Storia della chimica: dall'antichità al Rinascimento
Nascita ed evoluzione della chimica dall'antichità al periodo rinascimentale. Si parte dalle prime esperienze nell'ambito della chimica, che risalgono ai tempi delle civiltà della Mesopotamia, dell'Egitto e della Cina. Poi si passa ad analizzare il pensiero di Talete e le varie speculazioni dei filosofi greci sulla natura della materia, fino ad arrivare ad una breve analisi del pensiero di Aristotele, che ha dominato la filosofia naturale per quasi due millenni. E si arriva alla diffusione dei testi di alchimia grazie alla stampa
Le prime esperienze nell’ambito della chimica risalgono ai tempi delle civiltà della Mesopotamia, dell’Egitto e della Cina. Inizialmente si diffusero rudimentali tecniche di lavorazione di metalli, come l’oro e il rame, che si rinvengono in natura allo stato elementare, ma ben presto furono messi a punto i primi processi di estrazione dei metalli dai loro minerali, in genere ossidi e solfuri, mediante riduzione con legno o carbone. L’uso successivo di rame, bronzo e ferro ha dato il nome alle corrispondenti età archeologiche. Altre attività produttive note fin dall’antichità sono quelle dei coloranti, della terracotta, dello smalto e del vetro; accanto a queste, i sacerdoti svilupparono anche le prime teorie, spesso coinvolgenti la magia, per interpretare le trasformazioni della materia osservate.
Fin dai tempi di Talete (600 a.C.), i filosofi greci iniziarono a speculare sulla natura della materia. Talete stesso ipotizzò che tutta la materia traesse origine dall’acqua, che poteva solidificare trasformandosi in terra ed evaporare diventando aria. I suoi successori svilupparono questa teoria, individuando i quattro elementi di cui ritenevano fosse costituita la materia: la terra, l’acqua, il fuoco e l’aria. Nell’ambito della teoria atomistica, Democrito sostenne che questi elementi fossero composti da atomi, cioè da microscopiche particelle che si muovevano nel vuoto. Al contrario Aristotele, negando l’esistenza del vuoto, attribuiva agli elementi primordiali una natura materiale. L’ipotesi di Democrito, che perse ben presto d’importanza tra i greci, non fu completamente dimenticata e la sua riscoperta, avvenuta durante il Rinascimento, costituì la base per la moderna teoria atomica.
Il pensiero di Aristotele dominò la filosofia naturale per quasi due millenni, a partire dalla sua morte avvenuta nel 323 a.C. Egli credeva che in natura esistessero quattro qualità: il caldo, il freddo, l’umido e il secco, e che ciascuno dei quattro elementi fosse dominato da una coppia di qualità: così il fuoco era caldo e secco, l’aria era calda e umida, la terra era fredda e secca e l’acqua era fredda e umida. Inoltre i quattro elementi, combinandosi secondo diversi rapporti, costituivano tutte le sostanze presenti in natura. Poiché si immaginava che fosse possibile modificare la quantità di ciascuna qualità costituente gli elementi, si prevedeva che gli elementi stessi potessero trasformarsi l’uno nell’altro e perciò che fosse anche possibile trasformare una sostanza in un’altra.
Le teorie di Aristotele vennero ampiamente accettate e si diffusero in particolar modo ad Alessandria d’Egitto, divenuta dopo il 300 a.C. il principale centro di elaborazione del sapere del mondo antico. Estendendo il concetto di trasformazione, gli studiosi pensarono che i metalli subissero in natura un graduale processo di perfezionamento, trasformandosi gradatamente in oro. Sulla base di questa ipotesi, immaginarono di poter riprodurre lo stesso processo nei loro laboratori, in modo da trasformare artificialmente i metalli più comuni in oro.
A partire dal 100 d.C. questa idea dominò anche il pensiero filosofico e vennero scritti molti trattati di alchimia, alcuni dei quali, andando ben oltre la pura speculazione filosofica, si rivelarono di interesse scientifico.
Dopo il declino dell’impero romano, i trattati greci vennero dimenticati sia in Europa sia nella regione orientale del Mediterraneo. Nel VI secolo la setta cristiana dei nestoriani estese la sua influenza sull’Asia Minore e fondò un’importante scuola a Edessa, in Mesopotamia. Per fornire agli studenti validi libri di testo vennero tradotte in siriaco gran parte delle opere greche di medicina e filosofia. Nel corso del VII e dell’VIII secolo i conquistatori arabi imposero la cultura islamica a buona parte dell’Asia Minore, del Nord Africa e della Spagna. Il califfo di Baghdad, patrono delle scienze e delle arti, promosse la traduzione dei testi siriaci in arabo e, con la diffusione delle opere greche, rifiorì la pratica dell’alchimia. Gli alchimisti arabi, venuti a contatto anche con la cultura cinese, elaborarono un concetto dell’oro che comprendeva sia l’idea greca di perfezione sia quella orientale di farmaco. Lentamente si diffuse l’ipotesi sull’esistenza di uno specifico agente di trasformazione, la “pietra filosofale”, che divenne l’obiettivo delle ricerche degli alchimisti. Questi antichi esperimenti stimolarono lo studio di nuovi composti chimici; vennero scoperti gli idrossidi alcalini e i sali d’ammonio e vennero perfezionati gli apparati per la distillazione. Allo stesso tempo, sentendo la necessità di procedere in modo più rigoroso, nelle ricette comparvero le prime indicazioni quantitative.
Nell’XI secolo si ebbe in Europa un grande risveglio culturale grazie al contatto con la civiltà araba. In questo modo la scienza greca, passata attraverso i testi siriaci e arabi, venne tradotta e diffusa in latino. I trattati di alchimia destarono un grande interesse. Esistevano manoscritti di due diversi tipi: alcuni avevano contenuti puramente pratici, altri erano di carattere speculativo e si basavano sui presupposti teorici dell’alchimia. Grazie allo sviluppo dell’artigianato del vetro, soprattutto a Venezia, vennero costruiti strumenti per la distillazione, migliori di quelli posseduti dagli arabi. Ciò permise di condensare prodotti volatili e di isolare per la prima volta gli alcoli e gli acidi minerali: l’acido nitrico, l’acido cloridrico, l’acido solforico e l’acqua regia, una miscela di acido nitrico e acido cloridrico. Dalla Cina giunse in Europa la notizia della scoperta dei nitrati e della polvere da sparo, che i cinesi usavano per produrre fuochi d'artificio e che nei paesi europei venne usata quasi immediatamente per costruire armi da fuoco. Alla fine del XIII secolo si era ormai sviluppata una vera e propria scienza chimica a servizio della tecnologia. Dal punto di vista teorico, gli arabi avevano accolto le speculazioni di Aristotele rendendole più specifiche. Ad esempio, ritenevano che i metalli fossero composti da zolfo e mercurio, ma con questi due termini non intendevano indicare i due elementi, che conoscevano perfettamente, bensì le loro “essenze”.
Il principio mercuriale conferiva al metallo la fluidità, mentre il principio sulfureo rendeva le sostanze combustibili e soggette alla corrosione.
Durante il XIII e il XIV secolo l’influenza del pensiero aristotelico su tutte le branche della scienza andò diminuendo. Gli innumerevoli esperimenti e la prolungata osservazione della materia destarono i primi dubbi sulle spiegazioni semplicistiche del filosofo greco, dubbi che si diffusero velocemente grazie all’invenzione della stampa a caratteri mobili nel 1450. Dopo il 1500 la stampa permise una maggiore diffusione dei nuovi trattati sull’alchimia e sulle nuove tecnologie; il risultato di questa più ampia divulgazione di notizie fu evidente nel XVI secolo.