Silvio Pellico: vita e pensiero del patriota autore de Le mie prigioni

Biografia, pensiero politico e opere di Silvio Pellico, scrittore italiano e patriota, noto per Le mie prigioni, opera in cui racconta la sua detenzione
Silvio Pellico: vita e pensiero del patriota autore de Le mie prigioni
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1Silvio Pellico, uno scrittore prima dell’Unità

Ritratto di Silvio Pellico (Saluzzo, 1789 - Torino, 1854): patriota, poeta e scrittore italiano. Dipinto di Luigi Norfini
Ritratto di Silvio Pellico (Saluzzo, 1789 - Torino, 1854): patriota, poeta e scrittore italiano. Dipinto di Luigi Norfini — Fonte: getty-images

Silvio Pellico nasce a Saluzzo nel 1789, figlio di un commerciante salentino e di una donna piemontese molto devota che trasmette al figlio un profondo senso religioso.

Il padre tenta di renderlo partecipe dell’attività economica famigliare ma il giovane si mostra poco incline agli affari e molto più portato per lo studio della letteratura.

Nel 1809 il padre di Silvio assume un incarico a Milano, nell’amministrazione della Repubblica Cisalpina di cui la città lombarda era capitale, e il figlio lo segue.

Qui ha modo di conoscere personalità come quelle di Ugo Foscolo, Vincenzo Monti , Giovanni Berchet: intellettuali e letterati, pilastri del movimento romantico nonché parte attiva di quel primo movimento patriottico che, proprio negli anni del dominio napoleonico, comincia a formarsi e che sente come una necessità e un dovere quello di potare a compimento l’unità nazionale

Milano diventa la città di Silvio Pellico per il successivo decennio e qui, anche dopo la fine dell’avventura napoleonica, prosegue la sua attività di giornalista come redattore, prima, e direttore poi del Conciliatore, periodico milanese che si occupava di scienze, politica e letteratura; la rivista viene soppressa dalla censura austriaca nel 1819, nello stesso anno in cui Pellico si iscrive alla Carboneria su invito dell’amico Pietro Maroncelli.

Lettera di condanna di Silvio Pellico e Pietro Maroncelli a Venezia, 1821
Lettera di condanna di Silvio Pellico e Pietro Maroncelli a Venezia, 1821 — Fonte: getty-images

In questo periodo si fa notare anche come drammaturgo, autore di tragedie come Francesca da Rimini, rappresentata nel 1815, e Eufemio da Messina, pubblicata nel 1820.

Il 1820 è l’anno che cambia tutto nella vita di Pellico: la polizia austriaca intercetta una lettera di Maroncelli in cui si fa, tra gli altri, anche il nome dell’amico giornalista, e tanto basta per giustificare la cattura di entrambi, il processo e la condanna a morte che viene pronunciata nel 1822.

La pena capitale viene però commutata in quindici anni di carcere duro da scontare nella fortezza dello Spielberg che, tuttora esistente, si trova nell’odierna Repubblica Ceca. Pellico trascorre qui i lunghi anni di prigionia fino alla scarcerazione avvenuta nel 1830.

Di nuovo libero, Pellico ritorna in Italia stabilendosi a Torino, dove inizia la scrittura della sua opera più famosa, Le mie prigioni, un memoriale degli anni di carcere che viene pubblicato nel 1832.

L’opera, la più famosa di questo autore, segna il suo ritorno all’attività letteraria dopo la prigionia, che prosegue con un trattato intitolato Dei doveri dell’uomo (1834), e di alcune opere teatrali di cui la più rilevante è Corradino, inscenata per la prima volta nel 1834. La vita di Pellico si conclude a Torino nel 1854.

1.1Pellico e la letteratura preunitaria

Sia dal punto di vista biografico che sotto il profilo letterario Silvio Pellico fa parte di quella generazione di scrittori e intellettuali che si distacca da quella precedente, quella pienamente settecentesca, e dai suoi modelli, ma che per le tensioni ideali che esprime non può essere assimilabile a quella dei decenni successivi, quella che porta a compimento l’Unità.

Alfieri continua ad esercitare la sua influenza di modello letterario, ma ormai i temi sono cambiati: l’esigenza patriottica, la spinta unitaria diventano esigenze che si fanno sempre più concrete e non è un caso che i riferimenti letterari di Pellico siano da ricercare in autori contemporanei come Foscolo e Monti.  

Quest’ultimo è in grado di proporre uno stile letterario aperto ai nuovi influssi europei, capace di sintetizzare sia le forme del neoclassicismo che quelle del romanticismo; Foscolo, dal canto suo, si fa promotore di una letteratura fortemente civile e politica, come nei Sepolcri o nelle Ultime lettere di Iacopo Ortis

2Il nuovo spirito e la memorialistica

Silvio Pellico in catene tra due soldati austriaci. Litografia di Emile Louis Vernier (1831-1887) da un dipinto di Octave Rossignon. Illustrazione da Le Musee Francais, n 58, ottobre 1859
Silvio Pellico in catene tra due soldati austriaci. Litografia di Emile Louis Vernier (1831-1887) da un dipinto di Octave Rossignon. Illustrazione da Le Musee Francais, n 58, ottobre 1859 — Fonte: getty-images

Prende forma in questo periodo la consapevolezza di esser parte di un movimento di popolo, ingranaggi di avvenimenti epocali che sovrastano le singole esistenze: la prospettiva risorgimentale e unitaria si pone così su un piano che non è meramente politico, ma viene percepito come l’inevitabile concretizzarsi di un moto storico di lunghissima durata.

In quest’ottica la produzione di memorialistica, che diventa abbastanza diffusa, risponde all’esigenza di lasciare una testimonianza alle generazioni successive, qualcosa in grado di raccontare attraverso l’esperienza personale quella che era percepita come una grande epopea collettiva.

Il tono del racconto memoriale è perciò quasi del tutto privo di un approccio individualistico e introspettivo, poiché chi scrive non è tanto interessato a raccontare la propria esperienza personale indagandone e definendone i diversi risvolti psicologici ed emotivi, quanto ad attribuire a essa un valore simbolico ed esemplare che possa valere anche per i posteri.

Tanto gli atti di eroismo quanto le angherie subite dai narratori/protagonisti vengono raccontati come la parte di un’epopea popolare le cui cause e conseguenze sono parte, allo stesso modo, di qualcosa di superiore.

3Le mie prigioni: trama, significato, personaggi

Copertina del libro 'Le mie prigioni': le memorie raccontate da Silvio Pellico. Fu arrestato a Milano per la sua adesione ai moti carbonari. La prima edizione fu pubblicata nel 1832. Casa editrice Bietti, Italia, Milano 1915 circa
Copertina del libro 'Le mie prigioni': le memorie raccontate da Silvio Pellico. Fu arrestato a Milano per la sua adesione ai moti carbonari. La prima edizione fu pubblicata nel 1832. Casa editrice Bietti, Italia, Milano 1915 circa — Fonte: getty-images

La più nota delle opere di Pellico è un’opera memoriale in cui racconta i suoi anni di prigionia nella fortezza austriaca dello Spielberg.

Lui, patriota, viene rinchiuso lì proprio perché il suo nome era comparso nella lettera di un altro patriota italiano che era stata intercettata dagli austriaci: la ragione della sua carcerazione è eminentemente politica. Eppure ne Le mie prigioni l’argomento politico non compare, o meglio compare solo all’inizio come ragione di delusione e che va perciò ragionevolmente accantonato.

Nel testo sono descritte le dure condizioni della carcerazione, cosa che ha autorizzato i lettori di quest’opera contemporanei dell’autore a vederla come una denuncia delle crudeltà austriache, tuttavia il tema centrale dell’opera è il racconto dell’esperienza personale di maturazione religiosa e di sviluppo della fede.

Le pene del carcere vengono vissute come una prova continua attraverso cui il protagonista impara la virtù della rassegnazione e la spinta a resistere e conservare una propria dimensione di vita. Eliminate le radici politiche della sua prigionia può quindi trasfigurarle su un piano simbolico in cui la sofferenza della prigione diventa il viatico attraverso cui maturare la consapevolezza della fede.

Il racconto della carcerazione diventa quindi un racconto di maturazione spirituale, un processo i cui punti di sviluppo sono segnati dai vari episodi che Pellico racconta, come quello dell’amicizia con un bambino sordomuto o del rapporto con la guardia carceraria Schiller.

Nel primo di questi episodi, le difficoltà di comunicazione tra il protagonista e un giovane carcerato sordomuto vengono superate attraverso l’uso di segni, gesti e sorrisi: nasce così un legame che l’autore descrive usando toni patetici e accentuati, che esaltano il legame e il senso di fratellanza e pietà verso lo sfortunato giovane.

Silvio Pellico in carcere
Silvio Pellico in carcere — Fonte: getty-images

Il definitivo superamento del problema politico avviene con il racconto del rapporto con la guardia carceraria Schiller. Dopo un’iniziale distanza, data dai diversi ruoli dei due (carceriere e carcerato) e dal carattere arcigno del soldato austriaco, si costruisce tra loro un legame di rispetto e umana empatia: sebbene in maniera diversa, il narratore riconosce che anche il carceriere Schiller subisce la violenza del sistema politico austriaco che ne schiaccia l’aspetto umano.

In questo episodio emerge in maniera evidente quel senso di fratellanza cristiana e del perdono che connota il processo di maturazione spirituale di Pellico e che è il cuore di tutta la sua opera.

4Francesca da Rimini: il primo grande successo

Sebbene Silvio Pellico sia noto al grande pubblico per Le mie prigioni, l'autore riscosse un grande successo, prima a Milano e poi nel resto della Penisola italiana, con la tragedia Francesca da Rimini, andata in scena per la prima volta nel 1815 e pubblicata poi nel 1818. La tragedia racconta la storia di Francesca da Rimini, tra i più celebri personaggi danteschi.

L'impianto drammatico, l'intreccio semplice e lo stile dell'autore hanno reso quest'opera un grande successo di pubblico. Inoltre, in alcune parti della tragedia emerge lo slancio patriottico, altro aspetto molto apprezzato.