Il mito americano nella letteratura italiana

Il mito americano nella letteratura italiana: nascita, contesto storico, cause del declino del mito e i suoi maggiori interpreti, Pavese e Vittorini

Il mito americano nella letteratura italiana
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Cesare Pavese (1908-1950)
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IL MITO AMERICANO NELLA LETTERATURA ITALIANA: LA NASCITA DEL MITO

Secondo la maggior parte dei critici il mito americano nasce in Italia nel 1930, anno in cui viene pubblicato il saggio di Pavese su Sinclair Lewis, e dura una ventina d'anni, ma non coincide con il ventennio del regime fascista.

Inizialmente la conoscenza di autori americani è stata un fatto elitario che riguardava pochi giovani che con questa attività volevano manifestare la loro opposizione al regime fascista e alla sua politica di autarchia culturale. Pavese stesso riguardo a questo scrive: "Verso il 1930, quando il fascismo cominciava ad essere la speranza del mondo, accadde ad alcuni giovani italiani di scoprire nei libri l'America, un'America pensosa e barbarica, felice e rissosa, dissoluta, feconda, greve di tutto il passato del mondo, e insieme giovane, innocente…ma il successo fu tanto che costrinse il regime a tollerare per salvare la faccia. Il regime tollerò a denti stretti e stava intanto sulla breccia sempre pronto ad approfittare di un passo falso...".

In questi anni, infatti, il regime fascista tenta di penetrare anche nella sfera culturale come aveva fatto con quella politica, promuovendo con ogni mezzo, comprese le minacce, la produzione di opere strettamente legate alla tradizione classica italiana e condannando ogni forma di apertura alla letteratura europea. La censura fascista colpisce soprattutto le traduzioni, di conseguenza i giovani letterati vennero a contatto con gli autori americani più attraverso i saggi di critica letteraria che attraverso gli stessi testi.
Tuttavia proprio in questi stessi anni le principali case editrici (Bompiani \ Mondadori \ Einaudi) creano collane riservate alla pubblicazione di testi stranieri contribuendo così alla loro diffusione anche se sempre in notevole ritardo rispetto agli altri paesi europei.

I lettori più giovani sono attratti dal senso di ribellione che scaturiva dalle pagine dei testi americani che rappresentavano sotto molti aspetti l'antitesi del fascismo. Agli scrittori italiani l'America fornisce un esempio da seguire lontano dal conformismo accademico tradizionale, soprattutto perché rappresenta lo specchio dove l'intero popolo italiano può leggere la propria realtà. "Ci si accorse durante quegli anni di studio che l'America non era un altro Paese, un nuovo inizio della storia, ma soltanto il gigantesco teatro dove, con maggior franchezza che altrove, veniva recitato il dramma di tutti."(Pavese).

IL DECLINO DEL MITO AMERICANO

I primi segni del declino del mito americano si possono già avvertire nel 1941 quando Vittorini giudica il romanzo "Paesi tuoi" pubblicato da Pavese in quell'anno "di gran lunga migliore dei libri di Steinbeck" o quando nel 1943 Pavese, nel recensire la "Spoon River Anthology" definisce il suo lavoro di traduttore come un'avventura giovanile ormai conclusa.

Il mito americano infatti comincia a sgretolarsi non appena il regime fascista cessa di avere il suo potere, in quanto un'America accessibile non desta più curiosità: l'illusione americana, nell'euforia della Liberazione, dura ancora uno o due anni. Vittorini nel 1947 confessa la sua delusione nei confronti degli scrittori americani, come ad esempio Saroyan e Caldwell, che aveva tanto amato. A partire da questo momento, l'unico motivo che spingerà Pavese e Vittorini ad occuparsi di letteratura americana sarà il desiderio di esprimere i loro dubbi e le loro incertezze.

IL DECLINO DEL MITO AMERICANO: LE CAUSE POLITICHE

Le cause più evidenti che segnano la caduta del mito sono di natura politica. Dopo la liberazione l'America si mostra per quella che è, cioè una società capitalistica in cui mai gli intellettuali di sinistra avrebbero scelto di vivere. L'amore per l'America fu dovuto anche alla solidarietà nei confronti degli emigrati della Calabria e della Sicilia e di conseguenza, all'indomani della Liberazione, la sinistra marxista ritrova la sua vera patria nella Russia sovietica, anche perché l'atteggiamento assunto dagli Stati Uniti durante la guerra di Corea si rivela decisamente conservatore.

Il fattore più importante che determina la perdita di interesse per la letteratura americana è la fine della dittatura fascista ed è lo stesso Pavese ad ammetterlo scrivendo: "succede che passano gli anni e dall'America ci vengono più libri che una volta, ma noi oggi li apriamo e li chiudiamo senza nessuna agitazione. Una volta anche un libro minore che venisse di là ...ci commuoveva e poneva problemi vivaci, ci strappava un consenso. Siamo noi che invecchiamo o è bastata questa poca libertà per distaccarci? ... A essere sinceri, insomma, ci pare che la cultura americana abbia perduto il magistero, quel suo ingenuo e sagace furore che la metteva all'avanguardia del nostro mondo intellettuale. Né si può non notare che ciò coincide con la fine o sospensione della sua lotta antifascista. Senza un fascismo a cui opporsi, senza cioè un pensiero storicamente progressivo da incarnare, anche l'America non sarà più all'Avanguardia di nessuna cultura. Senza un pensiero e senza lotta progressista rischierà anzi di darsi essa stessa ad un fascismo sia pure nel nome delle sue tradizioni migliori".

IL DECLINO DEL MITO AMERICANO: LE CAUSE FILOSOFICHE

Tra le cause filosofiche la più importante è l'irrompere e l'affermarsi dell'esistenzialismo in Europa. Questa corrente riprende un aspetto presente nel mondo americano, che gli scrittori italiani non avevano colto: la visione nichilista dell'uomo; esso determina una svolta in campo ideologico e letterario che allontana dall'interpretazione precedente del romanzo americano e contribuisce, insieme agli altri motivi, a determinare la fine del mito.

Mentre Vittorini rinuncia a scrivere perché scopre il vuoto della sua filosofia e il suo esagerato ottimismo, Pavese non si limita a cessare la sua attività di scrittore, in quanto la fine del mito americano può essere considerato una delle tante cause che lo spingono al suicidio nel 1950. Ciò che bisogna comprendere è questo: lo spirito dei tempi è mutato. La prima generazione di americanisti (i Cecchi - i Praz - i Linati) si era servita dell'America per illustrare una certa concezione dell'uomo. La seconda generazione (i Pavese - Vittorini - Pintor) se ne servì per illustrare una concezione opposta. Era inevitabile che l'ultima parola toccasse a una terza generazione, quella degli storici e dei professori, i quali studiano le cose come sono e non già secondo prevenzioni ideologiche.

Nel campo della letteratura di viaggi, si constata la medesima erudizione ... Non ci si appassiona più pro o contro l'America, si cerca di capirla e si arriva forse a conoscerla veramente.

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