Il teatro italiano del secondo Novecento

Il teatro italiano del secondo Novecento, da Eduardo De Filippo a Dario Fo e le loro opere più importanti.
Il teatro italiano del secondo Novecento
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1Il teatro italiano del secondo Novecento

Eduardo De Filippo in una scena di "Questi fantasmi"
Eduardo De Filippo in una scena di "Questi fantasmi" — Fonte: ansa

Nel corso del XX secolo il teatro e la drammaturgia mostrano una notevole vitalità e la capacità di affrontare argomenti moderni, come la crisi della società tradizionale attraverso l'uso di tecniche e di un linguaggio innovativo.  

Già all’inizio del secolo i movimenti d’avanguardia avevano provato ad adattare la drammaturgia alle loro idee e in questo, come in altri campi, erano stati soprattutto esponenti della corrente futurista come Marinetti, insieme a personaggi come Rodolfo de Angelis, Bruno Corra e Francesco Cangiullo ad ottenere i risultati più interessanti ed efficaci.  

Altrettanto innovativa, ma per motivi assai diversi e con esiti decisamente più profondi, è l’opera teatrale di Luigi Pirandello che, pur approdato alla drammaturgia in età matura, segna tanto profondamente il teatro del Novecento da esserne considerato il padre.  

La seconda metà del secolo conosce un nuovo e differente processo d’innovazione: rispetto al periodo precedente il teatro italiano recupera, spesso con intento polemico rispetto ad un approccio considerato troppo elitario, la tradizione del teatro dialettale, di quello popolare e della commedia dell'arte; importante è anche il recupero del doppio ruolo del drammaturgo che, spesso, è anche attore e interprete dei personaggi delle sue stesse opere.

Tra i protagonisti principali di questa nuova stagione teatrale sono il napoletano Eduardo de Filippo e il lombardo Dario Fo.

2Il teatro di Eduardo de Filippo

Figlio illegittimo dell’attore e commediografo Eduardo Scarpetta, Eduardo de Filippo nasce nel 1900 in un ambiente imbevuto di teatro; comincia presto a scrivere testi: il primo è Farmacia di turno composto nel 1920, mentre del 1931 è Natale in casa Cupiello, il suo primo grande testo teatrale, che però trova una sua forma definitiva solo nel 1943, cioè all'inizio di quegli anni '40 in cui si afferma definitivamente come autore. 

La sua produzione attinge a piene mani dalla tradizione del teatro dialettale e dalla commedia dell’arte, privandola però dei luoghi comuni, dei meccanismi ripetitivi, degli aspetti limitanti e di quelli eccessivi, preferendo sviluppare storie più verosimili, quotidiane, personali, accompagnate dallo sforzo di dare profondità e complessità ai personaggi

Lo sfondo delle sue opere è sempre Napoli, con il suo popolo e le sue tradizioni, una città che De Filippo descrive nella sua umanità, anche affrontando temi complicati e difficili, senza mai cadere nello stereotipo del teatro vernacolare e che, proprio per questo, va incontro ad un successo europeo. 

D’altronde, quello che De Filippo racconta attraverso le vicende dei personaggi e dei suoi drammi, è una società sfilacciata, materialista, in cui i protagonisti provano a trovare una loro stabilità costruendo un argine alla miseria spirituale e materiale che li circonda nei valori tradizionali e borghesi, e in quelli famigliari che, con la maturità dell'autore, assumono un ruolo sempre più preminente. 

2.1Napoli milionaria: trama

Eduardo De Filippo in una scena di "Napoli milionaria"
Eduardo De Filippo in una scena di "Napoli milionaria" — Fonte: ansa

Commedia in tre atti rappresentata per la prima volta nel 1945, si svolge su un arco temporale che si muove tra il 1942, in una Napoli tormentata dai bombardamenti alleati e il 1945, quando la fine della guerra ha lasciato la città in uno stato di enorme miseria.

Il protagonista è l’onesto ma povero disoccupato Gennaro Jovine, che nel primo atto è in contrasto con la moglie perché questa, per sbarcare il lunario, ha iniziato a commerciare beni di prima necessità sul mercato nero; alla fine di questo primo atto Jovine viene portato via dai carabinieri per un crimine non meglio specificato.

Fa ritorno in scena solo nel terzo atto, a guerra ormai finita, ritrovando una famiglia ormai sfaldata, con la moglie invischiata in affari loschi, il figlio controllato dai carabinieri e la figlia che aspetta un bambino da un militare americano già ritornato in patria: dopo le sofferenze patite nei mesi di lontananza sarà suo compito quello di ricomporre gli affetti famigliari.

2.2Filumena Marturano: trama

In questa commedia in tre atti del 1946 il tema della famiglia è sviluppato in maniera ancora più profonda e complessa. Protagonista è, come da titolo, Filomena, un’ex prostituta che ormai ha smesso il mestiere da più di vent’anni e, pur non essendo sposata, convive con Domenico, detto Mimì, pasticciere e suo vecchio cliente; Filomena lo aiuta nella gestione della casa e dei conti, e tra i due c’è certamente un legame di affetto, ma Mimì preferisce sedurre giovani donne.

Filomena organizza un piano per farsi sposare con l'inganno: il matrimonio avviene, ma quando Domenico capisce di essere stato beffato, vuole annullarlo; a questo punto Filomena gli dice di essere la madre di tre figli, di cui uno è certamente il suo, rivelazione che spinge, finalmente, Mimì ad accettare a diventare il marito di Filomena e il padre dei suoi figli.

Come in Napoli milionaria, anche qui il tema della famiglia come luogo-rifugio è assolutamente centrale, e trova un nuovo significato nella figura della protagonista Filomena che, considerata una donna di cattiva reputazione per il suo precedente lavoro, riesce però con uno stratagemma a dar vita ad una nuova armonia familiare.

La complessità della storia e, soprattutto, dei personaggi ha garantito a Filumena Marturano un duraturo e vasto successo in Europa e nel mondo.

2.3Il sindaco del rione Sanità: trama

Eduardo de Filippo nella sua casa
Eduardo de Filippo nella sua casa — Fonte: ansa

Messo in scena per la prima volta nel 1960, questo dramma in tre atti si distingue dalla precedente produzione di de Filippo perché affronta una tematica più marcatamente sociale.

Protagonista è don Antonio Barracano, un uomo ormai maturo che, dopo lunghe vicissitudini e dopo aver scalato tutti i gradini della gerarchia criminale, viene riconosciuto come «padrino» del rione Sanità e, in quanto tale, viene chiamato a pacificare una lite familiare tra Arturo, uomo ricco e arrogante che sta sperperando tutto il suo patrimonio famigliare con la sua amante, e il di lui figlio che, pur di non ritrovarsi sul lastrico per le scelleratezze del padre, è disposto a ucciderlo.

Don Antonio propone un accordo tra le parti che, però, limita di fatto le libertà di Arturo come capofamiglia e questi, per reazione, spara al padrino.

Questi, ferito a morte, tenta in tutti i modi di dissimulare l'accaduto e le responsabilità dello sparo pur di non scatenare una guerra ma, all'ultimo, questo proposito viene vanificato dal medico suo amico che racconta la verità richiamando ciascuno alle proprie responsabilità.

Scritto in un periodo in cui la camorra non veniva ancora avvertita come un problema nazionale ed era ancora ampiamente accettata a livello sociale nella città partenopea, Il sindaco del rione Sanità presenta una figura di «padrino» complessa, certamente discutibile ma dotata di una sua etica e in grado di costruire un personaggio di incredibile forza scenica; inoltre si ritrova ribaltata la concezione positiva della famiglia che si ritrova nelle altre opere: se nei drammi precedenti era rifugio dal materialismo della società qui è proprio la famiglia, dissestata dalle avidità e dai personalismi, a far rovinare don Antonio.

3Il teatro di Dario Fo

Dario Fo a Milano, 8 settembre 2006
Dario Fo a Milano, 8 settembre 2006 — Fonte: getty-images

Nato in un piccolo paese lombardo nel 1926, la vita artistica di Dario Fo comincia nel 1950, quando, insieme alla moglie Franca Rame, comincia a collaborare con la Rai scrivendo brevi testi teatrali; questa collaborazione continua fino al 1962, cioè quando Fo e Rame decidono di abbandonare la televisione a causa delle frequentissime censure ai loro testi per dedicarsi interamente al teatro.   

Fortemente critico verso il teatro tradizionale, avvertito come qualcosa di elitario, e incline ad affrontare temi sociali e politici, Fo comincia a mettere in scena le sue opere nelle piazze, oppure nelle fabbriche e nelle case del popolo a prezzo ribassato, in modo da intercettare quel pubblico normalmente distante dal teatro ufficiale.   

Inizia così una carriera ultra cinquantennale in cui l'attore, autore e scenografo dà vita ad un teatro improntato all’impegno politico e civile, dai contenuti spesso fortemente anticlericali e anticonformisti, connotati da una grande carica satirica tesa a evidenziare le contraddizioni della società e della sua morale.   

Un teatro innovativo anche nella forma, che attinge a piene mani dalla tradizione giullaresca medievale, dalla commedia dell’arte, dai vaudeville francesi, dal modo di recitare del cinema muto che enfatizzava il movimento del corpo, ma anche dalla tradizione popolare e contadina e dal suo modo di raccontare storie.   

3.1Mistero Buffo

Dario Fo in una scena di "Mistero Buffo" nel 1980 a Parigi, Francia
Dario Fo in una scena di "Mistero Buffo" nel 1980 a Parigi, Francia — Fonte: getty-images

La produzione teatrale di Fo è quantitativamente, oltre che qualitativamente, imponente, e diversi sono i testi che andrebbero ricordati sia per la loro importanza puramente letteraria che per la loro incisività nei diversi dibattiti politici e d’attualità. Ma se c’è un’opera che più di ogni altra è in grado di sintetizzare la carica innovatrice di Fo è senz’altro Mistero buffo.

Si tratta di un’opera composta da diversi monologhi a tema religioso tratti dai Vangeli apocrifi, in cui i vari episodi trattati vengono sovvertiti dal loro senso tradizionale assumendo un tono irriverente verso la religione ufficiale, mentre tutta l’opera è spesso connotata da un forte anticlericalismo.

Messo in scena per la prima volta nel 1969, viene presentato come una «giullarata», rivelando così fin dal principio il legame stilistico e ideale con gli spettacoli medievali; lo stesso nome dell’opera, Mistero buffo, si fonda su un gioco di parole allusivo: il ‘mistero’ fa riferimento agli omonimi spettacoli teatrali nati alla fine del medioevo, mentre l’aggettivo ‘buffo’ si riferisce al fatto che questa riproposizione di quegli spettacoli è marcatamente buffonesca.

Altro caratteristica di Mistero buffo è che in molte sue parti quest’opera non è recitata in italiano ma in grammelot, uno pseudolinguaggio basato su parole, suoni, onomatopee prive di un significato distinto e preciso, che non costruiscono un discorso logicamente, sintatticamente coerente o grammaticalmente corretto, ma danno piuttosto l’impressione di un linguaggio, che diventa tanto più comprensibile quanto più si accompagna a un’accentuata e particolare gestualità; per la sua costruzione Fo si appoggia a una base linguistica costituita da un miscuglio dei dialetti del nord Italia, in particolare lombardi, mentre per la gestualità fa tesoro dei suoi studi da mimo e della tradizione del teatro popolare.