Il rinnovamento della dinastia Meiji e la modernizzazione del Giappone nel XIX secolo
Indice
1Premesse: il ritardo del Giappone
All’inizio del XIX secolo il Giappone accusava un forte ritardo se paragonato alle nazioni più importanti dell’epoca: un’organizzazione sociale legata ancora al feudalesimo e un’economia rigidamente chiusa al suo interno sembravano impedire al paese possibilità di sviluppo economiche, politiche e civili in grado di mettere il Giappone al pari delle maggiori potenze europee e di nazioni all’epoca emergenti come, ad esempio, gli Stati Uniti.
Tuttavia in un arco di tempo molto breve, tra il 1850 e l’inizio del Novecento, il Giappone cambiò totalmente il suo aspetto: attraverso grandi stravolgimenti, il paese del Sol Levante si avviò ad essere una delle potenze mondiali, in grado di estendere la sua influenza oltre i propri confini e di sconfiggere in guerra, a coronamento della sua ascesa, un paese importante come la Russia nel 1905.
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Questo rapidissimo periodo di cambiamento - noto come “Rinnovamento Meiji” - non fu tuttavia indolore: a determinarlo furono certamente i rapporti di scambio con l’Occidente e con modelli di sviluppo, in ogni settore, estranei alla mentalità giapponesi; per certi versi l’ingresso nella modernità fu un vero e proprio shock per una nazione fortemente e gelosamente legata alla sua cultura e alle sue tradizioni.
2Il periodo Tokugawa e lo Shogunato
All’inizio del XIX secolo il Giappone era ancora organizzato su una base paragonabile al feudalesimo: a dominare il paese era il clan Tokugawa, che dal 1603, al termine di un lungo periodo di guerre intestine, ereditava tra i membri della sua famiglia la carica militare dello Shogun, l’unica dotata di potere reale in tutto il paese e in grado di estendere la sua autorità su oltre 250 vassalli maggiori - detti daimyo - espressione della nobiltà terriera e militare giapponese.
Accanto allo Shogun era presente anche un’altra importante personalità, quella dell’Imperatore: sebbene questa carica avesse una tradizione ben più antica e l’imperatore fosse considerato come una personalità sacra, direttamente discendente dagli dei, nel periodo Tokugawa il suo ruolo si era ridotto ad una funzione puramente simbolica, che in campo politico sottostava, sulle questioni di importanza nazionale, alle decisioni dello Shogun stesso.
Per quanto riguarda la società giapponese questa rimaneva divisa in un rigido sistema di caste, al cui vertice erano i samurai, la casta guerriera al servizio dello Shogun e dei vari daimyo; sotto di loro contadini, mercanti e artigiani costituivano la base della società giapponese. L’appartenenza ad una qualunque casta era un fatto acquisito per nascita, sanciva il proprio status giuridico e sociale e nei fatti qualunque possibilità di cambiamento sociale era impedito per legge.
Alla chiusura sociale corrispondeva una chiusura economica e nei contatti verso l’esterno: gli Shogun Tokugawa avevano infatti imposto rigide regole sul commercio con altre nazioni, possibile solo in poche località del paese, e la presenza degli stranieri nel paese era proibita così come la possibilità di espatriare per i giapponesi. Questo isolamento - denominato sakoku - era voluto dagli Shogun per impedire le influenze culturali e religiose delle altre nazioni ed era considerato funzionale alla conservazione del loro potere.
Per questi motivi il Giappone non era dunque stato toccato da nessuna forma di modernizzazione simile a quanto succedeva in Europa e negli Stati Uniti nello stesso periodo: l’industrializzazione era quasi del tutto assente e le maggiori scoperte tecnologiche dell’epoca non erano state importate nel paese, che da sempre sopravviveva di una semplice economia agricola; nonostante questo la potenziale ricchezza del paese, insieme alla sua cultura, continuava ad attirare le attenzioni del resto del mondo.
3La fine dell’isolamento e la restaurazione imperiale
Alla metà del XIX secolo i tempi erano diventati maturi per un cambiamento: tuttavia la spinta a terminare l’isolamento del Giappone non avvenne dall’interno, ma da un vero e proprio atto di forza proveniente dall’esterno: gli Stati Uniti erano infatti decisi ad ottenere per proprie ragioni economiche e commerciali l’apertura del paese, e a tale scopo nell’estate del 1853 inviarono tre potenti navi da guerra alla guida dell'Ammiraglio Matthew Perry; navi che ancorarono nel porto giapponese di Uraga nel luglio del 1853.
La minaccia portata da Perry era concreta: se il Giappone non avesse aperto il commercio verso gli USA sarebbe stata guerra. L’arrivo di navi da guerra a vapore - tecnologia sconosciuta in Giappone - rappresentò un vero e proprio shock per lo Shogun e per tutta la società giapponese, che vedeva violentemente rompersi un isolamento di oltre 200 anni attraverso un atto di forza. Di fronte al rischio di uno scontro lo Shogun fu costretto ad accettare gli accordi, siglati nel 1858, che aprivano il paese all’influenza commerciale e politica delle altre nazioni.
Dopo una simile scossa le tensioni nella società giapponese erano pronte a esplodere nuovamente, e nei successivi dieci anni la questione dell’apertura commerciale e della presenza straniera divenne motivo di divisione tra fazioni mentre il Giappone iniziava il suo passaggio alla modernità. L’assetto politico feudale, pur con il suo carico di tradizione e cultura, perdeva lentamente la propria ragione di essere anche per la nuova intraprendenza che gli imperatori - fino a quel momento lontani dalla politica - mostravano nella gestione degli affari riservati allo Shogun.
L’Imperatore Meiji, salito al trono nel 1867, approfittò del momento di debolezza dello Shogun per dichiarare, l’anno seguente, la piena restaurazione dell’autorità imperiale e l’abolizione dello shogunato. Nelle idee del giovane ed energico Meiji occorreva infatti dotare il Giappone di una struttura statale centralizzata, sul modello delle nazioni occidentali, ponendo fine alla divisione feudale e dando avvio ad una fase di riforme economiche e sociali in grado di modernizzare e rafforzare il paese anche nei confronti delle stesse ingerenze straniere.
Tuttavia le forze fedeli allo shogunato Tokugawa non erano disposte ad abbandonare il potere, e il conflitto tra le fazioni degenerò in una guerra civile tra il 1968 e il 1969. La guerra Boshin - questo il suo nome - fu breve ma intensa: la fazione imperiale, più piccola ma dotata di un apparato militare più moderno, sconfisse ripetutamente le forze fedeli ai Tokugawa fino a costringerle alla resa. Con la fine del conflitto l’epoca degli Shogun giungeva al termine e insieme ad essa iniziava a terminare l’importanza sociale e militare dei samurai.
4Il periodo del “Rinnovamento Meiji”
Con la fine delle ostilità per il Giappone si aprì una fase completamente diversa: divenuto capo della nazione l’Imperatore Meiji intendeva portare a compimento l’opera di rinnovamento della nazione che aveva in mente. Poco prima della fine del conflitto un documento imperiale, noto come “Giuramento dei 5 articoli”, stabiliva la fine delle divisioni per caste e la possibilità per ciascuno di scegliere liberamente la propria professione. In più il documento chiariva che la presenza straniera nel paese non sarebbe mai più stata considerata una minaccia.
Insieme a queste importanti novità sul piano civile e dei rapporti con le altre nazioni la prima costituzione del Giappone, redatta l’anno successivo, prevedeva delle assemblee parlamentari sulla carta simili a quelli delle democrazie occidentali. Come ulteriore segno del cambiamento dei tempi il nuovo governo decise di spostare la capitale da Kyoto a Edo, una delle città più importanti del paese che da quel momento sarebbe stata ribattezzata con il nome di Tokyo, dove l’Imperatore stabilì la sua residenza ufficiale.
Nel frattempo il territorio giapponese venne riorganizzato sul piano territoriale dal nuovo governo imperiale: i vecchi daimyo furono convinti a cedere i propri territori al potere imperiale in cambio di un ruolo da governatori nei nuovi distretti. La classe più scontenta delle riforme fu certamente quella dei samurai oltre ad essere sostituiti da un regolare esercito, nel 1876 una legge imperiale impedì loro di portare pubblicamente la spada, tradizionale simbolo della loro importanza; il malcontento per questa situazione sfociò in autentiche rivolte contro il governo imperiale.
L’aspetto più significativo del “rinnovamento Meiji” fu certamente il modo in cui la modernità entrò rapidamente nel paese: il telegrafo e il servizio postale vennero introdotti tra il 1869 e il 1871 e ai postini fu concesso - per la prima volta - di lavorare con abiti di gusto occidentale. I grandi sforzi per la modernizzazione andarono soprattutto nella direzione di creare una moderna rete ferroviaria, che assorbì una buona parte degli investimenti governativi con ottimi risultati. Per finanziare queste imprese venne coniata una nuova moneta - lo Yen - e creato un sistema bancario per finanziarie il capitalismo industriale.
Tutti gli sforzi del principale artefice della modernizzazione, l’imperatore Meiji, andarono nella direzione di creare una nazione forte, ricca e coesa, anche attraverso le riforme della scuola e dell’istruzione. Il regno di Meiji durerà 44 anni fino alla sua morte nel 1912: a quel punto il Giappone era ormai divenuto una nazione in ascesa nel panorama mondiale, in grado di competere sul piano economico, tecnologico e militare con le principali potenze mondiali; l’iniziale isolamento del paese con il tempo si trasformerà in una politica aggressiva di espansione in Asia.