Tema argomentativo sulla caduta del Muro di Berlino

Tema svolto sull'evento che cambiò il volto dell'intera Europa il 9 novembre 1989, la caduta del muro di Berlino

Tema argomentativo sulla caduta del Muro di Berlino
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Tema svolto sulla caduta del muro di Berlino

Tema svolto sulla caduta del muro di Berlino, 1989
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Il 9 novembre 1989 un evento cambiò profondamente il volto dell'Europa e il corso della storia contemporanea: parliamo della caduta del muro di Berlino

In quel giorno di novembre la Germania dell’Est annunciò l’apertura della “frontiera” tra Berlino Est e Ovest.

Le immagini a cui hanno assistito i nostri genitori alla televisione sono testimonianze che commuovono e ritraggono, spesso, le persone arrampicate sul muro per raggiungere l’altra parte della città per ricongiungersi, in molti casi, alla propria famiglia che era stata, fino a quel momento, separata dal muro di Berlino.

Gli storici fissano al 1991 la fine della Guerra Fredda, perché è nel dicembre di quell’anno che l’Unione Sovietica si dissolve mettendo fine, di fatto, a un mondo diviso in due blocchi, figlio della seconda guerra mondiale. Erano state portate avanti per più di quarant’anni due ideologie ben distinte, quella capitalista e quella comunista. Stati Uniti e Unione Sovietica avevano cercato per tutto quel tempo di rendere il proprio modello migliore dell’altro, o almeno più attraente. Lo avevano fatto, però, con strategie differenti: l’URSS aveva avuto un atteggiamento difensivo perché, nonostante Stalin credesse che il comunismo avrebbe sostituito il capitalismo, sapeva bene che il modello occidentale non era in crisi; gli USA, invece, avevano un obiettivo ben preciso: portare il benessere nel mondo e garantire la propria sicurezza.

Cosa c’entra Berlino in questa lotta tra superpotenze? Il punto nevralgico della Guerra Fredda è la Germania perché, dentro la sfera d’influenza sovietica, c’è un pezzettino di sfera di influenza americana, Berlino ovest. Per Stalin è intollerabile e, per questo motivo, nel 1948 blocca il passaggio tra Berlino est e ovest. La logica è quella dell’effetto domino: se si perde Berlino, si perde la Germania, quindi l’Europa, quindi il mondo. È a causa di questa logica che quando nel 1950 la Korea del Nord attacca la Korea del Sud, Truman interviene: in ogni piccola crisi si vede una potenziale crisi mondiale. Gli Stati Uniti sono preoccupati di una possibile futura supremazia dell’Unione Sovietica, la quale, viceversa, teme l’attuale egemonia americana su tutte le zone del pianeta non occupate dall’Armata Rossa.

Quando la Guerra Fredda si conclude, il mondo non può più tornare ad essere quello di prima: troppo è cambiato, tutti i punti di riferimento sono caduti, tutte le mappe devono essere modificate. La fine della Guerra Fredda si rivela non solo la fine di un’epoca per l’est europeo, ma per il mondo intero.

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Come si interpreta il mondo dopo la Caduta del muro di Berlino e la fine della Guerra Fredda? In vari modi. Intanto agli inizi degli anni Novanta, si assiste a una disgregazione dei gruppi multiculturali.

Bisogna definire un confine europeo: dove finisce l’Europa? Dove finisce il cristianesimo cattolico protestante e inizia quello ortodosso? Nel blocco ortodosso, appunto, la Russia assume la posizione centrale circondata da quelli che vengono definiti stati di cuscinetto islamici, Armenia, Kazakistan, Turchia. Il polo sinico riconosce nuovamente alla Cina il ruolo egemone. Per quanto riguarda l’Islam, invece, all’indomani della Guerra Fredda si deve fronteggiare un problema: qual è lo stato guida? Lì, la religione è l’unico grande fattore di coesione, l’Ummah (comunità) è più importante della nazione. Ci sono diversi stati che potrebbero prendere la guida, ma ognuno di loro risulta manchevole di qualcosa: l’Indonesia è dislocata, l’Egitto è povero e legato agli Stati Uniti, in Iran sono tutti sunniti, il Pakistan è povero, la Turchia è laica e l’Arabia Saudita dipende dall’Occidente.

Come è cambiato, allora il mondo, dopo la Guerra Fredda? C’è una forza che, a detta di molti, sarebbe alla base di tutti i processi si coesione, disintegrazione e conflittualità che caratterizzano il mondo post Guerra Fredda: la cultura. Lo scontro tra civiltà si sostituirebbe, in questo modo, allo scontro tra superpotenze. Dopo la morte dell’ideologia, l’uomo cerca un nuovo nemico per definire chi è. In questo modo si va a creare uno scenario multipolare, di sette o otto civiltà, e non più bipolare, come era stato dal 1947 al 1991.

Il Muro di Berlino oggi
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La cultura diventa la forza aggregante e disgregante. Così, si delinea un mondo in cui si può parlare di Stati membri, quelli che sono perfettamente integrati in una civiltà; di Stati guida, per esempio gli Stati Uniti per l’occidente; di Stati divisi, come l’Africa in cui si accavallano diverse civiltà difficili da unificare; di Stati in bilico, ovvero quegli stati che possiedono una cultura dominante e appartengono a una civiltà, ma i loro leader la collocano in un’altra. Possiamo citare l’Australia che negli anni Novanta tenta di “asianizzarsi”, fallendo a causa del forte retaggio occidentale; possiamo citare la Turchia che durante la Guerra Fredda si unisce al blocco occidentale contro l’Urss, ma che poi, quando cerca di entrare nell’Unione Europea, non ci riesce a causa del conservatorismo del suo leader.

Dunque, possiamo dire che, a oltre trent’anni alla caduta del muro di Berlino, gli equilibri mondiali siano piuttosto cambiati. Oggi per definirci non ci sono più le grandi ideologie di un tempo, o meglio, ci sono ma non svolgono il ruolo che hanno avuto durante tutta la Guerra Fredda. L’uomo ha sempre bisogno di un’identità avversativa, si riconosce e comprende chi è, solo se sa di essere diverso rispetto a qualcos’altro: sono io perché sono diverso da te. Una civiltà universale, è palese a tutti, non può vedere la luce: non può esistere una religione universale, non può esistere una lingua universale (ci si è provato con l’inglese, ma se riesce a essere uno strumento di comunanza, non può essere uno strumento di identità).

E se state pensando alla globalizzazione, quella non è la risposta perché globalizzazione non è sinonimo di aggregazione culturale né di identità universale.

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