Il ruolo dell'intellettuale nell'Italia post-unitaria
Indice
- La disoccupazione intellettuale nell’Italia post-unitaria e il senso di inutilità
- L’intellettuale e le leggi del mercato
- Gli intellettuali e il rinnovamento linguistico
- Gli intellettuali e la modernizzazione: il progressismo positivista e la nostalgia romantica
- La Scapigliatura milanese emblema del disagio intellettuale
- Il Naturalismo-Verismo e il Simbolismo: due atteggiamenti opposti davanti al problema del progresso
- Concetti chiave
1La disoccupazione intellettuale nell’Italia post-unitaria e il senso di inutilità
Formatosi il Regno d’Italia, obiettivo a lungo agognato e ottenuto non senza contraddizioni e forzature, l’intellettuale italiano si trova di fronte ad un panorama cambiato e in continua, rapida evoluzione. A partire dagli anni ’60 dell’Ottocento il contesto è mutato radicalmente rispetto a pochi decenni prima: da un punto di vista economico, sociale, politico, culturale, artistico.
Di conseguenza anche il ruolo dell’intellettuale – artista, scrittore, poeta, musicista, etc. – deve fare i conti con le leggi dell’utile e non può più permettersi di contare su importanti mecenati, come accadeva al tempo delle corti, né gli è ben chiaro cosa dire a un mondo che non guarda più al bello, perché sta facendo i conti con la più travolgente delle rivoluzioni: quella industriale. Quindi bisogna reinventarsi e in fretta. Finito il periodo risorgimentale, l’intellettuale se non può più essere guida ideologica (visto che ormai l’obiettivo dell’unità è stato raggiunto), deve inventarsi un nuovo ruolo.
I nuovi processi produttivi marginalizzano a disagio davanti alla tecnologia che meccanizza la vita dell’uomo. Rifiuta lo spirito affaristico e la razionalità produttiva che hanno invaso anche il mondo dell’arte, che invece era considerato sacro e incontaminato dai biechi interessi economici. Però le cose sono cambiate e bisogna vivere; così non resta che tentare di farsi una posizione nella società e gli intellettuali provano ad entrare nel sistema, svolgendo anche altri lavori oltre alla scrittura.
Il tentativo di adattare il Naturalismo francese in Italia – cioè il Verismo – non riesce del tutto, perché gli scrittori veristi restano intimamente artisti. Però nasce la letteratura di consumo, che mira al guadagno e all’intrattenimento del lettore ed è scritta in una lingua molto più accessibile al grande pubblico; un prodotto non artistico, ma popular, potremmo dire.
Dato che non sempre è facile entrare in società nonostante studi e qualifiche professionali, ben presto si verifica il fenomeno della disoccupazione intellettuale perché il mercato del lavoro non era in grado di assorbire laureati e diplomati. Era un fenomeno grave e potenzialmente pericoloso: si temeva che i giovani intellettuali frustrati nelle loro aspirazioni dessero sfogo alla rabbia ponendosi a capo dei movimenti di protesta popolari.
E in effetti ciò avvenne: molti laureati piccolo borghesi si avvicinarono prima all’anarchismo e poi al socialismo. Il conflitto emerge lampante nella Scapigliatura milanese: l’artista scruta e giudica la società con un metro molto severo, opponendosi fermamente ai i valori borghesi. Il giovane Verga appartenne a questo movimento, ma anche Carducci si oppose strenuamente al cambiamento.
2L’intellettuale e le leggi del mercato
Davanti a tutti i cambiamenti – come dice Eco – ci sono “apocalittici” e “integrati”. Gli scapigliati che diedero vita ad una bellissima e affascinante protesta artistica sono in fondo gli apocalittici e se parliamo poco di loro è perché alla fine la maggior parte degli intellettuali si integrò con il sistema.
Andiamo a vedere di cosa si tratta: il mercato culturale diventa un fenomeno su larga scala, ma giornali, libri e periodici si diffondono rapidamente. Lo scrittore ha bisogno di guadagnare e c’è tutta l’industria editoriale pronta a collaborare perché il pubblico borghese si va ampliando sempre di più: e legge sia per emanciparsi culturalmente, sia come distrazione. Ricordiamo che nel Regno d’Italia era stata introdotta la scuola elementare obbligatoria e che quindi l’istruzione era molto più diffusa e serviva anche ad amalgamare la società italiana.
Se già nel 1700 erano nati giornali e periodici adesso questi si moltiplicano rapidamente e ognuno ha il suo supplemento dedicato alla cultura dove scrivono gli intellettuali di punta. Molto in vista sono il Fanfulla della domenica, il Capitan Fracassa e La domenica del Fracassa.
Tra le riviste che si occupano esclusivamente di cultura, oltre alla Cronaca bizantina, va ricordata la Nuova Antologia che pubblica articoli di cultura generale non solo di letteratura, ma di politica, economia, scienze. Su di essa Carducci pubblicò le Primavere elleniche e Verga Mastro-don Gesualdo.
Parimenti nasce la letteratura di consumo: libri che devono essere comprati a frotte e gli editori sono dei veri e propri uomini d’affari. Insomma: nasce il concetto di best seller.
Di pari passo finalmente viene riconosciuto il diritto d’autore: 23 aprile 1882 nasce a Milano la SIAE, società italiana per autori ed editori che faceva eco al provvedimento sul diritto d’autore del 25 giugno del 1865. Verga e D’Annunzio sono due autori che cominciano a contare sui proventi delle loro opere. Naturalmente abbiamo anche chi si oppone fermamente all’ideologia del mercato.
3Gli intellettuali e il rinnovamento linguistico
Era stato Alessandro Manzoni a proporre come modello «il fiorentino parlato dalle persone colte» usato per scrivere il suo celebre romanzo. Tuttavia egli sosteneva che l’italiano doveva diventare una lingua d’uso e non essere confinata nei libri, come era accaduto al fiorentino del Trecento di Dante, Petrarca e Boccaccio. Dopo l’Unità d’Italia è quanto più necessario trovare una lingua comune che possa definirsi italiana e nella miriade di dialetti la scelta cade appunto sul fiorentino, così come su Firenze cade la scelta della prima capitale d’Italia. Per ottenere l’unificazione linguistica occorreva che ci fosse una forza unificante, un movimento generale. Questo doveva partire sia dalla società, sia dalla cultura stessa.
Il processo che portò all’affermazione dell’italiano fu favorito dalla scuola dell’obbligo almeno per i primi due anni della scuola elementare a partire dal 1862; dall’istituzione della leva militare obbligatoria che permise ai giovani di fare esperienze linguistiche nuove e, soprattutto, di usare l’italiano ufficiale al posto del dialetto; dall’industrializzazione, che spinse masse di lavoratori e le loro famiglie dalle campagne verso le città, e dal Sud al Nord obbligandoli a imparare la lingua comune.
La scelta pressoché comune di riprendere la lingua manzoniana in tutta la prosa favorì inoltre l’unificazione letteraria della lingua. In poesia lo stesso processo venne attuato da Pascoli con la sua raccolta Myricae, con la quale irrompeva nella poesia il lessico della prosa (cioè del fiorentino parlato moderno).
4Gli intellettuali e la modernizzazione: il progressismo positivista e la nostalgia romantica
Nei decenni immediatamente successivi all’Unità d’Italia (tra gli anni ‘70 e ‘80) gli intellettuali reagiscono sostanzialmente in questo modo di fronte alla modernizzazione:
- ci sono i fervidi sostenitori del mito del progresso;
- ci sono i nostalgici del Romanticismo, che guardano al passato come età da rimpiangere ed esecrano il presente;
- ci sono i distaccati, i quali non esaltano e non condannano, ma cercano di conoscere e analizzare questo fenomeno.
Vediamo intanto la base filosofica della seconda metà dell’Ottocento: il Positivismo, il quale diventa un vero e proprio indirizzo filosofico con il francese Auguste Comte (1798-1875) che pubblicò il Corso di filosofia positiva. Il Positivismo segnava così il passaggio allo stadio scientifico dell’evoluzione umana, una volta superato lo stadio teologico e metafisico grazie a Bacone, Galileo e Cartesio.
Tutto può essere spiegato secondo i rapporti di causa-effetto; tutto può essere indagato purché si riveli sensibilmente: è la vittoria del metodo sperimentale. L’ottimismo della scienza assume i connotati di un vero e proprio culto della scienza e della tecnica con una sua metafisica.
L’Illuminismo aveva esaltato come figura ideale di uomo il filosofo; il Romanticismo aveva innalzato il genio creatore (musicista, artista, poeta). Il Positivismo esalta come figura mitica lo scienziato. Secondo questa ideologia, il metodo scientifico rappresenta l’unica conoscenza possibile, per tanto l’esclusione del metodo scientifico non da luogo a vera conoscenza.
Ne deriva il rifiuto di ogni visione di tipo religioso metafisico e idealistico. II positivista dunque crede che ci si debba fondare solo sui fatti positivi dimostrabili sperimentalmente. Inoltre, il metodo della scienza va esteso a tutti i campi compresi l'uomo e la società. La scienza ci consente di dominare il reale e quindi di avere fede nel progresso.
Questo principio viene ben presto esteso anche alla società: nasce così l’idea del determinismo radicale di Hippolyte Taine (1828-1893) che fu ispiratore dei naturalisti francesi, e di Émile Durkheim (1858-1917) che studia invece le relazioni tra individuo e società, mettendo a fuoco il concetto di “coscienza collettiva”. Dunque va da sé che il positivismo rifiuta il senso di mistero delle cose che è alla base della poesia, della fiaba, del racconto epico.
Non è un caso che si afferma nel mondo il genere giallo grazie a Edgar Allan Poe e a Conan Doyle: i campioni di questo periodo sono gli investigatori Auguste Dupin e Sherlock Holmes, con la loro logica ferrea e implacabile: positivista.
Dunque il positivismo pervade l’opinione comune, tra le classi dirigenti, i ceti medi e i ceti popolari, affermandosi prima in Europa nella seconda metà dell’Ottocento e poi anche in Italia.
In Italia importanti positivisti furono Roberto Ardigò (1828-1920), psicologo, Pasquale Villari (1827-1917), storico, Cesare Lombroso (1835-1909), fondatore dell’antropologia criminale.
5La Scapigliatura milanese emblema del disagio intellettuale
Non c’è migliore esempio del disagio dell’intellettuale post-unitario che la Scapigliatura milanese, a cui per breve tempo aderì anche Giovanni Verga. Essa prendeva le mosse dai bohémien francesi, prendendo come modello poetico di riferimento Charles Baudelaire.
Nel difficile contesto che si era creato, gli scrittori e gli artisti cercano un nuovo orientamento e un nuovo significato al loro ruolo e alla loro opera: hanno bisogno di maggiore autenticità, di senso di realtà; vogliono oltrepassare le leggi del buonsenso e stabilire che ciò che è vero è anche morale, compreso il brutto, l’orrido, il grottesco, il malato.
Avviene così da una parte la rottura della tradizione dei secoli passati in particolare con la letteratura romantica ormai stanca e convenzionale, dall’altra propongono un rinnovamento tematico che avrebbe anticipato alcune posizioni del Verismo e del Decadentismo.
Questa piccola ma significativa rivoluzione avviene a Milano negli anni immediatamente successivi all’unità, col movimento della Scapigliatura, che prende il nome dalla “spettinatura” dei giovani artisti che ostentavano così il loro disprezzo per il buon costume. Gli scapigliati più importanti sono Cletto Arrighi (Carlo Righetti), Emilio Praga, Carlo Dossi, Igino Ugo Tarchetti, Giovanni Camerana, Arrigo Boito, Giovanni Faldella.
Nelle loro opere troviamo una presenza costante del brutto, del malato, dell’orrido talvolta; si osservano vite al margine, di ubriachi e prostitute, si vivono amori estremi e distruttivi. Tutto questo per sottolineare il senso di smarrimento personale e collettivo davanti alla città industrializzata che ha perso i suoi valori più alti. Dunque non resta che prendere atto della distruzione e denunciare questa sciagura a tutti.
Significativamente la Scapigliatura sorge a Milano, la città italiana più industrializzata d’Italia. Dunque – pur non avendo creato un movimento duraturo (la Scapigliatura termina nell’arco di quindici anni) – pur con tutti i loro limiti artistici, gli scrittori scapigliati segnano una svolta nella letteratura italiana, e anticipano alcune tematiche care al Verismo.
6Il Naturalismo-Verismo e il Simbolismo: due atteggiamenti opposti davanti al problema del progresso
Il Naturalismo francese e il Verismo italiano, pur con molte differenze, rappresentano da una parte l’evoluzione della poetica bohémien-scapigliata, per il suo indugiare su scenari di periferia, su vite spezzate e impossibili, sul degrado e sulla bruttura, dall’altra il tentativo di sentirsi utili nella società, mettendo la propria penna al servizio della verità e dello studio della realtà nei suoi deterministici rapporti di causa-effetto. Naturalisti e Veristi sono romanzieri, non poeti.
E il romanzo diventa così un “documento umano” per dirla con Verga o un “roman expérimental” come dice Zola, ossia “un romanzo sperimentale”, che illustri i processi e gli effetti di alcuni particolari virus sociali all’interno di una famiglia. Entrambi i movimenti si basano sulla concezione positivista della realtà e sul darwinismo sociale (l’applicazione della selezione naturale alla società). Dunque l’intellettuale vuole riscattarsi tentando di essere utile allo sviluppo della società e al suo progresso.
Se però gli scrittori naturalisti ci credono davvero, i veristi – in particolare Verga – mostrano un senso di disagio crescente verso il progresso, che in verità è grandioso solo se visto dalla distanza, a vederlo da vicino si poggia peraltro sulle sofferenze e le sconfitte dei singoli.