato da ebreo, sull’esperienza della deportazione e sul lungo viaggio di ritorno in Italia dove divenne chimico di laboratorio e poi direttore di fabbrica. Colui è Primo Levi che nel 1980 per primo accettò la proposta di Giulio Bollati di scrivere una sorta di antologia personale, una raccolta di tutti gli scritti considerati dall’autore fondamentali per la propria produzione letteraria o comunque importanti per aver contribuito a formare quella forma mentis che lo caratterizzò per tutta la vita. Il testo qui proposto è tratto appunto dall’antologia “La ricerca delle radici”, qui l’autore con suprema maestria riesce a giocare con le proprie emozioni facendo trasparire il senso di paura che la ricerca degli studi passagli gli potrebbe provocare e allo stesso tempo l’euforia causata da questa nuova prova d’ingegno e maestria letteraria che gli si pone dinanzi.

Qui Levi riassume brevemente le radici del proprio sapere. Sostiene che il proprio sapere è ibrido, che considera la lettura e l’ibridismo allo stesso tempo, un aspetto positivo, in quanto gli ha dato la possibilità di scrivere e sperimentare molti generi letterari, e un aspetto negativo in quanto è privo di una certa e definita provenienza culturale. Sostiene poi che è grazie a suo padre se è diventato molto colto in quanto ha letto, anche se in modo disordinato, tutti i libri che si scambiavano suo padre e i suoi fratelli, infine sottolinea che leggere in modo confuso un po’ tutto lo ha influenzato, ma che questo aspetto non tocca il nocciolo delle sue opere che è invece costituito da quello che ha imparato con trent’anni di mestiere manuale.

Levi inizia questo racconto mettendo subito in chiaro, quasi componendo un monito per il lettore, il fatto che i suoi studi fossero stati misti, troppo misti forse anche secondo l’autore stesso, tanto che quasi giustificandosi per non aver avuto un’educazione precisa e auto-convincendosi di essere stato da subito un buon lettore prima e letterato poi, enuncia le parole Imput ibridi. Questi termini che compaiono già all’inizio della prima riga fanno sì che Levi consideri il suo ibridismo come la sua arma vincente, l’elemento fondamentale che l’ha reso versatile nella letteratura e, allo stesso tempo, il suo scheletro nell’armadio. Levi, infatti, appare allo stesso tempo compiaciuto per la richiesta della stesura dell’opera, amando molto sperimentare generi nuovi, placet experiri, come se la vita fosse una continua sfida; e curioso, forse Levi stesso non immagina che effetto può provocare nel suo animo questa ricerca e analisi delle sue origini e delle fondamenta della sua cultura.

La sua incoscienza e l’inconsapevolezza fanno definire questo tentativo di ricerca del passato come un esperimento incruento e una batteria di test che apparentemente potrebbero essere vuoto e freddo ma che teme si riveli un’esperienza troppo forte per lui tanto che con volentieri, dunque, ma con qualche riserva evidenzia questo intento d’indagine, circoscritta però solo ad alcuni capitoli della sua vita, non troppo dolorosi da rivivere.

La vena di amarezza appare con qualche riserva e tristezza, tristezza che proviene dalla presa di coscienza della sua non precisa provenienza culturale, da questo ibridismo tanto decantato nella prima parte del testo.

L’ibridismo di Levi diventa perciò il tema principale, il filo rosso del brano che per altro utilizza per redimersi dal peccato di aver letto senza un criterio ben preciso. Il senso di disagio e l’intento chiarificatore si evince subito dai primi versi – “ma non credo di stare inscritto nelle cose che ho letto– che evidenzia il vasto bagaglio culturale di Levi, ma che esso non derivi da soli libri ingeriti, elemento che viene sottolineato alla fine del testo – “forse le cose lette riaffiorano qua e là nelle pagine che poi ho scritto, ma il nocciolo del mio scrivere non è costituito da quanto ho letto” – quasi a rimarcare questo senso di vergogna per una cultura ibrida; bensì anche, e soprattutto, per aver condotto per trent’anni un mestiere tecnico. Levi ha quindi un rapporto molto particolare con la lettura.

Se da una parte scrive libri ingeriti, avidi di letture e leggere era un vizio, espressioni che già di per sé sottolineano come Levi consideri negativo l’aver letto un po’ di tutto senza criterio, li associa a innocente, tradizionale, un’abitudine gratificante che invece evidenziano l’amore dell’autore per la lettura e per la scrittura. Si nota quindi sin da una prima lettura questa indecisione e contraddizione di fondo che probabilmente rispecchia appieno il carattere di Levi. L’autore ha quindi sempre avuto una stretta relazione con la cultura e con i libri, è infatti dal proprio padre che prende la passione ardente per la carta stampata, così da lui denominata, amore che caratterizzava anche la vita degli zii di Levi tanto che i tre fratelli si contendevano i libri come se leggere fosse l’unica ragione della loro vita, l’ossigeno che li facesse vivere serenamente in un’aria di cultura. La forte presenza in casa di un gran numero di libri, di cui la maggior parte sono testi non scolastici, crea infatti nell’autore una fiducia profonda in quel mezzo di comunicazione ed espressione che è, appunto, la carta stampata, alla quale dimostra quindi un grande attaccamento. 

Leggere, quindi oltre che essere indispensabile, per Levi, riempiva i vuoti di tempo, come una sorta di fata Morgana nella direzione della sapienza. Levi rinvia quindi alla leggenda della fata Morgana, vedendo nella sua istruzione un qualcosa di mitico poiché studiava e apprendeva senza la reale volontà di farlo, senza però raggiungere la conoscenza assoluta e perfetta richiamando in tal modo l’illusione creata da una maga che fa percepire la sapienza come vicina e facile da raggiungere ma in realtà è solo un’illusione. Levi quindi grazie all’influenza dei suoi familiari ha appreso dai libri molte nozioni utili per scrivere, ma di questo tempo trascorso sui libri ne ebbe una percezione diversa dalla realtà, dice infatti “ho letto molto, soprattutto negli anni di apprendistato, che nel ricordo mi paiono stranamente lunghi, introducendo una sua personale percezione del tempo che definisce tempo soggettivo.

In Levi il tempo soggettivo può essere inteso con un duplice significato, uno legato più alla sua formazione culturale, una alla sua biografia che, inevitabilmente, ha influenzato molto lo stile dell’autore. Più in senso letterario possiamo concepirlo semplicemente come il dilatarsi del tempo trascorso durante la sua formazione culturale basata sulla lettura dei libri, tempo che sembrava non finire mai, si dilatava, arrivando quasi a raddoppiare o triplicare la sua durata, facendo sembrare più lunga e intensa una cosa piacevole, anche se Levi probabilmente se ne rende conto sola ora che ripercorre le tappe fondamentali della sua vita. 

La seconda interpretazione, sicuramente più profonda identifica invece questo tempo soggettivo come i duri momenti trascorsi nel grigio quadro dei campi di concentramento dove il tempo sembrava non finire mai, ci viene perciò presentato un tempo che si dilatava in modo negativo rendendo ancora più atroci e lunghi quei momenti già di per sé angoscianti; questa ultima visione giustificherebbe inoltre la presenza dei termini animali dalla vita breve che inquadra con assoluta esattezza e con agghiacciante verità la condizione in cui vivevano quei poveri ebrei, considerati meno che nulla, appunto solo come animali che venivano eliminati non appena veniva a mancare la forza per sottostare alle regole di persone insensibili. Dall’esperienza fatta in prima persona nei campi di concentramento e dalle letture compiute in gioventù Levi, forma il bagaglio culturale che da adesso in avanti lo accompagnerà per tutta la vita. Come lui stesso afferma “le cose lette riaffiorano qua e là nelle pagine che poi ho scritto, sta proprio a indicare come la lettura abbia, in un certo senso, influenzato il suo modo di scrivere e di esporsi.

Contrariamente, sempre l’autore, dichiara che, seppur la lettura abbia influenzato il suo modo di scrivere, ciò che ha letto non influenza il nocciolo dei suoi scritti. Sottolinea infatti come il suo modo di scrivere sia stato influenzato molto di più dal suo mestiere di chimico, dalle vicende personali e dalla sua storia rispetto ai libri letti, proprio ad indicare la maggior importanza dell’esperienze rispetto alla lettura. Levi propone quindi un’antologia personale basata esclusivamente sui romanzi, i saggi e i testi che possedeva a casa grazie all’avidità di lettura del padre e degli zii. Le sue conoscenze in un certo senso rimanevano quindi circoscritte ai libri che circolavano tra le tre famiglie. La cultura di oggi, grazie anche all’informazione di massa, all’alfabetizzazione totale tra i paesi sviluppati si può con certezza affermare che la cultura è più accessibile a tutti, è più “aperta” nel senso che tutti possono liberamente esprimere le proprie opinioni avendo un senso critico dovuto all’informazione che inizia già all’età di tre anni, con i dovuti livelli di difficoltà. L’uomo di oggi in un certo senso non ha acquisito le conoscenze di base perché davvero interessato ad averle, ma gli sono state imposte quando ancora non era in grado di decidere se una cosa fosse giusta o sbagliata.

Questo fa si che col tempo un ragazzo possa acquisire quel senso critico che gli permetta di scegliere che letture fare e quale uomo diventare.

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