Sacco di Roma del 410: storia, protagonisti e conseguenze
Indice
1Roma, un impero diviso
Il 22 agosto del 410, per la prima volta in 800 anni di storia, Roma veniva brutalmente saccheggiata da un esercito di Visigoti al comando dei quali c'era il generale Alarico. Si tratta di un importante punto di svolta nella storia Europea. Tenteremo qui di capirne le cause, i retroscena e alcune conseguenze.
Nel 395, alla morte di Teodosio, l’Impero Romano era stato territorialmente diviso in due parti tra i due figli dell’Imperatore: ad Arcadio toccò l’Oriente, ad Onorio l’Occidente. Ciascun imperatore aveva la propria corte, la propria amministrazione ed il proprio esercito, in reciproca autonomia.
Ciò che cambiava, tra Oriente ed Occidente, era il contesto generale: mentre l’Oriente, superata da poco la crisi gotica, era minacciato in particolar modo dai Persiani, l’Occidente era seriamente minacciato dalle continue incursioni barbariche.
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Teodosio non aveva pianificato una divisione così netta: la tutela di entrambi i figli, ancora bambini alla sua morte, era stata affidata a Stilicone, un generale di origine vandalica, che tentò di mantenere l’unità dell’Impero. Di fatto, però, il compito del generale fu reso impossibile da due fattori:
- I suoi pessimi rapporti con la corte d’Oriente, dove era considerato un barbaro che avrebbe avvantaggiato gli invasori,
- L’aggravarsi della situazione militare.
2Visigoti: storia, protagonisti e caratteristiche
I Visigoti erano una popolazione germanica, convertitasi nel IV secolo all’arianesimo. Nel 376, spinti verso sud dagli Unni, attraversarono il Danubio con il consenso dell’imperatore Valente, e sottomettendosi alla sua autorità, per rifugiarsi nei territori romani. In cambio avrebbero dovuto difendere la Tracia da future invasioni. Veri e propri rifugiati, i Visigoti avevano bisogno di cibo.
Dopo che alcuni funzionari romani si appropriarono di aiuti umanitari destinati a loro, i Visigoti si ribellarono, riportando una vittoria sofferta ma decisiva a Marcianopoli (377) contro l’esercito romano. Nel 378, presso Adrianopoli, riportarono un’altra vittoria, ancora più schiacciante: per la prima volta un imperatore romano, Valente, perse la vita in battaglia contro dei barbari ribelli. A Teodosio, nuovo imperatore d’Oriente, non restava che scendere a patti con i Visigoti, ufficialmente federati dell’Impero.
Nel 394, i Visigoti avevano riportato numerose perdite combattendo per l’imperatore Teodosio nella guerra civile contro l’usurpatore occidentale Eugenio. Alla morte di Teodosio (395), Stilicone si rifiutò inizialmente di concedere al loro condottiero, Alarico, gli onori della carriera militare romana, provocando così una nuova rottura.
I Visigoti, ancora privi di una patria e costretti a vagare per i territori dell’Impero, saccheggiarono così la Tracia, la Macedonia, la Tessaglia, arrivando ad espugnare Atene. Stilicone, che non riusciva a domare in modo definitivo questa nuova rivolta, fu accusato dalla corte Orientale di essere complice dei Visigoti, barbari come lui. Indubbiamente ciò contribuì alla definitiva rottura tra le due parti dell’Impero.
2.1I Visigoti in Italia
Nel 399 Alarico ottenne finalmente le alte cariche militari a cui ambiva, e con esse anche il governo dell’Illirico per conto dell’imperatore Arcadio. Tuttavia, mentre Stilicone era impegnato contro i Vandali e gli Alani, l’Italia restava sostanzialmente sguarnita. I Visigoti approfittarono della situazione per penetrare nella penisola, assediando nel 401 Milano, allora capitale occidentale. Stilicone, tornato in Italia, riuscì a sconfiggerli nel 402 presso Pollenzo, sul fiume Tanaro.
Il problema era stato risolto soltanto temporaneamente, ma per il momento Stilicone dovette dedicarsi a nuove invasioni barbariche: nel 406 il Reno, importante confine romano, fu attraversato da un gran numero di popolazioni germaniche: Alamanni, Alani, Burgundi, Franchi, Vandali e Svevi. Nel frattempo, la Britannia si staccava dall’Impero in modo definitivo, mentre la Spagna veniva invasa a sua volta da Alani, Svevi e Vandali.
Non riuscendo ad agire contemporaneamente su tutti questi fronti, Stilicone tentò di stabilire un compromesso con i Visigoti, convincendoli ad affidare le proprie famiglie in ostaggio a Roma. Ma la corte Occidentale, che nel frattempo da Milano si era stabilita nella più sicura Ravenna, era ormai schierata nettamente contro Stilicone, accusato ancora una volta di complicità con i barbari. Il generale fu messo a morte nel 408 d. C. per ordine di Onorio.
2.2Roma e i Visigoti: il primo assedio del 408
Alla morte di Stilicone, si scatenò un’ondata di violenza contro i barbari federati e le loro famiglie: la conseguenza principale fu che molti di loro si unirono alle truppe di Alarico. I Visigoti ebbero così il pretesto ideale per una nuova ribellione. In testa al suo esercito, Alarico attraversò le Alpi Giulie e si diresse direttamente verso Roma, passando per Aquileia, Concordia, Cremona, Bologna e Rimini. In Italia si unirono ai Visigoti barbari di altre tribù, ma anche liberti ed altri soldati che avevano precedentemente combattuto nell’esercito romano.
L’Italia era priva di difese, e di fatto alla mercé dei Visigoti. In questo periodo la città di Roma non ospitava più l’imperatore, ed era ormai priva dell’efficace servizio difensivo un tempo offerto dai pretoriani. A partire dal 408 Alarico occupò il porto e bloccò il corso del Tevere, tagliando di fatto i viveri alla città e lasciandone la popolazione in preda alla fame e alle epidemie. In un momento in cui il Cristianesimo si era ormai affermato in modo definitivo, a Roma si pensò persino a ricorrere a sacrifici alle antiche divinità pagane. Soltanto dopo aver riscosso un pesante tributo, Alarico tolse il blocco.
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3.1Cronologia del Sacco di Roma
Le richieste di Alarico rimanevano sostanzialmente immutate: terre per i propri uomini, e riconoscimento da parte di Roma. Onorio non acconsentì, tentando piuttosto di rinforzare la guarnigione romana. Contrariato, nel 409 Alarico tornò a bloccare nuovamente i rifornimenti verso Roma. Per sollecitare Onorio alla pace, vennero mandate varie ambascerie all’imperatore, di cui una condotta persino dal papa, Innocenzo I.
Alla fine del 409 Alarico propose la nomina di un nuovo imperatore: venne scelto Prisco Attalo, un rappresentante dell’aristocrazia senatoriale in conflitto con l’imperatore legittimo, un pagano che accettò persino di convertirsi all’arianesimo, e che assegnò ad Alarico l’ambito comando della fanteria romana.
Attalo fu tuttavia ben presto deposto, ed Alarico decise di riprendere le negoziazioni con Onorio, che incontrò nei pressi di Ravenna all’inizio del 410. Si trattava però di una trappola: nel giorno prestabilito per le negoziazioni l’esercito di Alarico venne attaccato a tradimento. A questo punto il condottiero si mise nuovamente in marcia verso la città eterna, assediandola per la terza ed ultima volta.
La notte del 24 agosto del 410, attraverso la Porta Salaria, Alarico riuscì a penetrare a Roma, che fu saccheggiata per tre giorni. I Visigoti entrarono immediatamente in una delle zone più ricche della città, saccheggiando gli immensi tesori custoditi negli Orti Sallustiani. Si recarono poi verso il centro, i Fori, e le smisurate ville dei senatori, che conservavano ancora un certo potere, situate sull’Aventino e sul Celio.
Secondo quanto è stato tramandato dallo storico Orosio nelle Storie contro i Pagani, una fonte che interpretava il sacco di Roma come una giusta punizione divina contro la superbia romana, durante il saccheggio ai Visigoti venne ordinato di non toccare i luoghi sacri al cristianesimo e di evitare spargimenti di sangue. Ad essere saccheggiati furono invece i monumenti pubblici ed i possedimenti dei senatori, ed in particolar modo i Fori Imperiali. Alarico si impadronì persino dei leggendari tesori del re Salomone, trafugati dai Romani a Gerusalemme.
3.2Conseguenze del Sacco di Roma
L’evento suscitò un’impressione enorme: era la prima volta che l’antica capitale dell’Impero cadeva in mano nemica in circa 800 anni: l’unico precedente storico era in fatti l’incendio gallico del 390 a. C. Da quel momento Roma non sarebbe stata più la stessa.
Alarico, da cristiano e da militare, non puntava alla distruzione di Roma, ma piuttosto al riconoscimento della propria gente: anche per questo dopo tre giorni abbandonò la città. Prese però in ostaggio Galla Placidia, sorella dell’imperatore Onorio, e si diresse ancora più a sud, saccheggiando la Campania e l’attuale Calabria. Sembra che il generale puntasse a raggiungere la Sicilia e l’Africa, ma alla fine del 410 trovò la morte in Calabria durante nei dintorni di Cosenza prima di riuscire a passare lo stretto di Messina.
A questo punto i Visigoti preferirono ritirarsi nella Gallia Meridionale, dove fondarono uno Stato con capitale a Tolosa.
Mentre a Costantinopoli Teodosio II proclamava tre giorni di lutto, San Girolamo rifletté a lungo, nei suoi scritti, sulle conseguenze del sacco di Roma: per lui era la dimostrazione di come Roma, nient’altro che un simbolo del potere, potesse trasformarsi in cenere. Per i pochi pagani rimasti, al contrario, le colpe andavano attribuite al cristianesimo, che aveva spinto le antiche divinità di Roma ad abbandonare la protezione dell’Impero. Altri pensatori cristiani, come Agostino di Ippona e Orosio, considerarono il saccheggio come una punizione divina, ed in quanto tale sostanzialmente giusta: i Visigoti sarebbero stati dunque uno strumento di dio.
Da un punto di vista politico, il Sacco di Roma testimonia indubbiamente che la struttura dell’Impero d’Occidente era ormai disgregata e vulnerabile. Per il momento, la stabilità della dinastia Teodosiana sarebbe stata ristabilita dal generale Flavio Costanzo, che nel 417 sposò Galla Placidia, e nel 421 sarebbe stato proclamato imperatore, trovando però la morte nello stesso anno. Dopo l’interregno di un usurpatore, nel 425 il potere tornava nelle mani della dinastia con l’impero di Valentiniano III – un bambino di sei anni.
La politica tuttavia non sarebbe cambiata, ed in particolare l’inquadramento di truppe barbariche nell’esercito romano da utilizzare contro nuove invasioni barbariche. Nel 455 un secondo sacco di Roma, ben più grave, venne compiuto dai Vandali. L’Impero di Occidente, con capitale a Ravenna, avrebbe resistito fino al 476, quando la sua struttura era ormai minata da molto tempo. Molto più tardi, i terribili episodi del quinto secolo sarebbero stati rievocati nel 1527, quando le truppe lanzichenecche, al soldo dell’Imperatore Carlo V, saccheggiarono la Roma rinascimentale.
Se Roma perisce, chi mai si salverà?
San Girolamo