Teatro rinascimentale: storia, caratteristiche e autori
Indice
1Il palco e la corte nel Rinascimento
La storia culturale del Quattrocento italiano, dal punto di vista letterario, poetico e anche drammaturgico è legata alla centralità che vengono ad assumere le corti signorili, cosa che crea un nuovo assetto politico e sociale, ma non solo, le corti signorili cominciano a costituire i nuovi polo gravitazionali della società italiana, determinandone gusti, indirizzi culturali e linguistici connettendosi strettamente con quella nuova corrente umanistica che s’impone come la più innovativa del periodo, e che si basa sulla riscoperta filologicamente fedele dei classici latini e greci.
La drammaturgia di questo periodo rispecchia entrambi questi aspetti:
• da un lato si connota come una produzione artistica pensata per un pubblico colto, altolocato, raffinato com’è appunto il ceto aristocratico che anima le corti, e le stesse vicende biografiche degli autori sottolineano il loro forte legame a determinate corti signorili, a casate nobiliari e ai loro esponenti, mentre dal punto di vista formale e letterario si caratterizza per una forte ripresa dei temi e delle forme del teatro latino, pescando a piene mani dalle opere di Terenzio e Plauto, motivo per cui in quest'epoca è la commedia ad essere privilegiata tra gli autori; tra i modelli del teatro rinascimentale però, ed è un modello assai più recente e concreto, c'è anche Boccaccio con il suo Decameron, da cui i drammaturghi di questa nuova epoca riprendono personaggi, situazioni, vicende ma soprattutto ricavano i modelli linguistici con cui esprimere la comicità.
• Dal teatro classico quello rinascimentale riprende la struttura di stampo aristotelico con il prologo, la suddivisione in cinque atti e la scena fissa in ambiente esterno, discostandosi così in maniera forte dalla tradizione teatrale medievale che invece prevedeva la scena multipla e simultanea.
Ma il teatro rinascimentale presenta anche delle innovazioni rispetto al teatro classico:
- rilievo che assume il prologo, in cui l'autore dialoga sia con il pubblico che con gli autori di altre opere ponendo questioni sul modo di fare teatro;
- maggiore complessità degli intrecci che diventano molto più ricchi di scambi di persona, equivoci, paradossi e agnizioni.
Anche i tipi dei personaggi vengono ripresi dal teatro classico e, al netto di alcune rimodulazioni che le modernizzano, si ritrovano le figure dei giovani innamorati, del padre avaro, del servo furbo, della donna pettegola.
Caratteristica particolare del teatro rinascimentale è di non nascondere i modelli classici, ma anzi di fare di tutto per esplicitarli, spesso nei prologhi, dove vengono citati gli autori e le opere cui s'ispira il dramma che sta per andare in scena: un'escamotage che fa parte di un sottile e raffinato gioco intellettuale che coinvolge direttamente il pubblico e parla, contemporaneamente, al testo latino.
1.1La Firenze di Machiavelli
Rappresentata per la prima volta a Firenze in occasione del carnevale del 1519 la Mandragola di Machiavelli presenta tutte le caratteristiche dell'opera teatrale rinascimentale, dal prologo alla divisione in cinque atti fino alla connotazione dei diversi personaggi che, a parte Lucrezia, hanno tutti un nome greco.
Tuttavia la commedia di Machiavelli si connota per un forte legame con la realtà cittadina che si esprime non solo nella declinazione “fiorentina” dei diversi difetti dei personaggi, ma anche nella loro caratterizzazione linguistica, che si concretizza nell'uso di registri diversi per i vari personaggi, e per i frequenti riferimenti al Decameron, opera della grande tradizione letteraria toscana.
2Ariosto e la "commedia regolare"
La produzione letteraria di Ludovico Ariosto, e così quella drammaturgica, è invece strettamente legata alla corte estense di Ferrara, particolarmente colta e raffinata, anche per la volontà e l'impegno di principi come Ercole I, che spinse Ariosto a superare la rappresentazione teatrale puramente umanistica per definire forme nuove.
All'inizio del Cinquecento Ariosto comincia con la traduzione in volgare di opere in latino e con la rappresentazione di commedie originali scritte in volgare, La Cassaria (1508) e i Suppositi (1509).
A questo primo periodo segue una lunga pausa che si interrompe nel 1528, quando vengono rappresentati Il Negromante e la Lena entrambe composte in versi endecasillabi sdruccioli. La scelta di questo particolare metro è significativa perché rappresenta in maniera sostanziale ed evidente la soluzione trovata da Ariosto al problema della modernizzazione della commedia classica.
Da quest'ultima la commedia ariostesca riprende la costruzione con il prologo e i cinque atti, i personaggi stereotipati e privi di qualunque evoluzione emotiva e profondità psicologica, forme e tipi che vengono però attualizzati e calati nella realtà cortigiana del primo Cinquecento: sono contemporanee, infatti, le ambientazioni delle opere, che si svolgono nella Ferrara del tempo, e i riferimenti alla società e alla cultura del tempo; di particolare importanza, come si diceva, è la scelta del verso che ricalca il giambo della commedia classica, riesce a dare alle battute recitate la parvenza del parlato e a potenziare gli aspetti comici.
Eppure non è, ovviamente, il realismo l'aspetto forte del teatro ariostesco, lontano com'è da quelle scritture molto più spregiudicate come si trovano nella Mandragola, quanto il fatto di aver impostato un nuovo canone, colto eppur lontano da quei modelli umanistici che avevano ormai fatto il loro tempo; le commedie ariostesche s'impongono come modello non solo per il teatro italiano, ma anche per quello europeo, in virtù anche della loro capacità di porsi in rapporto simbiotico con quell'ambiente di corte che si andava affermando in tutto il continente, e proprio per questa capacità di ergersi a canone la commedia ariostesca viene anche definita “regolare”.
3I drammaturghi cortigiani
Lo stretto rapporto tra l’ambiente di corte e la produzione drammaturgica emerge in maniera evidente dalla biografia di due personalità dell’epoca, importanti non solo per la loro produzione letteraria, ma anche per i loro ruoli politici. L’importanza storico-letteraria di questi due autori risiede proprio nella loro internità all’ambiente di corte, nella loro capacità di riflettere il gusto e gli stili di un determinato ambiente, cosa dimostrata dal successo delle loro opere teatrali la cui rappresentazione avveniva principalmente a corte in occasione delle feste.
3.1Bernardo Dovizi Di Bibbiena
Nasce a Bibbiena, in provincia di Arezzo nel 1470 e, a causa del suo luogo di nascita viene spesso indicato semplicemente come il Bibbiena. Le sue vicende biografiche sono inestricabili da quelle della famiglia Medici e in particolare del cardinale Giovanni, di cui è al servizio.
Quando la potente famiglia viene cacciata da Firenze nel 1494, il Dovizi segue il cardinale nel suo esilio alla corte di Urbino, e qui conosce Baldassarre Castiglione e scrive la sua unica opera, la Calandria. Ambientata nella Roma antica, ha come protagonisti due gemelli di nome Lidio e Santilla che, benché di sesso diverso, sono identici nell’aspetto, cosa che dà spazio a diverse situazioni ambigue e paradossali; in quest’opera il Bibbiena riunisce gli evidenti riferimenti alla commedia classica con richiami alle situazioni di Boccaccio, poiché Calandrino è un nome che compare spesso nel Decameron, stilisticamente invece sono forti gli influssi della commedia ariostesca. Messa in scena per la prima volta nel 1513 a Urbino, l’opera viene replicata l’anno seguente proprio a Roma, città dove l’autore aveva seguito il cardinal de Medici che di lì a poco sarebbe stato eletto papa.
Nominato cardinale nel 1513 continua a restare a fianco del suo patrono, che gli affida diversi incarichi diplomatici di rilievo. Muore a Roma nel 1520.
3.2Annibal Caro
La produzione di questo autore è molto più ampia e variegata di quella del Bibbiena, ma permane il carattere di forte vicinanza alle corti e ai loro signori. Nato nelle Marche nel 1507, nel 1525 si trasferisce a Firenze per fare da precettore al nipote di monsignor Gaddi, che segue a Roma quando questi vi si trasferisce nel 1529; il periodo romano è segnato dalla ricca produzione di poesie burlesche.
Nel 1542 diventa segretario di Pier Luigi Farnese, nipote di papa Paolo III, che gli commissiona la una commedia, Gli straccioni, terminata nel 1543 e destinata alla rappresentazione nell’ambiente cortigiano.
Nel 1563 si ritira a vita privata dedicandosi alla scrittura di sonetti e Rime in stile petrarchesco, quindi secondo il modello bembiano, e alla traduzione dell’Eneide di Virgilio fino alla morte che avviene nel 1566.