Il pessimismo nel pensiero di Schopenhauer: la malattia come prospettiva privilegiata

Il pessimismo nel pensiero di Schopenhauer: la malattia come prospettiva privilegiata. Ultima parte dell'approfondimento di Studenti.it

Il pessimismo nel pensiero di Schopenhauer: la malattia come prospettiva privilegiata
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Il pessimismo di Schopenhauer
Fonte: ansa

Il pessimismo nel pensiero di Schopenhauer

Questa negazione della realtà del mondo ha per fine la liberazione del soggetto e il ritrovamento della sua autenticità. Questa liberazione tuttavia non dà luogo a energie nuove ma, all’opposto, a un senso di debolezza, di estraneità, di inettitudine e malattia, i quali termini si ritrovano poi puntualmente nelle opere e nei personaggi di quegli autori che in modo o nell’altro si richiamano al pensiero di Schopenhauer, come Thomas Mann (1875-1955), Robert Musil (1880-1942), Franz Kafka (1883-1924).

In Italia troviamo Italo Svevo e Guido Gozzano, esponenti di rilievo della nostra letteratura. In entrambi il distacco dalla vita è pagato con un senso di impotenza, di inettitudine e di malattia, cui viene contrapposto il mito della volgare salute borghese. Chi ha scoperto, come i personaggi di Svevo, il meccanismo della Volontà di Vivere, questa assurda e immotivata spinta all’azione che sempre si ricopre di falsi scopi, e chi, come loro, ha imparato a "vedersi vivere" non può essere destinato che alla "inettitudine", condanna e insieme vanto di chi, togliendosi dall’abisso e dai tortuosi mascheramenti della Volontà di Vivere, si è nel contempo privato di ogni bravura e aggressività in campo sociale.

La filosofia di Schopenhauer: il ruolo della malattia

Anche la malattia possiede questa ambiguità di fattore positivo-negativo. La malattia impone onestà e lucidità intellettuale, censura ogni retorica, brucia ogni aspettativa, rende possibile la tranquilla epifania degli oggetti, invita all’accettazione del proprio solitario destino e inoltre, forse, alla soddisfazione un po’ aristocratica di vedere finalmente il mondo dall’alto, con tutti quei "sani" che continuano a muoversi, muoversi….

Essere malato (come nel caso di Gozzano) o anche soltanto sentirsi tale (come nel caso di Svevo-Zeno) permette di poter così assumere una prospettiva privilegiata dove l’ironia si unisce alla capacità di riflessione. Il dualismo dell’io impedisce all’uomo di prendersi sul serio. L’io infatti vuole, ma anche si vede volere e questo sguardo che costantemente l’io ha su di sé frena ogni possibile decisione etica bloccandola nella consapevolezza ironica. L’ironia è ineliminabile da una concezione "sdoppiata" dell’io e con l’ironia, d’altra parte, non ci può essere conversione etica o religiosa.

Il rapporto con la realtà nel pensiero di Schopenhauer

Dunque, l’intelligenza rappresentativa si è, sì, liberata dalla Volontà di Vivere, ma questa liberazione avviene contemporaneamente all’assunzione del "presente" come unica dimensione temporale di valore. Il presente-vita tende a divenire sola immagine, cosicché la liberazione dalla Volontà di Vivere coincide con la fine anche del rapporto etico e ontologico con la realtà. Quell’io dunque che, secondo Schopenhauer, si rappresenta il mondo annullandolo nella propria rappresentazione, si rappresenta anche se stesso, annullandosi così in pari senso.

Il tempo nella filosofia di Schopenhauer

Questo concetto del tempo come "presente" e questa correlativa concezione della vita come insieme di attimi da contemplare e usufruire senza ulteriori speranze o finalità, non sono direttamente collegabili al "pessimismo" di Schopenhauer.

Il pessimismo ne è l’involucro formale, ma questa nuova percezione del tempo come "presente" ne può assolutamente prescindere. Essa infatti è espressione dell’"epoca del disincanto" (come chiamerà il nostro tempo il grande sociologo Max Weber) cioè l’epoca della fine delle certezze e della crisi dei valori. Tanto è vero che anche Nietzsche, ad esempio, pur opponendosi ad ogni tipo di visione pessimistica, manterrà e anzi svilupperà la concezione della vita come "presente".

E anche in Nietzsche, come in Schopenhauer, l’artista si porrà di fronte alla estranea, tranquilla e terribile bellezza del mondo, pronto ad accoglierla ma deciso a non tentare di afferrarla, perché appunto, solo l’attimo ci appartiene. E ogni attimo è autonomo: il tempo non scorre più; ha forse radici nell’eterno ma non si indirizza più a nulla. Il sistema è statico e questa staticità corrisponde alla sua dimensione soggettiva: la filosofia di Schopenhauer e quella di Nietzsche non è una filosofia del "mondo" ma dell’"io", quell’"io" che nella sua moderna metafisica solitudine ha di fronte un presente senza più passato e futuro.

Leggi anche il contenuto precedente: La filosofia di Schopenhauer

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