Religione ebraica: storia e caratteristiche dell’ebraismo
Religione ebraica: caratteristiche, riassunto delle idee fondamentali, concezione teologica, il culto, i riti e l’arte dell'ebraismo
Indice
Religione ebraica
La religione ebraica è tra le più antiche del mondo ed è all’origine degli altri due culti monoteistici: il cristianesimo e l’islam. Alle origini della storia del popolo d’Israele c’è un comando divino rivolto ad Abramo: “Lascia il tuo paese, esci dalla tua terra, io ti darò una nuova terra e la tua discendenza diventerà un popolo, il popolo della mia alleanza, e in te saranno benedette tutte le nazioni della terra”. Ad Isacco, figlio della promessa, e a Giacobbe Dio rinnovò l’alleanza e tute le promesse che essa conteneva.
Verso il 1700 a.C. i figli di Giacobbe migrarono in Egitto, si moltiplicarono, divennero un vero popolo, fecero fortuna e Giuseppe, uno di loro, divenne viceré d’Egitto. In seguito ad un rivolgimento politico, gli ebrei vennero sottomessi come schiavi dai faraoni. Nel 1250 a.C. apparve Mosè: nel deserto di Madian il Dio dei suoi padri gli si rivelò come YHWH e lo incaricò di liberare il popolo d’Israele. Mosè guidò così la fuga dall’Egitto attraverso il Mar Rosso. In seguito, accadde un evento decisivo per Israele: ai piedi del Monte Sinai ci fu la rivelazione di Dio e la promulgazione della Torah, con cui Dio rinnovava a tutto il popolo eletto il patto di alleanza, già stretto con Abramo. Ancora quarant’anni di peregrinazioni nel deserto e finalmente Israele, morto Mosè, sotto la guida di Giosuè conquistò Canaan, la terra promessa ai padri e riuscì finalmente a stabilirvisi. Sella terra di Canaan, gli israeliti sono governati dapprima da uomini di forte personalità, cosiddetti giudici, che sanno tenere testa alle tribù confinanti; poi da veri e propri re come Saul, Davide, sotto la cui guida il regno d’Israele assume Gerusalemme come capitale.
Verso il 930 a.C. avvenne la secessione delle tribù del nord che si costituirono in un regno a parte, chiamato Israele con capitale Samaria, mentre le altre due tribù fondarono il regno del sud chiamato Giuda, con capitale Gerusalemme. Il regno del nord, Israele, scomparve nel 721 a.C. ed i suoi abitanti vennero deportati in Assiria. Nel 586 a.C. cadde anche il regno di Giuda: Gerusalemme venne conquistata dai Babilonesi, il sontuoso tempio di Salomone fu saccheggiato e distrutto e buona parte della sua popolazione deportata in esilio a Babilonia. Con l’esilio inizia la diaspora: alcuni ebrei rimasero prigionieri a Babilonia, altri emigrarono in Egitto, altri si sparsero nei paesi del Mediterraneo. Nel corso dei secoli successivi gli ebrei conobbero diverse dominazioni e le continue peripezie d’Israele mantennero viva per secoli la speranza nella venuta di un re Salvatore, di un Messia. Quando venne Gesù, solo una piccola parte di ebrei riconobbe in lui il Messia atteso, portatore della nuova legge; la grande maggioranza continuerà invece a seguire la legge di Mosè.
La vita degli ebrei durante il Medioevo fu tutt’altro che facile. Specie al tempo delle crociate e dopo, si susseguirono massacri di ebrei e confische dei loro beni. Dopo il 1500 gli ebrei subirono anche i contraccolpi di un’intolleranza generalizzata tra fazioni cristiane. Uno dei segni di tale intolleranza fu la diffusione del sistema del ghetto allo scopo di confinare per oltre due secoli gli ebrei in quartieri a loro riservati. Fu un ebreo tedesco a propugnare una netta distinzione tra Stato e Chiesa, tra l’ambito civile e quello religioso, e spinse così gli ebrei europei a rifiutare il ripiegamento su di sé, ad uscire dalla tradizionale, rassegnata emarginazione e a farsi partecipi attivi della cultura e della politica nazionale. Tale processo di integrazione civile diede luogo ben presto ad un ebraismo liberale, laicizzato, emancipato dalle tradizioni confessionali ebraiche. E di qui anche dall’esterno, dalla società civile, venne una nuova ostilità, l’antisemitismo, che temeva il crescente peso politico e culturale degli ebrei negli Stati occidentali.
I vari nazionalismi europei, diffusi tra la fine dell’Ottocento e rinvigoritisi tra le due guerre mondiali, produssero forti correnti di antisemitismo moderno, che a differenza di quello medioevale, fu più ostile alla persona fisica che non alla professione religiosa. Tra il 1933 e il 1945 vennero eliminati 6 milioni e mezzo di esseri umani, colpevoli solo di essere ebrei: un genocidio, chiamato “Shoah” (catastrofe, annientamento). Al termine della seconda guerra mondiale, un voto dell’ONU approvò la spartizione della Palestina tra ebrei e arabi e nel 1948 nacque lo Stato d’Israele. L’esistenza di questo stato non era e non è esente da gravissimi problemi politici locali e internazionali.
La concezione teologica
Per Israele la fede non è né adesione a dei dogmi e né solo pratica religiosa; è vita che alimenta di continuo la riflessione e la preghiera, ispira l’azione quotidiana di un popolo, anche fuori dal momento liturgico. A differenza di altre divinità, venerate dai popoli circostanti il Medio Oriente, il Dio d’Israele è inconfondibile per alcune caratteristiche: è un Dio unico, quasi geloso della “sua” creatura umana che ama in modo esclusivo. E’ un Dio che si accompagna all’uomo lungo la sua storia, che si fa trovare dall’uomo nell’esperienza quotidiana; oltre che creatore, Dio è liberatore. Per questo la religione ebraica si qualifica come religione di tipo storico e non cosmico. E’ un Dio che della natura fa dono all’uomo perché la domini e la porti a compimento. E’ un Dio spirituale, trascendente, non riproducibile in alcuna immagine umana, il Dio che sceglie come dimora il cuore dell’uomo fedele. Quando Dio si rivela a Mosè, dice che il suo nome è intraducibile e impronunciabile. “Io sono JHWH, colui che fu, che è, che sarà, che fa essere”. Questa rivelazione segna un inizio assoluto nella storia delle religioni: da qui parte la tipica esperienza monoteistica di ebrei, cristiani e musulmani.
L’adorazione di Dio ha luogo nello spirito, prima che nel tempio e si concretizza nell’ascolto, nell’accettazione della sua parola. La più antica professione di fede, infatti, è lo Shemà Israel: “Ascolta Israele, JHWH è il nostro Dio, lui è l’unico. E tu devi amare il tuo Dio con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze”. Lui è il Signore degli uomini e della storia, in quanto creatore del mondo: il calendario ebraico conta gli anni a partire dalla creazione del mondo. Ma per la tradizione ebraica la creazione non è finita una volta per sempre, essa continua in un certo modo attraverso l’opera dell’uomo, cui Dio ha affidato la conservazione e lo sviluppo della natura.
Il testo sacro
Il testo degli ebrei nella forma di rotoli manoscritti è la Torah (legge), ovvero i primi cinque libri dell’Antico Testamento (o Pentateuco), il più importante dei quali è ritenuto l’Esodo, Libri che gli ebrei attribuiscono a Mosè ma che si scoprì essere stati scritti in un’epoca posteriore. La Bibbia d’Israele è divisa in tre parti: Torah, Neviim (Profeti) e Ketuvim (Scritti). Per la prima Torah vennero usati l’ebraico e l’aramaico, successivamente venne redatta una versione greca. La Bibbia fu copiata e ricopiata per centinaia di anni, per cui è impossibile risalire all’originale. In essa si possono trovare tracce egiziane, babilonesi, persiane e greche. Il libro della Genesi inizia con la creazione del mondo e contiene i racconti del Paradiso e della caduta nel peccato, del diluvio universale e della costruzione della torre di Babele. In questo libro è riportata anche la storia di Abramo, Isacco e Giacobbe oltre alla vicenda di Giuseppe, il figlio di Giacobbe e Rachele, che venne venduto in Egitto dai propri fratelli e raggiunse poi un grande potere presso la corte del faraone, come interprete di sogni. Il libro dell’Esodo racconta la storia del popolo d’Israele, dalla fuga dall’Egitto fino agli avvenimenti del Sinai. Il Levitico contiene disposizioni. Il libro dei Numeri riporta in apertura i censimenti fatti nel deserto e quelli successivi fino alla conquista della Transgiordania. Il Deuteronomio riproduce, nelle parole di Mosè, il racconto della peregrinazione nel deserto e una nuova versione della legge mosaica.
Preghiere, riti e vita quotidiana
Secondo la legge ortodossa ebraica ebreo è chi nasce da madre ebraica, anche se è possibile diventarlo mediante la conversione. L’ottavo giorno dopo la nascita, il maschio deve essere circonciso e qui gli viene imposto il nome. Il rituale di purificatorio durerà di meno di quello, per la quale sono previsti riti analoghi, tipo infibulazione o clitoridectomia. All’età di circa cinque anni il bambino viene inviato a scuola di religione nella sinagoga, dove studierà l’ebraico e i testi sacri. A tredici anni diventerà “responsabile”: il sabato successivo al compleanno leggerà per la prima volta in sinagoga un brano del rotolo della Torah.
D’ora in poi dovrà compiere tutti i doveri di un ebreo. Le ragazze invece diventano maggiorenni a dodici anni e la loro educazione religiosa è più sommaria. I precetti religiosi che gli ebrei dovrebbero seguire sono 248 in positivo e 365 in negativo. L’ebreo devoto prega tre volte al giorno: mattino, pomeriggio e sera, a casa o in sinagoga, in piedi e in ginocchio o prostrato col viso a terra, rivolto verso est (e se è uomo col capo coperto). L’atto di fede, ovvero il primo e unico articolo della fede giudaica è lo Shemà, che inizia con le parole: “Ascolta Israele, l’Eterno è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze”. La preghiera viene recitata ogni giorno dagli ebrei praticanti. La preghiera pubblica, in sinagoga, è presieduta dal rabbino che ha un’autorità magistrale e giuridica. La lettura della Torah, divisa in sezioni settimanali, viene fatta di lunedì, giovedì e sabato. I rabbini sono dei maestri incaricati dell’insegnamento e della predicazione, possono anche spiegare, interpretare e reintegrare la legge, ma non hanno carattere sacerdotale. L’avvenimento più importante della vita familiare è il matrimonio: già il fidanzamento ha un valore legale civile. Lo scioglimento unilaterale del fidanzamento è punito severamente. La cerimonia del matrimonio prevede prima la firma del contratto, in cui lo sposo si impegna nei confronti della sposa, poi il rito religioso vero e proprio, durante il quale viene rotto un bicchiere di cristallo, per rievocare la distruzione del tempio. Il divorzio è ammesso e consiste nel documento scritto e firmato da due testimoni che il marito consegna alla moglie liberandola da ogni obbligo coniugale verso di lui. L’ebraismo impedisce alla donna di prendere l’iniziativa del divorzio, ma i tribunali tendono a condannare l’uomo che rifiuta un giustificato consenso alla separazione. Ultimo rito nella vita dell’ebreo è quello funebre. I parenti iniziano il lutto facendo l’atto di stracciarsi i vestiti e astenendosi dal culto pubblico. Dopo essere stata deposta sul pavimento, lavata e avvolta in un abito speciale, col volto coperto, la salma viene seppellita, entro ventiquattro ore dalla morte, nella terra: vietati la cremazione, i loculi e le sepolture temporanee. Dopo un anno cessa il lutto e si pone la lapide sulla tomba. Nell’ebraismo sono scarsissimi i riferimenti alla vita ultraterrena.
Il ruolo della donna nella religione ebraica
L’ebraismo non concepisce la donna in sé, ma nel suo ruolo di moglie e madre; la sterilità è considerata una maledizione, la castità un valore negativo. I rapporti prematrimoniali e la convivenza non formalizzata nel matrimonio sono malvisti. Vietati la prostituzione e l’uso commerciale del corpo femminile. L’educazione morale dei figli e la protezione della famiglia, intesa come ambiente sacro, sono affidate interamente a lei. Suo dovere è quello di salvaguardare la purezza religiosa della casa, garantendo che il cibo consumato sia conforme alle leggi alimentari.
Il dovere della procreazione è maschile non femminile, ovvero l’iniziativa dei rapporti fisici è soggetta alla volontà della donna. La tradizione biblica assicura alla donna diritti di proprietà e posizione sociale.
L'arte nella religione ebraica
L’ebraismo è una religione che nega, almeno in teoria, ogni forma di creatività. La religione ebraica è per sua stessa natura contraria a qualsiasi manifestazione artistica nel campo figurativo. La causa principale è l’interpretazione letterale del secondo comandamento: “Non avrai altri dei al mio cospetto, non ti farai alcuna scultura né immagine di tutto quanto esiste in cielo al di sopra o in terra al di sotto o nelle acque al di sotto della terra”.
Nel passato tale proibizione era rivolta alla realizzazione di statue e alle raffigurazioni, ma erano tollerate raffigurazioni bidimensionali, pavimenti musivi e pareti dipinte nelle sinagoghe medio–orientali. La proibizione quasi assoluta è sopravvenuta intorno all’VIII secolo quando a Bisanzio si impose il movimento iconoclasta e l’affermazione dell’Islam aveva proibito ogni rappresentazione figurativa. Uno dei problemi fondamentali nell’identificazione di un’arte ebraica consiste nel fatto che non è possibile isolarla come fenomeno a sé.
A Roma, la più antica comunità ebraica europea, sono rimaste importanti testimonianze nella sinagoga di Ostia, nelle lapidi marmoree con iscrizioni ebraiche e nelle decorazioni delle catacombe. Il Medioevo è il periodo più avaro verso l’arte ebraica tranne per quanto riguarda l’Italia dove catacombe, lastre tombali, lampade e vestigia di sinagoghe testimoniano la floridezza delle comunità, dove molti ebrei erano specializzati nella tessitura di drappi serici e nella lavorazione dei metalli. Il più antico oggetto cerimoniale italiano è una coppia di pinnacoli (rimonìm) per i rotoli del Pentateuco eseguiti in filigrana e risalenti a metà del XV secolo, rinvenuti a Camerata.
Dell’epoca rinascimentale sono stati rinvenuti solamente dei codici miniati, due impugnature in legno di bosso per i bastoni attorno ai quali è avvolta la pergamena di un Sefer, un armadio in stile gotico per contenere i rotoli e due tende in velluto cesellato e allucciolato. L’incremento della popolazione ebraica in Italia, aggiunto ad altri fattori, portò alla fondazione dei ghetti, il primo a Venezia nel 1516, poi a Roma nel 1555. Si trattava di veri e propri quartieri/prigione in cui gli ebrei furono costretti ad abitare e i cancelli si chiudevano al tramonto e si riaprivano all’alba e nessuno poteva uscire di giorno senza recare un segno distintivo che denunziasse la propria appartenenza religiosa. I gruppi che convivevano all’interno dei ghetti fondarono sinagoghe diverse (dette Scole) in cui potevano seguire i vari riti. Tali luoghi di culto erano collocati all’ultimo piano di edifici civili per la cronica mancanza di spazio e per mimetizzarli.
Tutti coloro che abitavano nei ghetti ebbero la certezza di un’abitazione stabile e costruirono sinagoghe con suppellettili fisse a cui si prestava una particolare cura.
Tutte le sinagoghe italiane si arricchirono nel corso dei secoli di arredi e di tessuti preziosi. Per quanto riguarda le suppellettili d’argento, esse erano eseguite da artisti cristiani, poiché era proibito agli ebrei di esercitare quell’arte come la maggior parte degli altri mestieri. I tessuti rappresentano forse il patrimonio più cospicuo e interessante per diversi motivi: la maggior parte degli ebrei era coinvolta nel commercio di prodotti tessili e i rapporti che intercorrevano con i loro correligionari stanziatisi nei paesi lungo le coste del bacino del Mediterraneo aveva incrementato il commercio tessuti; infine la costrizione a cui furono sottoposti gli ebrei a seguito della Bolla papale del 1555, che restringeva le attività a cui si potevano dedicare al solo commercio di stracci e cenci, mise a loro disposizione una grande quantità di tessuti usati, che furono trasformati spesso in arredi per le sinagoghe. In mezzo a volute, foglie di acanto e motivi floreali sono inseriti simboli, quali gruppi di strumenti musicali, il candelabro a sette braccia (menorah), le vesti del Gran Sacerdote e gli arredi del tempio.
La scrittura ebraica è usata molto spesso come decorazione nelle cornici e nelle scene raffigurate. L’emancipazione ebraica portò alla costruzione di grandi sinagoghe, edifici indipendenti e isolati ai quali si attribuì uno stile artistico che li identificasse. L’emancipazione ebbe un ulteriore riflesso sull’arte: molti ebrei, trovandosi liberi, ebbero la possibilità di esprimersi e cominciarono ad aderire ai più significativi movimenti artistici d’avanguardia. Solo in epoca recentissima sono nati artisti che sono tornati a dedicarsi ad arricchire le vecchie e nuove sinagoghe di oggetti contemporanei.
La halakhà, normativa ebraica, comprende regole che hanno trovato la loro espressione nei testi classici della giurisprudenza ebraica, ma ha finito per accettare comportamenti non conformi alla regola in quanto erano entrati nel costume e nell’uso comune. Nell’arte possiamo individuare due categorie che riguardano la halakhà: la costruzione del Santuario e l’abbellimento degli oggetti liturgici che hanno a che fare con il culto.
L’Hiddur Mitzvah (eseguire un precetto in modo estetico) può essere considerato una legge della Torah oppure una legge di origine rabbinica. In Italia gli oggetti liturgici e le Sinagoghe spesso rispondono a canoni estetici particolarmente elevati. Nell’arte ebraica il ruolo della donna assume una notevole rilevanza poiché ha più tempo rispetto all’uomo da dedicare alle espressioni artistiche. Le limitazioni che la norma prescrive rispetto alle forme artistiche riguardano due ambiti fondamentali: quello dell’idolatria e quello dell’erotismo.
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