Svolgimento traccia sugli omicidi politici, saggio breve prima prova maturità 2013

Ecco il saggio breve sugli omicidi politici con testi di Villari, Procacci, Salvadori valido per la prima prova della maturità 2013

Svolgimento traccia sugli omicidi politici, saggio breve prima prova maturità 2013

Per tutti gli studenti che in questa maturità 2013 alla prima prova hanno deciso di svolgere il saggio breve sugli omicidi politici ecco la traccia svolta:

Michel Foucault ha scritto che la politica non è che la continuazione della guerra con altri mezzi. Il rapporto fra potere politico e pratica della violenza attraversa la storia della civiltà occidentale, ma ha assunto nel corso nel Novecento un nuovo e diverso significato. Allo scontro fra forse contrapposte interne al tessuto sociale si è andato sostituendosi un uso diverso della violenza, capace di sfruttare gli effetti psicologici di particolari atti violenti eclatanti e strategicamente studiati. Grandi svolte nella storia dell'Occidente sono state dettate proprio dall'esercizio di una particolare tipo di violenza: l'omicidio politico.

Il lungo corso dell'800, inaugurato dalla rivoluzione francese e conclusosi nell'era dell'imperialismo, si chiude improvvisamente nel 1914 con un omicidio: l'uccisione dell'arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo. Con questo atto inizia un conflitto che avrò proporzioni ed effetti tali da porsi come uno spartiacque epocale. Il gesto terroristico, opera di un gruppo irredentista slavo, innesca una catena di reazioni che si preparavano da tempo in un'Europa divisa da secolari tensioni e giochi di alleanze. Le rivalità imperialistiche, la corsa agli armamenti e le continue tensioni internazionali che coinvolgono tutte le grandi potenze del continente, nonché i movimenti nazionalisti e i gravi problemi sociali di molti paesi: tutti questi fattori contribuiscono a provocare il conflitto. Dunque il gesto eclatante di Sarajevo non costituisce che l'occasione, eclatante ma isolata, per dare l'avvio ad un meccanismo lungamente caricato e in attesa di funzionare in tutto il suo gigantesco e, in larga parte, imprevisto potere distruttivo.

Le conseguenze della Prima Guerra Mondiale invadono, negli anni seguenti, ogni aspetto della civiltà europea. Il crollo di imperi secolari e l'esplosione di conflitti sociali provoca un'acuta instabilità istituzionale in moltissimi paesi del continente. In Italia la radica instabilità sociale e l'incapacità delle classi dirigenti di fornire risposte alle enormi difficoltà del paese accelerarono la formazione e l'ascesa del Regime Fascista. La rapida affermazione del partito di Mussolini si fonda in larga parte sulla connivenza delle istituzioni politiche ed economiche del paese, illuse di poter sfruttare il fascismo come arma a breve termine contro la forza delle sinistre, ma si costruisce principalmente sull'esercizio della violenza come strumento politico e di persuasione.

La repressione del dissenso non si limita ai soli militanti politici dichiarati, ma si esercita a vari livelli: quello della conflittualità operaia e della disciplina sindacale, dei comportamenti trasgressivi dell'ordine costituito e della morale cattolica (dal rifiuto della tessera all'adulterio). Il culmine di questo processo è raggiunto, anche questa volta, da un gesto clamoroso, che diventa simbolo e prova tangibile del potere di Mussolini

La fine dello Stato liberale in Itala è sancita non dalla morte di Matteotti, rapito e ucciso all'indomani delle elezioni del 1924, ma dalla remissività del governo davanti alla provocazione del Duce.

Dichiaratosi unico responsabile dell'omicidio politico, Mussolini di fatto rivendica di fronte alle istituzioni e al paese la sua posizione al di sopra della legge, della giustizia, di ogni valore civile.
Questo processo di presa e di autoaffermazione del potere è strettamente legato alle forme di costruzione di consenso dello stato totalitario, ed è destinato ad essere completamente capovolto nel corso del Novecento. Con il trionfo dello stato democratico in Occidente, l'omicidio politico si iscrive nella trama segreta e opaca del complotto in cui il sistema politico, inevitabilmente coinvolto, resta nascosto e invisibile. Non ancora chiarite sono le condizioni che portano nel 1963 all'assassinio del presidente americano Kennedy, vittima forse dell'avversione di forti compomenti dell'opinione pubblica e, soprattutto di potenti blocchi di interesse. La complicità dei quadri dirigenti, in questo caso, non solo non può essere in alcun modo rivendicata, ma viene accuratamente celato da un sistema di informazione mediatica attenta a veicolare e promuovere determinati contenuti.

Ancora più oscura e intricata è la vicenda che conduce, nel 1978, alla morte di Aldo Moro, presidente della Democrazia italiana impegnato in una difficile trattativa con le forze della sinistra parlamentare italiana. Il rapimento (a pochi giorni dall'ingresso de Partito Comunista nella maggioranza di governo) e l'uccisione di Moro costituisce il culmine di una situazione di terrore e conflittualità sociale cresciuta nel corso degli anni 70. IL dilagare della violenza politica in Italia crea una vera e propria situazione di emergenza che mette a nudo le incertezze e le divisioni ai vertici dello stato e dei servizi segreti. Con l'omicidio Moro il terrorismo giunge al culmine della sua parabola, segnando con una cupa nota di estrema violenza la nascita di un governo di solidarietà nazionale duramente repressivo. La morte di Moro, che scuote profondamente il paese, diviene il prezzo da pagare da parte di un sistema statale immobilizzato nei propri giochi di potere e nelle proprie contraddizioni, e l'inizio di un nuovo assetto politico nato dall'emergenza e dalla crisi. L'omicidio politico continua così, in questo come in molti altri casi, a divenire il mezzo di detonazione di articolati processi sociali, occupando un peso sempre maggiore nell'immaginario di un mondo sempre più esposto all'informazione e ai media di massa.

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