Spesso il male di vivere ho incontrato: spiegazione e analisi del testo
Spesso il male di vivere ho incontrato: spiegazione, testo e analisi di una delle poesie più conosciute di Eugenio Montale
SPESSO IL MALE DI VIVERE HO INCONTRATO: SPIEGAZIONE
Montale usa la poesia come strumento di indagine della realtà interiore dell'uomo moderno. Qui il poeta non è il poeta-vate simbolista, ma è un poeta-testimone.
Egli infatti non attribuisce alla poesia un ruolo di elevazione rispetto alla massa, né propone un modello o un ideale; anzi, addirittura Montale dice al suo lettore di "non chiedere la parola" e di non "domandare" la "formula".
Il suo è un porsi passivamente dinnanzi alla realtà tragica vissuta dall’uomo di inizio Novecento, spettatore e protagonista della storia.
Egli parallelamente a T.S. Eliot utilizza il correlativo oggettivo come strumento a carattere simbolista per tradurre le immagini, le idee e le sensazioni della realtà in parole.
Uno dei temi, che più caratterizzano la sua poetica è il male interiore, che egli chiama male di vivere. E’ qui di seguito riportato uno dei suoi più celebri componimenti: Spesso il male di vivere ho incontrato da Ossi di seppia:
Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
SPESSO IL MALE DI VIVERE HO INCONTRATO: ANALISI DEL TESTO
Questa poesia è formata da due quartine di endecasillabi. La prima ha rime incrociate secondo lo schema ABBA, la seconda invece presenta uno schema CDDA, quindi il lettore crede di poter trovare all’ultimo verso una parola che termini in -igio, in modo da completare simmetricamente lo schema di rime.
Ciò è accentuato dal fatto che tra terzo e quarto verso di ogni quartina è presente un enjambement, che illude il lettore. In verità quello che il lettore trova è un parola che termina in -ato, il che crea lo schema CDDA.
Esso non è un errore dell’autore, ma una cadenza evitata. E’ con questo colpo di scena che Montale vuole rappresentare una divisione netta con la tradizione, che ritiene madre delle illusioni.
Egli così facendo demistifica l’artificialità della poesia tradizionale. Questa scelta di deludere le aspettative del lettore, però non è una perdita stilistica, poiché in realtà l’uscita in -ato rafforza l’unità strutturale della poesia, in quanto si ricollega non con il verso precedente, ma con il primo.
A sorprendere il lettore interviene anche la mancanza di un endecasillabo sempre all’ultimo verso, che però viene compensata stilisticamente dalla presenza della parola meriggio, che consola il lettore per l’assenza di rima tra primo e quarto verso dell’ultima quartina.
La struttura metrica coincide con la struttura concettuale. La poesia è divisa in due parti: rispettivamente la prima quartina, che affronta il tema del male, e la seconda quartina, che affronta quello del bene.
Ogni quartina a sua volta è divisa a metà dai due punti, che separano l’esperienza del poeta-testimone dalla definizione. Allo stesso modo le enumerazioni sono simmetriche e forniscono in climax ascendente un parallelo elenco di tre rappresentazioni.
SPESSO IL MALE DI VIVERE HO INCONTRATO: SIGNIFICATO DEI VERSI
Il rivo strozzato che gorgoglia rappresenta gli ostacoli della vita, che soffocano quella dell’individuo.
L’incartocciarsi della foglia riarsa invece l’indebolimento umano e la perdita di vitalità, causata dall’invecchiamento o più semplicemente dalla perdita della volontà di vivere.
Il cavallo stramazzato infine rappresenta la sconfitta, condizione in cui l’individuo si annichilisce e annulla in sé ogni forma di vitalismo.
Il climax non rappresenta solo il significato, ma anche i regni da cui Montale attinge per poter identificare il male di vivere. Si passa dal mondo inorganico a quello organico dei vegetali fino a quello del mondo animale.
Qui il climax si riferisce a sensazioni esclusivamente umane, il cui collegamento è limitato a un riferimento, che nasce dal verbo “strozzato”.
Nella seconda quartina invece la statua nella sonnolenza del meriggio è il primo livello di indifferenza: quello di chi osserva ma non interviene.
Tale grado di indifferenza aumenta come nichilismo con l’immagine della nuvola, che simboleggia il distacco di interessi. Infine il falco alto levato potrebbe essere probabilmente un tentativo di rappresentare un’indifferenza viva e non più passiva.
Qui è presente un’ulteriore sorpresa per il lettore, che delude le attese, poiché il secondo membro elimina il parallelismo, essendo di natura inorganica, ma tale mancanza di parallelismo è compensata sul piano del significato: l’indifferenza della statua e della nuvola, sono certamente indifferenze poste in progressione di significato, ma entrambe rappresentano il nichilismo passivo, che si scontra con quello attivo del falco, unico essere vivente del climax.
La prima parte di ogni quartina invece vuol significare che il male di vivere è un sentimento comune all’umanità, ma allo stesso modo ha per ogni uomo una cura, che Montale rivela essere la divina Indifferenza.
L’aggettivo non attribuisce in nessun modo all’indifferenza un carattere religioso, ma semplicemente rafforza il significato e può essere parafrasato come “degna di una divinità”, cioè di una persona, che in contrapposizione alle immagini della prima strofa ha ancora la forza di imporsi e di vivere.