
I sofisti e Protagora: pensiero, virtù e dialettica
Indice
1I sofisti

Il termine sofista indicava nella Grecia arcaica i “sapienti”, ovvero quegli uomini in possesso di una vasta cultura generale. A partire da V secolo a.C. cominciarono ad essere chiamati in questo modo coloro che, dietro compenso, insegnavano ad altri la loro sapienza.
Fin da subito, i sofisti furono oggetto di aspre critiche da parte dei loro contemporanei, che consideravano scandaloso fare della propria sapienza una professione. Lo storico Senofonte li apostrofò: “prostituti della cultura”, e successivamente anche Socrate, Platone e Aristotele bollarono i sofisti come “falsi sapienti”, perché insegnavano ad argomentare qualsiasi tesi, usando ragionamenti capziosi che non conducevano necessariamente al “vero”.
A causa della grande influenza di Platone e Aristotele sulla filosofia successiva, i sofisti vennero considerati degli pseudo-filosofi per molti secoli.
Oggi l’opera dei sofisti, pur conservando alcuni aspetti negativi, viene invece considerata un passaggio fondamentale della filosofia classica. In particolare, i sofisti furono protagonisti di una vera e propria rivoluzione culturale che spostò il focus della speculazione filosofica dalla natura all’uomo.
2Sofistica: contesto storico e caratteristiche

La crisi dell’aristocrazia e l’affermarsi della democrazia nell’Atene del V secolo a.C. rappresentano la premessa per sviluppo della sofistica. Nel nuovo quadro storico-culturale, i cittadini erano chiamati a partecipare alla politica della polis, prendendo parola nelle assemblee e argomentando le proprie opinioni, e i sofisti si offrivano, dietro pagamento, di educarli nell’arte della retorica e dell’eloquenza.
La dissoluzione dell’ordine aristocratico della società ateniese comportò anche la messa in discussione dei valori tradizionali, tra cui la vecchia concezione della virtù (aretè) come qualcosa legato alla nascita. Nel nuovo contesto i sofisti esaltarono il ruolo formativo dell’educazione: era attraverso il sapere acquisito con lo studio che si diventava uomini virtuosi e che si poteva condurre una vita illuminata dall’uso critico della ragione.
Costretti dalla loro professione a viaggiare spesso di città in città, i sofisti allargarono il proprio orizzonte oltre quello limitato della polis, superando il localismo imperante in un’ottica panellenica e cosmopolita, volta a favorire il contatto tra le diverse anime del mondo greco. Inoltre, dovendo confrontarsi di volta in volta con usi e costumi differenti, abbandonarono ogni dogmatismo per abbracciare un relativismo morale e culturale di cui parleremo a breve.
I sofisti, pur condividendo dei principi e un’impostazione di fondo, non possono essere considerati una corrente filosofica omogenea, perché si differenziano tra loro per dottrine e interessi. Per comodità, si tendono a distinguere quattro gruppi diversi di sofisti:
- La generazione dei “grandi maestri”, nella quale si annoverano Protagora, Gorgia, Prodico.
- Gli eristi, che si concentrarono sugli aspetti formali della retorica perdendo interesse per il contenuto e la morale dell’insegnamento.
- I sofisti politici, che fecero uso della loro sapienza e della loro eloquenza per dominare il dibattito politico.
- I sofisti naturalisti, che si interessarono nella loro speculazione filosofica al rapporto uomo-natura.
3Protagora

Il primo e il più noto tra i sofisti fu Protagora. Egli nacque ad Abdera, in Tracia, intorno al 490 a.C. e iniziò a girovagare in tutta la Grecia per dedicarsi all’insegnamento e alla sofistica. Soggiornò più volte ad Atene dove riscosse una grande fama ed ebbe l’ammirazione di Pericle. Proprio ad Atene, le sue idee sulla religione, che sovvertivano la morale tradizionale, gli causarono un’accusa di empietà, per la quale dovette lasciare la città. La tradizione vuole che morì nel 411 a.C. nel mar Ionio durante un naufragio.
Il concetto centrale del pensiero di Protagora può essere riassunto nell’asserzione: «l’uomo è misura di tutte le cose, delle cose che sono in quanto sono, delle cose che non sono in quanto non sono». Con questa massima Protagora intendeva dire che il singolo uomo giudica le cose secondo le proprie esperienze, i propri bisogni e principi della società in cui vive. Negando in questo modo l’esistenza di un sistema di giudizio assoluto e immutabile attraverso il quale l’uomo può distinguere il vero dal falso, Protagora si faceva promotore di quel relativismo culturale e morale che divenne il tratto distintivo della sofistica.
Nella sua opera principale, le Antilogie (di cui abbiamo testimonianze solo indirette), Protagora sostiene che è possibile assumere posizioni sia favorevoli che contrarie rispetto a qualsiasi questione, proprio perché non esiste alcun punto di vista univoco e vero in partenza. Ogni civiltà umana sviluppa una propria cultura e valori differenti, per cui cose che per un popolo sono turpi e disdicevoli possono essere per un altro lecite o addirittura virtuose.
L’assenza di un vero assoluto e quindi anche di valori morali assoluti, non lasciavano però l’uomo del tutto sprovvisto di un criterio di giudizio. Protagora, infatti, credeva che l’uomo dovesse farsi guidare dal principio di utilità. Posto di fronte a due opinioni differenti l’uomo può decidere quale sostenere, non in base a ciò che si ritiene giusto o virtuoso a prescindere, ma individuando ciò che può essere più utile per sé stesso o per la comunità. Per Protagora, quindi, il sapiente era colui che riusciva a conoscere l’utile e che, attraverso l’arte della parola, sapeva convincere gli altri a perseguirlo.
Di tutte le cose misura è l'uomo: di quelle che sono, per ciò che sono, di quelle che non sono, per ciò che non sono.
Protagora
4Il mito di Protagora sulla virtù politica
Nel Protagora di Platone viene narrato l'incontro tra il sofista Protagora e Socrate; a una domanda di quest'ultimo relativa ai meccanismi della democrazia ateniese, Protagora risponde con un mito.
Si tratta di una versione rielaborata del mito di Prometeo, quando successivamente al suo dono gli uomini sono diventati più consapevoli ma anche più conflittuali e ricevono un ulteriore dono da Zeus: la virtù politica.
Protagora però spiega che c'è una differenza tra un mondo umano dominato dalle tecniche e uno nel quale tutti possiedono la virtù del rispetto e della giustizia: grazie all'esempio del mito Protagora può sostenere che ciascuno possiede la capacità di esprimersi in merito al bene comune e la democrazia può contare sul contributo di tutti se a tutti vengono insegnati i mezzi per esprimerlo.
4.1Protagora e la politica come tecnica superiore
Protagora vedeva nel passato degli uomini la scelta per sopravvivere e vivere insieme agli altri uomini. Per il sofista l’uomo si distingue dagli animali anche perché ha messo in atto quelle tecniche che gli hanno permesso di modificare e adattare l'ambiente naturale alle sue esigenze come ad esempio l’agricoltura, la falegnameria, l’artigianato. Queste da sole però non bastano ma è necessaria la politica, ovvero una "tecnica superiore" che permette d'indirizzare le altre tecniche verso il bene comune degli uomini. Per questo Protagora era convinto che ogni cittadino dovesse possedere una necessaria cultura politica. La sua visione della politica è stata certamente influenzata dall’epoca in cui ha vissuto ovvero la fotografia della democrazia di Atene dove ogni cittadino era coinvolto nella vita politica della comunità.
5Guarda il video su Socrate
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Domande & Risposte
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Cos’è la virtù per i sofisti?
La virtù, cioè l’areté, per i sofisti è una qualità che si acquisisce con il tempo. Diventa, dunque, fondamentale l’educazione (la paideia).
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Chi sono i sofisti?
Nella Grecia arcaica i sofisti sono i sapienti, cioè uomini in possesso di una vasta cultura generale. A partire dal V secolo a.C. cominciarono ad essere chiamati in questo modo coloro che, dietro compenso, insegnavano ad altri la loro sapienza.
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Cosa insegnano i sofisti?
Materie scientifiche, letterarie, artistico-musicale e l’arte della politica e della retorica.