Simulazione ufficiale svolta dell'analisi del testo della prima prova maturità

Maturità 2024: scopri la traccia svolta da un nostro tutor della simulazione Miur per esercitarti con la traccia analisi del testo di prima prova

Simulazione ufficiale svolta dell'analisi del testo della prima prova maturità
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Prima prova maturità 2024

Maturità 2024, traccia svolta simulazione analisi del testo
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Per la maturità 2024 gli studenti devono iniziare a prendere confidenza con le varie tipologie delle tracce ministeriali. Quelle che, a partire dal 2019, sono state divise in tre tipologie: l'analisi del testo, il testo argomentativo e il tema di attualità. L'analisi del testo, la tipologia A dell'esame, non sarà più unica ma si dividerà in due tracce, probabilmente di autori e periodi storici molto diversi fra loro, e ancor più probabilmente - se seguirà l'impostazione dello scorso anno - di un autore di prosa e uno di poesia.

Il Ministero ha pubblicato a novembre del 2018 delle simulazioni ufficiali utili per esercitarsi e che noi abbiamo scelto di far svolgere a uno dei nostri tutor. Di seguito trovate la traccia svolta.

Simulazione prima prova maturità

La simulazione della traccia dell'analisi e interpretazione di un testo letterario italiano si basa su un brano tratto da Giovanni Commisso, Mio sodalizio con De Pisis. Gli studenti, dopo aver letto e compreso il brano proposto, devono produrre una sintesi in cui risultino evidenti i passaggi nella condizione esistenziale dell'autore. La seconda parte della traccia riguarda l'analisi del testo (i maturandi devono rispondere a 4 domande) mentre la terza parte è dedicata al contesto storico politico e artistico letterario di riferimento.

Comprensione del testo

Dopo aver letto con attenzione il brano elabora un testo sintetico in cui risultino evidenti i passaggi nella condizione esistenziale dell’Autore.

Il brano di Giovanni Comisso è una pagina di memoriale in cui l’autore racconta le sue difficoltà di giovane ex soldato che aspira a studiare e a diventare un intellettuale all’indomani del primo conflitto mondiale. Tutto il brano, infatti, verte sulle difficoltà dell’autore nel trovare stimoli seri allo studio e sul suo incontro con importanti intellettuali e artisti italiani, tra cui Giorgio De Chirico e Filippo De Pisis.

Nel 1919, cominciati gli studi universitari a Roma, Comisso, sentendosi adulto, avverte la definitiva la vocazione letteraria: vuole dare seguito alla sua prima pubblicazione poetica del 1916, apprezzata dal poeta Arturo Onofri di Roma, conosciuto nel 1918, durante la guerra. A Roma, Comisso è indolente nello studio e dà, invece, ampio sfogo alla fame di vita dei suoi vent’anni, inseguendo vaghi amori e chimere di ogni tipo.

Arturo Onofri lo introduce tra gli intellettuali che frequentano la sua casa, in particolare ad Alpinolo Porcella, definito dall’autore «artista e uomo assai curioso». Proprio dai Porcella, Comisso conosce prima il pittore Giorgio De Chirico e, in un’altra occasione, lo scrittore Filippo De Pisis. De Pisis fa grande impressione sull’autore. Questi prima guarda Comisso «acutamente per un attimo», poi comincia a parlare di tutto senza accorgersi che lo stesso sguardo gli veniva restituito dal suo interlocutore, per una misteriosa empatia. De Pisis coinvolge Comisso nel suo mondo, rivelando in ogni piega del suo discorso un forte narcisismo e un atteggiamento da professore in cattedra, come dovesse insegnare se stesso agli altri.

Analisi del testo

2.1 In quali passaggi del brano risaltano, seppure in modo non esplicito, significativi riferimenti al mondo intimo dell’autore. 

Nel primo paragrafo lo scrittore mette in relazione il primo conflitto mondiale con la nuova lotta, tutta intima, scoperta dentro di sé: era la voglia di emergere, di affermarsi come scrittore e di essere se non felice, almeno realizzato. Dice: «ora avrei dovuto combattere per me, pensare agli studi, capire cosa avrei dovuto fare nella vita e assecondarmi». Nel secondo paragrafo, inoltre, Comisso confessa la sua indolenza verso il mondo universitario, certo sentendolo rigido e poco stimolante, e il suo favore per una militanza artistica fatta di concretezza e di estemporaneità, attraverso incontri con artisti e intellettuali di alto calibro. Il mondo intimo dell’autore emerge anche nel terzo paragrafo: Comisso, intellettuale giovane e immaturo, mentre dichiara di sentirsi investito dallo sguardo indagatore di De Pisis, si rivela dotato della stessa capacità di osservazione e riesce a catturare e descrivere l’indole e il temperamento del suo interlocutore a partire dal suo modo di vestire, di guardare, di muoversi, di parlare.

2.2 Quali sono i passaggi testuali che esprimono il gusto per l’ozio, l’osservazione e la predilezione per la scrittura?

Il gusto per l’ozio sembra essere una peculiarità dell’autore ed emerge sin dall’inizio del brano, quando la guerra è paragonata ad «una lunga vacanza», preludio al vero ingresso nella vita. Anche a proposito degli studi universitari, nel secondo paragrafo, l’autore confessa che «non aveva molta voglia di frequentare le lezioni all’Università», preferendo pomeriggi in salotto a discorrere di cultura e di arte. Il gusto per l’osservazione emerge tutto nell’ultimo paragrafo, dedicato a De Pisis. L’accurata descrizione che ne fa Comisso tradisce il gusto del fare di una persona un personaggio letterario, basandosi su dettagli che a primo acchito possono sembrare insignificanti, come «la sua camicia di una tela che si usa per i materassi e il suo modo di stare seduto». Questa capacità sintetica si collega allora alla predilezione per la scrittura contenuta nel primo paragrafo: pur essendo nato alla letteratura come poeta, Comisso avverte il desiderio di narrare. Precisa è, infatti, la sua risoluzione: «sentivo che ero destinato a scrivere libri».

2.3 Soffermati sulla chiarezza lessicale e sull’interessante concatenazione sintattica: a quali effetti stilistici tende l’Autore?

In questo brano autobiografico, Comisso racconta gli episodi della sua vita con estrema fluidità, senza troppe digressioni. Ricorre a un lessico chiaro, quotidiano si potrebbe dire, e in apparenza poco ricercato, se si esclude la descrizione di De Pisis, nel finale. Non mancano, tuttavia, espressioni in cui la semplicità delle parole tradisce una complessità di pensiero, come nel caso del già citato accostamento della guerra a una vacanza e della costruzione della propria identità di uomo e di scrittore a un combattimento. L’uso del discorso indiretto, inglobato nel racconto, fa sì che ogni informazione resti avviluppata nel tessuto narrativo, senza spiccare eccessivamente. La sintassi, poi, bilanciando paratassi e ipotassi in periodi mai troppo lunghi, sembra assecondare il moto sotterraneo della memoria al punto che il brano sembra essere stato scritto di getto, dandoci l’idea di un’eleganza spontanea.

2.4 Quale idea di De Pisis l’Autore vuole trasmettere? Esponi la tua risposta con opportune argomentazioni.

Comisso ci presenta De Pisis come un personaggio singolare. L’immediata impressione che desta nel lettore è quella di una persona di rara intelligenza, appartenente a un mondo fatto di sudate carte e di letteratura, piuttosto lontano dalla vita concreta. Il suo sguardo acuto e penetrante ha qualcosa di metafisico, appunto, perché va oltre l’apparenza concreta delle cose. Questo elemento concorda con la negligenza del suo abbigliamento («la sua camicia di una tela che si usa per i materassi», dice l’autore) e conferma quanto detto. Nel suo modo di parlare «eretto, come un professore in cattedra» si può invece ravvisare un’autorità intellettuale che sa come farsi ascoltare e che ha molto da dire poiché ha molto osservato.

Relazione con il contesto storico culturale

3. Traendo spunto dal brano proposto, delinea, sulla base delle conoscenze di studio, delle letture e di altre fonti significative, il contesto storico-politico e artistico-letterario di riferimento evidenziato nei passaggi in cui l’Autore fa riferimento alle sue esperienze belliche.

In un recente libro sulla battaglia di Caporetto (1917), Alessandro Barbero afferma che all’indomani del primo conflitto mondiale l’Italia pur essendo tra i paesi vincitori, si comportò come i paesi sconfitti: si sarebbe infatti aperta all’odio e alla sete di rivincita per la “vittoria mutilata” (espressione coniata da D’Annunzio), favorendo il totalitarismo e negando nell’arco di pochi anni i principi della democrazia. Quasi retorico sottolineare oggi quanto essa sia stata uno degli episodi cruciali della nostra storia (al punto da essere soprannominata “la quarta guerra d’indipendenza”) oltre che una delle guerre più sanguinose che mai l’umanità abbia affrontato.

Di segno contrario fu però la visione che ne trasmisero le avanguardie di inizio Novecento: il Futurismo (1908) [rileggi con attenzione il manifesto del Futurismo, mi raccomando] osannava guerre di tal fatta, voglioso di spingere l’umanità a fare una pulizia generale a tutti i livelli, da quello politico a quello artistico. Proprio nella Grande Guerra, inoltre, D’Annunzio si era atteggiato a eroe dell’aria e del mare (non di terra, ‘della trincea’, ovviamente) con imprese rimaste nella leggenda, come il volo su Vienna. In tal modo questo controverso poeta spinse al parossismo il suo ideale di esteta vedendo nell’impresa bellica la massima espressione della virilità.

Eppure non sfugge a un lettore attento come proprio la guerra potesse essere in D’Annunzio un modo per scacciare i demoni dell’horror vacui [significa letteralmente paura del vuoto. Ricordati che le citazioni latine sono di effetto gradevole e possono anche, come si suol dire, “fare figo”. Ma attento, mio caro Icaro, perché, se nel tentativo di volare in alto, la sbagli o da un punto di vista ortografico o grammaticale o di concetto, cadrai miserabilmente] e di sfuggire a un senso di scacco nichilistico.

Certo, nelle sue pagine (in particolare ne il Notturno) la guerra sembra una sublime occasione letteraria, come se fossimo davanti a una nuova Iliade e a un nuovo Achille. Ma già Lussu e Ungaretti – pur avendola sostenuta come guerra necessaria – ce la descrivono nella sua tragedia attraverso pagine tremende, ancora oggi monito per noi tutti. Questo contrasto di opinioni e di visioni di un fenomeno così importante deve spingere a riflettere su cosa siano stati quegli anni in Italia. Alcuni ce ne parlano in modo quasi commosso, perché vincemmo, altri come di un orrore senza fine.

Comisso ci parla della guerra come di una «lunga vacanza», che aveva sospeso il suo ingresso nella vita. Per un giovane in cerca di ideali e di progetti a cui entusiasmarsi, la guerra dovette essere l’ottima risoluzione di scelte paralizzanti sul proprio futuro e un’occasione di maturazione personale. Nel momento in cui si era chiamati a combattere per la Patria non esisteva compito più onorevole e missione più alta. Che fine avrebbero fatto i sogni personali e i progetti di quella generazione? Sarebbero rimasti sospesi finché non fosse cessata, a patto che fossero sopravvissuti. Ma durò poco: è lecito pensare che quella generazione fu vittima di un abbaglio collettivo, di una sorta di sogno ad occhi aperti, deluso il quale, si crearono le premesse per uno stato militaristico, incarnato da Mussolini. Una scelta opprimente fu davanti a tutti già dal 1922, anno della marcia su Roma.

La scelta della borghesia la vediamo ritratta nel famoso romanzo di Alberto Moravia “Gli indifferenti” (1929) [Moravia è un autore non sempre sfruttato per gli esami di stato e di rado inserito nei programmi dai docenti: tienine conto. Citarlo opportunamente può essere una chicca] che svela ipocrisie e meschinità di questa classe sociale. Anche gli intellettuali dovettero scegliere: essere liberi e dissidenti o soggiogati dal regime e piegati a esserne la voce di propaganda? In molti scelsero la dissidenza, rischiando in prima persona, tramutandosi in uomini che fecero della libertà di pensiero l’estrema difesa dello spirito democratico.

Altri, come Pirandello, videro nel regime fascista solo uno dei tanti «lanternini» della Storia [si tratta di una citazione da “Il fu Mattia Pascal”, romanzo di Pirandello. Cerca sul tuo libro il passo inerente alla lanterninosofia], e lo appoggiarono quasi con indifferenza. Ungaretti e Montale, invece, svelarono agli intellettuali (e in fondo a tutti) un mondo che nessun fascismo e nessun terrore avrebbero potuto mai piegare: il mondo della poesia e della letteratura per sé stesso, di una «letteratura come vita». Questo mondo libero, non intaccato da alcuno, divenne il rifugio naturale e la naturale vocazione di tanti scrittori e poeti che seppero così sopravvivere, affidando i loro preziosi messaggi a bottiglie scagliate nel mare, perché varcassero quei tempi così difficili.

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